2024-11-20
Pfizer censurò i contratti sui vaccini e ora si finge paladina della verità
Il colosso si vanta della sua iniziativa contro le fake news. Eppure la trasparenza non era tra la sue priorità quando gli atti sulla vendita di dosi all’Ue furono sbianchettati e il capo Albert Bourla diede buca all’Europarlamento.Che Pfizer fosse entrata nelle scuole e nelle università italiane era cosa già nota. La multinazionale del farmaco è salita sulle cattedre l’anno scorso, come La Verità aveva spiegato, per «alfabetizzare» gli studenti contro lo «disinformazione». Ma a tornare a parlare dell’iniziativa (battezzata «A dire il vero») l’altro ieri è stato Biagio Oppi, external communications director di Pfizer Italia, a margine della conferenza «Fake off, spegniamo la disinformazione», organizzata da Havas Pr a Milano. «L’idea è quella di non limitarci al debunking, quindi fare il fact checking sulle notizie che possono essere false o fuorvianti, ma cercare di mettere in moto, appunto l’attività di pre-bunking, promuovendo un’alfabetizzazione mediatica sui temi della salute. In questo modo, aiutiamo le persone ad avere quel senso critico per decifrare potenziali fake news e avere gli strumenti per trovare la verità». L’iniziativa si focalizza «sulle scuole, quindi studenti e professori, e sui master di giornalismo universitari, rivolgendosi così ai futuri comunicatori. E, infine, abbiamo iniziato a lavorare sia con l’Ordine dei giornalisti per i giornalisti delle testate locali e con le associazioni dei comunicatori Ferpi e Pa Social», ha spiegato il portavoce del colosso. Il quale, in effetti, non fa che il suo mestiere: promuovere l’operato dell’azienda per cui lavora. A noi, invece, spetta l’ingrato compito di mettere i puntini sulle i. Iniziando dal concetto di «pre-bunking», pratica che, ironia della sorte, gli studiosi definiscono «vaccinazione attitudinale». In sostanza, si insegna agli utenti dei social, o agli studenti e giornalisti nel caso del progetto di Pfizer, a riconoscere trucchi e tecniche di manipolazione della realtà per non cadere nelle trappole delle fake news, o presunte tali. Prevenire, insomma, anziché curare col «debunking» e «fact-checking». Ma chi decide cosa sia classificabile come «manipolazione»? Chi stabilisce i criteri per decidere se la realtà presentata sia stata «distorta»? Non serve essere maliziosi perché sorga il dubbio che determinare cosa sia «verità» e cosa no assomigli più all’indottrinamento che alla lotta alla disinformazione. Se poi, a combattere contro le fake news in nome della trasparenza è proprio Pfizer, oltre ai dubbi viene pure da ridere. Se l’azienda farmaceutica ha così a cuore la verità e la limpidezza, infatti, non si capisce come mai i contratti ultra miliardari stipulati nel 2020 con la Commissione europea fossero stati pubblicati con larga parte del contenuto oscurato, tra cui anche numero di dosi e prezzi di ognuna. Cifre che arricchirono spaventosamente i colossi farmaceutici, a spese dei cittadini, che le parti interessate volevano tenere segrete. Tra gli articoli censurati, come è noto, c’era anche quello che avvertiva che «il vaccino, i materiali ad esso legati, le loro componenti e i materiali costituenti sono stati sviluppati con rapidità a causa delle circostanze d’emergenza [...]. Lo Stato membro coinvolto è altresì consapevole che gli effetti a lungo termine e l’efficacia del vaccino non sono attualmente conosciuti e che potrebbero esserci effetti avversi al vaccino al momento sconosciuti». Resta da capire, inoltre, perché prima e durante questa crociata in nome della realtà e dell’oggettività portata avanti da Pfizer, proprio l’amministratore delegato Albert Bourla si sia rifiutato per ben due volte di apparire davanti al Parlamento europeo per riferire sulle trattative per la fornitura di vaccini via sms con Ursula von der Leyen. Messaggi che sparirono, dando vita allo scandalo battezzato, appunto, «Pfizergate». La multinazionale, come noto, si limitò a mandare all’Eurocamera Janine Small, una sottoposta di Bourla che, sempre per amor di verità e chiarezza, rise in faccia a chi le chiedeva se la sua azienda avesse effettuato test sull’efficacia dei vaccini nel fermare la trasmissione del Covid prima della loro immissione sul mercato. La risposta, come noto, fu negativa, ma a causa di quel falso mito migliaia di persone furono costrette a vaccinarsi o, altrimenti, perdere il lavoro e restare fuori dai bar e dai mezzi pubblici. Anche grazie a una campagna mediatica incessante dei media italiani che giustificava la discriminazione e incitava alla delazione del vicino in nome dell’assoluta necessità di vaccinarsi per fermare i contagi. Un ottimo esempio di disinformazione, un caso-studio che Pfizer &C. potrebbero portare in cattedra davanti agli studenti, «a dire il vero».
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)