2024-02-01
Dopo le tempeste con Renzi e Pinotti, gli emiratini mollano gli aerei Piaggio
Matteo Renzi nello stabilimento Piaggio Aerospace di Villanova d'Albenga (Ansa)
Il fondo di Abu Dhabi scrive ai commissari straordinari: «Non siamo interessati a inviare una proposta». Serve un’altra gara per salvare il gruppo dell’aerospazio rovinato anche dalle scelte dei governi di sinistra.Da un paio di giorni i centralini di Piaggio Aerospace a Villanova D’Albenga sono intasati dalle telefonate dei sindacati dei lavoratori di un’azienda ormai da 6 anni in amministrazione straordinaria. Il 30 gennaio, infatti, sono scaduti i termini per la presentazione delle offerte per l’acquisto della società nota nel mondo perché produttrice del mitico P180, un aereo che fece la sua fortuna negli anni Ottanta e Novanta. I sindacati chiamano, ma nessuno vuole rispondere. Di ufficiale, al momento, c’è solo il silenzio della stessa Piaggio. Ma ormai, dopo quasi 10 anni di crisi industriale e i danni compiuti dai vecchi governi di centrosinistra (da Matteo Renzi a Giuseppe Conte), è difficile stupirsi di un’azienda che nel 2018 (il ministro della Difesa era la dem Roberta Pinotti) vantava un debito di oltre 600 milioni di euro con 1.300 dipendenti a carico. Ora i lavoratori sono 790 (ne sono stati tagliati 500) e le commesse rimaste sono tutte commissionate dalla nostra aeronautica. Tra queste c’è ancora la riparazione motori e la realizzazione di 20 nuovi aerei, anche se i tempi vanno per le lunghe. Di fatto Piaggio è ormai praticamente un’azienda statale, anche se nel 2015 proprio il governo Renzi aveva deciso di cederla al fondo emiratino Mubadala, confidando in un rilancio e persino nella realizzazione di un drone P.1hh, obiettivi che si sono rivelati entrambi fallimentari: il drone finì persino in mare, per ragioni che restano misteriose, durante un giro di prova. Nelle ultime settimane si era tornati a parlare del possibile interesse di Invitalia e di Cassa depositi e prestiti, mentre tra i sindacati c’è sempre chi spera nell’arrivo di Leonardo. Del resto, giunti ormai al terzo bando di cessione, anche la precedente scadenza di fine novembre 2023 fu superata e poi allungata con una nota di metà dicembre fino alla fine di gennaio. È probabile che vada così anche questa volta. Di certo c’è che ormai appare sempre più evidente che Piaggio Aerospace sia un’azienda su cui non vuole investire più nessuno. Lo spiega bene in una lettera inviata ai commissari Carmelo Cosentino, Vincenzo Nicastro e Gianpaolo Davide Rossetti, il fondo emiratino di private equity Mark Ab Capital. A quanto risulta alla Verità, infatti, questa società di investimento che raccoglie capitali delle ricche famiglie degli Emirati Arabi Uniti, era la più quotata per poter fare un’offerta e acquistare l’azienda. Tra i nomi che erano circolati nei mesi scorsi c’era anche quello dell’imprenditore italo-indiano Singh Grewal del Gruppo Greran e una cordata con due membri della famiglia Porsche Jovanka e Hans Ferdinand, oltre ad alcune società cinesi, come Yuhui Aero Industry Holding. Peccato che nessuna di queste avesse la forza per risollevare questo tipo di azienda. Mark Ab poteva invece essere all’altezza, tanto che alcuni emissari emiratini erano stati a visitare l’azienda lo scorso 16 gennaio. Lunedì scorso però, 29 gennaio, è arrivata la doccia fredda di prima mattina. «Egregi commissari straordinari», recita la missiva, «esprimiamo la nostra sincera gratitudine per averci dato la possibilità a partecipare alla gara per l’acquisizione della Piaggio Aerospace [...] Vi ringraziamo in particolare per tutto il supporto fornito al nostro team [...]. Come già indicato nella nostra manifestazione di interesse con la potenziale acquisizione di Piaggio Aerospce, Mark Ab vuole sostenere la strategia del governo degli Emirati Arabi Uniti con il rilancio di Piaggio e con la creazione di una forte sinergia con SuperJet International, un’altra azienda aeronautica italiana che Mark Ab sta acquisendo». Sono iniziative, scrive l’amministratore delegato Abdulla Mohammad Hassan Abdulla che mirano a rafforzare il legame industriale tra gli Emirati Arabi Uniti e l’Italia». Ma, «purtroppo», continua la missiva, «avendo solo un mese a disposizione e anche con le vacanze di Natale il tempo non è bastato per valutare appieno il potenziale dell’acquisizione Piaggio che, tra l’altro, richiede un grosso investimento [...]». Il possibile ritorno di un fondo emiratino, sebbene più piccolo rispetto a quello sovrano Mubadala (proprietario della squadra di calcio del Manchester City), avrebbe forse potuto rilanciare un’azienda che viene comunque tenuta sempre in considerazione sia dalla nostra aeronautica sia dalla politica sul territorio. Lo stesso Renzi nel 2014 aveva presentato in pompa magna i nuovi stabilimenti rilanciando appunto l’accordo con gli Emirati Arabi Uniti. Peccato che i progetti di sviluppo, come molti dei requisiti che erano associati alla realizzazione dei droni si siano dimostrati più difficili da raggiungere di quanto stimato inizialmente. Non solo. All’errata valutazione della complessità del programma, si sono aggiunti finanziamenti non adeguati (i 340 milioni di euro iniziali erano troppo pochi) e un eccessivo cambio del management che fu deciso dagli azionisti e da istituzioni italiane un po’ troppo compiacenti. Fattori questi ultimi, che uniti agli interessi personali e diplomatici della politica (Renzi iniziava a quei tempi ad accreditarsi tra i Paesi del golfo) hanno contribuito ad affossare l’azienda. I cui destini son ora appesi a un filo.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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