2022-11-20
Le pillole di Petra e Carlo: il galateo della cioccolata
True
Continua il braccio di ferro tra il governo e la Bce sulle riserve auree della Banca d’Italia. Le «modifiche apportate» in una nuova formulazione non bastano: «Non è ancora chiaro quale sia la concreta finalità della proposta di disposizione rivista», torna a ribadire l’Eurotower. Che manda un messaggio al governo di Giorgia Meloni: «riconsideri» la proposta. L’ultima riformulazione dell’emendamento è arrivata il 4 dicembre a Francoforte. Peraltro «non è accompagnata da alcuna relazione illustrativa che ne illustri la ratio». E la Bce, che già il 3 dicembre si era già espressa su una precedente versione lanciando il primo altolà, continua a non gradire.
Francoforte riconosce «alcune novità che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi, ma restano i dubbi sulla finalità della norma. «Nonostante le modifiche apportate», «non è ancora chiaro quale sia la concreta finalità», spiega l’Eurotower. «Per questo motivo, e in assenza di spiegazioni», le autorità italiane sono «invitate a riconsiderare la proposta», anche al fine di «preservare l’esercizio indipendente dei compiti fondamentali» della Banca d’Italia.
È una presa di posizione che rischia di complicare il rebus della manovra, proprio mentre i lavori in Senato si apprestano ad entrare nel vivo, con il pacchetto di emendamenti del governo atteso per giovedì. Le decisioni definitive delle modifiche sono strettamente legate all’esito del lavoro sulle coperture. Sono attese correzioni sul tema degli affitti brevi, con il ritorno della cedolare secca al 21% per il primo immobile e la riduzione da 5 a 3 della soglia da cui scatta l’attività d’impresa. Si lavora anche sui dividendi (la stretta verrebbe limitata alle partecipazione sotto il 5%), sull’esclusione delle holding industriali dall’aumento dell’Irap, sullo stop al divieto di portare in compensazione i crediti, sull’allargamento dell’esenzione Isee sulla prima casa. Si valutano anche detrazioni per i libri e la stabilizzazione triennale dell’iperammortamento. In arrivo qualcosa anche per le forze dell’ordine, i cui sindacati sono stati convocati domani a Palazzo Chigi.
Fa discutere l’emendamento di Fdi che raddoppia il tetto al contante (attualmente di 5.000 euro), introducendo un’imposta speciale di bollo di 500 euro su ogni pagamento in contanti per importi tra 5.001 e 10.000 euro.
L’imposta che scatterebbe per i pagamenti cash compresi tra i 5.001 e 10.000 euro, ha il risvolto di assicurare un gettito fiscale. La soglia di 5.000 euro era stata fissata proprio dal governo Meloni nel 2023 che l’aveva innalzata dai 2.000 euro precedenti.
L’emendamento stabilisce che l’imposta di 500 euro, scatti dal 1° gennaio 2026 e riguarderebbe italiani e stranieri che decidono di effettuare questo tipo di pagamenti. Inoltre, le transazioni sono soggette a obbligo di fattura che dovrà essere consegnata al fornitore del bene o del servizio, consentendo all’Agenzia delle Entrate di effettuare controlli sulla regolarità dell’operazione. Un meccanismo che punta a preservare un livello di tracciabilità anche laddove venga scelto il contante.
L’emendamento ha scatenato la grancassa polemica dell’opposizione. «Aumenta la tolleranza nei confronti dei pagamenti cash. Evidentemente il governo è così disperato e non sa più cosa fare per racimolare risorse» tuona il presidente dei senatori del Pd, Francesco Boccia. E aggiunge che «mentre le società avanzate investono in trasparenza e tracciabilità per proteggere cittadini e imprese da evasione e riciclaggio, il governo Meloni riporta l’Italia indietro di vent’anni». In realtà in questo modo il nostro Paese si allinea alla media Europea e anticipa una decisione della stessa Commissione Europea che ha spinto per un innalzamento del tetto dei pagamenti in contanti. La Ue già prevede un limite uniforme di 10.000 euro per tutti gli Stati membri dal 10 luglio 2027 per superare le disparità. L’arringa del Pd come di Avs contro il nuovo tetto non tiene quindi conto dell’orientamento della Commissione.
Inoltre secondo il think tank CashEssentials, un limite uniforme europeo consentirebbe maggiori controlli sulle operazioni sospette senza abolire il contante che resta uno strumento legittimo di pagamento in quasi tutti gli Stati membri. L’Italia ha storicamente oscillato tra aperture e restrizioni. Negli ultimi vent’anni il limite al contante è passato da 12.500 euro del 2002 al minimo di mille euro imposto nel 2011, risalito a 3.000 nel 2016 e poi nuovamente sceso a 2.000 nel 2020. L’attuale soglia di 4.999.99 euro è in vigore da gennaio 2023 per effetto della prendente manovra.
Procede intanto il lavoro sulle coperture: si starebbe ragionando ancora sull’operazione di affrancamento oro con imposta sostitutiva agevolata al 12,5% per far emergere l’oro fisico non documentato. In un primo momento si sperava in un gettito fino a due miliardi, ma ora si valuta un effetto limitato (al massimo 290 milioni), perché l’orientamento è aprire solo a piccoli importi, come l’oro di famiglia con provenienza certa, per evitare il pericolo di riciclaggio. Sul tavolo anche la possibilità di un sostegno economico alle forze dell’ordine con un meccanismo premiale per chi svolge funzioni su strada per garantire sicurezza e ordine pubblico. Si tratterebbe di fatto di una sorta di indennizzo straordinario, ma la misura sarebbe ancora allo studio.
Più che un vizio, quello dell’Unione europea è un pregiudizio. Settimana scorsa, infatti, aveva revocato i fondi alla Fafce, la Federazione delle associazioni familiari cattoliche in Europa mentre oggi li toglie (o meglio: li chiede indietro) alla World youth alliance, un’associazione nata nel 1999 a New York con lo scopo di difendere la vita.
Un’associazione che non ha mai fatto del male a nessuno e che porta avanti un’agenda pro life attraverso tre direttrici fondamentali: fare pressione politica affinché anche questa visione del mondo venga accolta dalle istituzioni internazionali; educare i giovani al rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale; e, infine, promuovere attività culturali, come ad esempio scambi internazionali ed Erasmus, affinché i giovani si sviluppino integralmente attraverso il bello.
In passato, la World youth alliance ha ottenuto, come è giusto che sia, diversi finanziamenti da parte dell’Unione europea (circa 1,2 milioni) senza che nessuno dicesse alcunché. Ora però qualcosa è cambiato. La World youth alliance, infatti, ha partecipato ad alcuni bandi europei ottenendo oltre 400.000 euro di fondi per organizzare le proprie attività. La normalità, insomma. Poi però sono arrivate tre interrogazioni da parte dei partiti di sinistra, che hanno evidenziato come gli ideali portati avanti da questa associazione siano contrari (secondo loro) all’articolo 14 dell’Accordo di sovvenzione, secondo cui «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società in cui prevalgono il pluralismo, la non discriminazione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e la parità tra donne e uomini».
Il punto, però, è che la World youth alliance non ha mai contraddetto questi valori, ma ha semplicemente portato avanti una visione pro life, come è lecito che sia, e sostenuto che si può non abortire. Che c’è sempre speranza. Che la vita, di chiunque essa sia, va sempre difesa. Che esistono solamente due sessi. Posizioni che, secondo la sinistra, sarebbero contrarie ai valori dell’Ue.
Come nota giustamente l’eurodeputato Paolo Inselvini (Fdi) da cui è partita la denuncia dopo che la World youth alliance si è rivolta a lui affidandogli i documenti, le interrogazioni presentate fanno riferimento a documenti politici che non esistevano nel momento in cui è stata fatta la richiesta di fondi e che ora vengono utilizzati in modo retroattivo. Come, per esempio, la Strategia europea Lgbtiq 2026-2030, che è stata adottata lo scorso ottobre, e la Roadmap sui diritti delle donne, che è stata comunicata in Commissione nel marzo del 2025. Documenti che ora vengono utilizzati come clave per togliere i fondi.
Secondo Inselvini, che a breve invierà una lettera in cui chiederà chiarimenti alla Commissione europea, «si stanno costruendo “nuovi valori europei” non sulla base dei Trattati, della Carta dei diritti fondamentali o della tradizione giuridica europea, ma sulla base di orientamenti politici tutt’altro che condivisi dai cittadini europei».
Ma non solo. In questo modo, prosegue l’eurodeputato, «i fondi vanno sempre agli stessi. Questa vicenda, infatti, si inserisce in un quadro più ampio: fondi e spazi istituzionali sembrano essere accessibili solo a chi promuove l’agenda progressista. Basta guardare alle priorità politiche ed economiche: 3,6 miliardi trovati senza esitazione per la nuova strategia Lgbtq+, mentre le realtà che non si allineano vengono marginalizzate, ignorate o addirittura sanzionate. L’Europa non può diventare un sistema di fidelizzazione ideologica in cui si accede a risorse pubbliche solo a condizione di adottare un certo vocabolario e una certa visione del mondo».
Perché è proprio questo che è diventata oggi l’Ue: un ente che punisce chiunque osi pensarla diversamente. Un’organizzazione che è diventata il megafono delle minoranze, soprattutto quelle Lgbt, e che non ammette alcuna contraddizione. Chi osa esprimere dubbi, o semplicemente il proprio pensiero, viene punito. Via i fondi alla Fafce e alla World youth alliance, quindi.
Il tutto in nome del rispetto per le opinioni degli altri. «Se oggi si arriva a censire, controllare e punire un’organizzazione non per quello che fa, ma per quello che crede, allora significa che qualcosa si è rotto», conclude Inselvini.
Lo ha detto il ministro a margine del consiglio per gli Affari interni, riguardo ai centri di rimpatrio in Albania.
Gli americani, si sa, sono gente che va veloce. Sarà per questo che il sindaco eletto di New York City, Zohran Mamdani, sembra aver ripercorso la parabola grillina in una manciata di settimane: da Roberto Fico che si reca a Montecitorio in autobus ai weekend in barca, da Luigi Di Maio che abolisce la povertà agli agi dorati dell’alta diplomazia.
L’uomo che ha portato il comunismo nel cuore di New York, sfruttando anche il phisique du rôle terzomondista e una certa retorica populista, ha già annunciato che lascerà il suo modesto appartamento con affitto controllato per la lussuosa residenza ufficiale del sindaco a Manhattan. La decisione è stata annunciata ieri con un post su Instagram, insieme a una foto di una replica in miniatura della villa. «La settimana scorsa abbiamo visto la nostra nuova casa!», ha detto.
Il democratico, che entrerà in carica il primo gennaio, si trasferirà nello stesso mese alla Gracie Mansion, una casa di 1.000 metri quadrati costruita nel 1799 nell’elegante Upper East Side, sulle rive dell’East River, immersa in un parco verdeggiante, che divenne la residenza ufficiale del sindaco nel 1942. Un atto dovuto? Non proprio. Non vi è infatti alcun obbligo per i sindaci di risiedere lì, sebbene la maggior parte di loro abbia risieduto nella villa, con la notevole eccezione di Michael Bloomberg (2002-2013). In una dichiarazione, Mamdani ha affermato che lui e sua moglie, l’illustratrice Rama Duwaji, hanno preso questa decisione principalmente per motivi di «sicurezza» e che stanno «lasciando a malincuore il bilocale» che la coppia condivide ad Astoria, un quartiere popolare del Queens con una numerosa popolazione di immigrati.
«Ci mancheranno molte cose del nostro appartamento di Astoria. Preparare la cena fianco a fianco nella nostra cucina, condividere un sonnolento viaggio in ascensore con i nostri vicini la sera, sentire musica e risate risuonare attraverso le pareti dell’appartamento», ha scritto, con una retorica strappa like.
Mamdani ha fatto del costo della vita un tema centrale della sua campagna, promettendo in particolare alloggi più accessibili. Il fatto che lui stesso vivesse in uno di questi appartamenti, al costo di 2.300 dollari al mese, ha attirato le critiche dei suoi oppositori, che ritengono che il suo stipendio da 142.000 dollari da membro dell’Assemblea dello Stato di New York e il reddito della moglie permettessero alla coppia di stabilirsi in un appartamento al di fuori di tale quadro normativo. «Anche quando non vivrò più ad Astoria, Astoria continuerà a vivere in me e nel lavoro che svolgo», ha promesso. Non ha infine rinunciato a un altro sermone sociale da campagna elettorale: «La mia priorità, da sempre, è servire le persone che chiamano questa città casa. Sarò il sindaco dei cuochi di Steinway, dei bambini che si dondolano al Dutch Kills Playground, dei passeggeri dell’autobus che aspettano il Q101». Solo che da adesso li vedrà col binocolo dal suo ampio terrazzo.

