2018-08-04
Pistacchio, l’oro verde che fa bene all’amore
Secondo una leggenda, le coppiette si incontravano sotto i rami per sentire i frutti aprirsi. Nabucodonosor II li faceva coltivare nei giardini di Babilonia. Furono gli arabi a dare impulso alla produzione in Sicilia. Oggi a Bronte il giro d'affari è di 20 milioni annui.A Bronte, pistacchiosa enclave siciliana alle pendici dell'Etna, lo chiamano «l'oro verde». La sua coltivazione ha un giro d'affari di circa 20 milioni di euro, considerando che la raccolta avviene con cadenza biennale. Nell'immaginario collettivo questo piccolo frutto viene spesso incasellato nella sua versione da snack, oppure nella più nobile variante in gelato. In realtà, dietro al mondo del pistacchio, ci sono mille storie. Le origini sono millenarie in una culla geografica posta tra Siria, Palestina e Turkmenistan. Citato nella Bibbia tra i regali inviati dal patriarca Giacobbe al Faraone. Nabucodonosor II faceva coltivare i pistacchi nei giardini pensili di Babilonia. Pistacchio che uscì dai confini nativi con Alessandro il Grande, verso il 330 avanti Cristo, così come più tardi Lucio Vitellio, Governatore della Siria ai tempi dell'Imperatore Tiberio, lo portò in Italia attorno al 30 dopo Cristo. Inizialmente se ne provò la coltivazione in Liguria, Puglia, Campania, Sicilia, ma senza grande successo. L'impulso venne alcuni secoli dopo con gli Arabi. Zona vocata Bronte, dove il particolare terreno argilloso di origine vulcanica divenne una risorsa. L'intuizione degli arabi fu quella di innestare la pinacia vera nella pistacia terenthibus, dotata di radici forti, capaci di infiltrarsi nella roccia lavica, rompendola. Nella trinacria dearabizzata il pistacchio conobbe secoli di declino, salvo poi riemergere agli inizi del Novecento, dando anche una diversa visibilità alla piccola Bronte altrimenti incatenata, nei libri di storia, a uno degli episodi più cruenti della spedizione dei Mille, guidata in loco da Nino Bixio, raccontata da Giovanni Verga come da Florestano Vancini in Bronte, cronaca di un massacro, del 1972. Bronte è la capitale italiana del pistacchio dove tutto è ispirato all'oro verde: dall'inno municipale»diamanti virdi» (tanto per stare nella «gioielleria gastronomica") alla vulgata popolare: «essiri comu la fastuca e lu scornabéccu», per indicare due persone che amano stare sempre vicino, dal termine «fastùca» (pistacchio) e «scornabecco» (il pistacchio terebinto). A Bronte la pianta viene chiamata «scornabecco» che deriva dallo spagnolo «cornicabra» (corno di capra). Cresciuti nei terreni vulcanici scarsamente coltivabili, detti «sciare», i pistacchi non vanno concimati né irrigati e la potatura nell'anno di ferma (detto «scarica«) richiede minimi interventi. L'albero, «un groviglio di rami contorti e nodosi capaci di aggrapparsi ai versanti più scoscesi», fiorisce in aprile con un raccolto che si colloca tra agosto e ottobre. Vi è coinvolta tutta la popolazione, con aspetti acrobatici, dato che si tratta di staccare il frutto uno ad uno dai rami riponendolo in una sacca posta sulle spalle. Una giornata di lavoro vale circa 20 chili di raccolto, quattro volte meno di quello che avviene per via meccanizzata in altri paesi. Una realtà che vede coinvolti circa 1.000 produttori (con in media 1 ettaro) e piccole aziende addette alla trasformazione. Una volta raccolto, il pistacchio subisce una prima lavorazione per poi essere conservato in ambienti asciutti e bui per circa un anno (con il nome di «tignosella«) in attesa della trasformazione. Tra settembre e ottobre si tiene la tradizionale sagra, che non solo attira sempre più visitatori ma ha contribuito, accendendo l'attenzione sul pistacchio, a favorine successive trasformazioni, oltre a quelle tradizionali. Dal 2009 ha ottenuto la prestigiosa Dop europea. La produzione legata al territorio di Bronte copre circa l'1% di quella mondiale. Tra i maggiori produttori, oltre alle tradizionali aree di Iran e Turchia, vi sono gli Stati Uniti. Qui la storia si è sviluppata sul finire dell'Ottocento, anche se il vero impulso è dovuto a William Whitehouse, un botanico che, nel 1930, dopo essere stato un anno in Persia, tornò in patria con diverse campionature. Tuttavia, poichè la pianta ha bisogno di un'incubazione di 10 anni prima di produrre i suoi frutti (in compenso è assai longeva, arrivando anche a 300 anni), i primi risultati si videro all'inizio del secondo conflitto mondiale. Il pistacchio negli Usa ha conosciuto un vero e proprio boom a partire dalla metà degli anni Settanta. In trent'anni la produzione è passata da 680 a 188.000 tonnellate e così la resa per ettaro, più che raddoppiata, per un controvalore econonomico importante che vede al centro la California. Il 26 febbraio, negli States, si celebra il Pistacchio day. Questo boom ha portato il pistacchio al centro del mondo medico. Pur se qualcosa aveva intuito il persiano Avicenna, che lo classificò tra i «cibi restaurativi», assieme a mandorle e pinoli. Negli Usa ha ottenuto, dall'American heart association, il prestigioso simbolo di Heart-check che aiuta a identificare gli alimenti che fanno bene al cuore. I frutti del pistacchio sono una sorta di farmacia appesa ai suoi rami. Innumerevoli le proprietà. Con i grassi insaturi favorisce il colesterolo buono (Ldl), riducendo quello dannoso (Hdl). I pistacchi hanno un potere antiossidante superiore a more e mirtilli. Inducono la produzione di serotonina che migliora il tono dell'umore e combatte l'insonnia. I polifenoli contrastano l'azione dei radicali liberi e riducono l'assorbimento di zuccheri, in funzione antidiabetica. I carotenoidi esercitano una funzione protettiva nella degenerazione maculare. Resveratrolo e arginina hanno azione preventiva nei confronti di Alzheimer e demenza senile oltre al fatto che il fosforo migliora la memoria. Definito anche «frutto dell'amore», un tempo in Medio Oriente leggenda voleva che gli innamorati si incontrassero sotto le loro chiome per sentire i pistacchi aprirsi nelle notti di luna piena. Forse anche per questo, nel giorno di San Valentino, lo chef milanese Omar Allievi se li è inventati protagonisti a tutto menù, abbinandoli ad un pinzimonio di verdure come a una tartara di tonno; lasagnette con broccoli e ricotta di capra, sino a un dolce happy end con tortino di cioccolato e lamponi. Entro un ipotetico alfa e omega compreso tra l'aperisnack e il gelato, il pistacchio si è guadagnato una meritata visibilità a tutto pasto. Va forte il pesto brontese, con una lavorazione a mortaio di noci, pepe, scorza di limone, basilico e parmigiano (o pecorino) che torna utile in varie jam session golose con pennette, fettuccine e ingredienti quali sarde fresche, ma anche gamberetti e zucchine. E che dire del filetto con i pistacchi o il salmone in salsa? Non manca nella norcineria. Protagonista nella farcitura delle mortadelle preparate da Roma in giù, lo si può ritrovare anche nelle salsicce. All'inizio i macellai di Bronte avevano qualche perplessità, ma poi si sono dovuti arrendere all'entusiasta richiesta del pubblico. Il pistacchio è un'indiscussa star pasticcera. Da anni le sicule varianti pistacchiose di baluardi della tradizione nordista si sono imposte nei mercati: dalla colomba al panettone farcito ai pistacchi. Un nome per tutti: la famiglia Fiasconaro, a Castelbuono, pendici delle Madonie. Non poteva mancare la Pistacchiella (una sorta di nutella al pistacchio), ideale per farcire i bignè, così come la sua granella arreda all'occhio prima (e al palato poi) gli immortali cannoli siciliani. Pistacchi che troviamo nel torrone, mentre a Bronte testimonial è la filletta al pistacchio, una piccola focaccia morbida farcita con l'oro verde. Ma c'è chi è andato oltre, come il piemontese Mattia Pariani, uno specialista nelle estrarre l'olio dai vari frutti della terra. Dopo quello delle nocciole langarole, Pariani ha girato l'Italia ottenendo chicche preziose, come dai pinoli di San Rossore e, in Sicilia, assieme al pasticcere ispirato Corrado Assenza, ha estratto l'olio anche dalle mandorle e dai pistacchi. Distillazione che viene preziosamente centellinata nel dare ulteriore marcia in più a quelle coccole per il cuore e per la gola, di cui il pistacchio ha saputo dimostrarsi re indiscusso.
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