2024-12-22
Il piano Volkswagen lacrime e sangue è specchio della crisi della politica tedesca
Transpar
Al contrario dell’accordo fra governo e Stellantis, in Germania i sindacati accettano di tagliare la produzione di 734.000 auto.L’accordo di Volkswagen al ribasso rispetto alle richieste sindacali, dopo un lungo tira e molla, è una cartina di tornasole, soprattutto se confrontato con il percorso delineato da governo Meloni per Stellantis, di quanto la debolezza della politica (il cancelliere sfiduciato e le elezioni a inizio 2025 dall’esito incerto) possa essere dirimente nella soluzione di importanti vertenze e finanche del futuro di un pezzo importante dell’industria. Un Olaf Scholz nel pieno dei suoi poteri avrebbe potuto dare alla crisi Volkswagen un indirizzo diverso? È un quesito che resta senza risposta. Di fatto l’accordo della maggiore casa automobilistica tedesca e una delle più importanti a livello internazionale ha contenuti che ricalcano quanto l’azienda aveva prospettato nel momento in cui si era seduta al tavolo della trattativa. Uno smacco per lo storico sindacato che ha sempre sottolineato la sua forza nella cabina di comando delle industrie, con la formula della cogestione, delineando un modello di relazioni sindacali da sempre punto di riferimento per le rappresentanze europee, financo quelle italiane. Ora questo castello si sta sgretolando, implode sotto i colpi della debolezza della politica che non ha saputo dare risposte alla crisi dell’automotive, imbrigliato nei vincoli della transizione ecologica che non è riuscita a mettere in discussione e del sindacato rimasto anch’esso inerte o peggio, fossilizzato a rivendicazioni minimali, finché non si è arrivati alle estreme conseguenze e l’azienda ha messo sul tavolo i numeri della crisi. Una crisi, come dimostra l’accordo, senza lo sbocco di una ripresa. Piuttosto la presa d’atto che un’epoca, quella della supremazia dell’industria tedesca, si è esaurita.I contenuti dell’accordo sono la conseguenza di tale scenario. Non sfugge che governo e sindacati abbiano conquistato ben poco rispetto alle premesse catastrofiche. Volkswagen ridurrà le linee produttive da quattro a due (come prospettato all’inizio dall’azienda), con un calo della capacità produttiva tedesca di 734.000 vetture all’anno. Chiudono due stabilimenti come annunciato sin dalle prime battute. La storica fabbrica di Dresda sarà riconvertita ad attività non ancora definite e c’è chi prospetta un futuro da cattedrale nel deserto. Uno di quei mostri di cemento da archeologia industriale, a futura memoria. Tutto ciò che, come indotto, ruota ora attorno all’impianto, se non sufficientemente solido, è destinato a essere travolto, in un’agonia veloce. Per l’altro storico impianto a Osnabrük, si prospetta la vendita. Ammaina bandiera destinato a un impatto non meno drammatico della riconversione del suo gemello. Con la chiusura di Dresda e Osnabrük, Volkswagen manterrà attivi solo cinque stabilimenti per la produzione di veicoli in Germania, un segnale di forte contrazione e perdita di centralità industriale.Dal 2027, la produzione della Golf e della sua versione station wagon, modelli iconici, sarà trasferita in Messico, segnando una pesante perdita per il sistema produttivo europeo.Sul fronte degli organici, è un bollettino di guerra. Entro il 2030 i lavoratori saranno ridotti di 35.000 unità e non saranno rimpiazzati, con conseguente perdita di competenze e nessuna prospettiva di ricambio generazionale. Chi resta dovrà accontentarsi di una busta paga magra. I lavoratori Volkswagen non potranno usufruire degli aumenti salariali del 5% concordati a livello federale. La sospensione durerà fino al 2031.È evidente che non si tornerà più ai volumi produttivi dell’automotive pre crisi. È una strada a senso unico dettata da un mercato che si muove in modo diverso da quello che vorrebbero le istituzioni europee, caparbiamente ancorate alle tappe della transizione ecologica. Resta da vedere se il requiem dell’auto suonerà anche per le industrie a essa collegate. Il Piano Italia, se confrontato con quello di Volkswagen, offre margini di speranza anche se, nonostante le strategie e gli aiuti, è sempre il mercato a essere sovrano. Cioè se non si vende, non si può produrre. Il coordinamento del governo e del Mimit (il ministero del Made in Italy) ha consentito di evitare l’esito catastrofico di Volkswagen. A fronte delle chiusure in Germania, gli stabilimenti di Stellantis resteranno attivi e senza tagli al personale. È previsto un piano di ricambio generazionale attraverso programmi di inserimento, aggiornamento e riqualificazione delle risorse umane. Una svolta significativa rispetto alla strategia dell’ex ad, Carlos Tavares, e a quanto accade nel resto d’Europa ma che comunque non consente di brindare allo scampato pericolo. Nel Piano Italia, Stellantis torna a scommettere sul nostro Paese, ponendo al centro della sua strategia industriale gli stabilimenti nazionali e spostando centri di ricerca e direzionali in Italia. Un percorso diverso rispetto a quello intrapreso da Volkswagen, a dimostrazione di come un dialogo efficace tra istituzioni e imprese possa garantire uno sviluppo sostenibile.Ma questi sforzi italiani non saranno valsi a nulla e potranno poco se da Bruxelles non arriverà, chiara, l’intenzione di anticipare l’esame dei risultati della transizione ecologica, al prossimo anno, eliminando le sanzioni legate al nuovo tetto delle emissioni di CO2. La parola ora passa alla Commissione Ue di Ursula von der Leyen e chissà che il crollo dell’industria dell’auto tedesca non porti migliori consigli. In caso contrario, il Piano Italia è a rischio di riuscita.