2020-05-21
Non solo la Romano, in Somalia Erdogan lavora per prendersi il petrolio
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A Mogadiscio quest'anno ci saranno le elezioni presidenziali ma soprattutto saranno assegnati 15 blocchi esplorativi con riserve stimate del valore complessivo di circa 30 miliardi di barili. Nel frattempo non è ancora terminata la disputa con il Kenya per i giacimenti di fronte al porto di Lamu. La Turchia di Recep Tayyip Erdoğan è in prima fila per accaparrarsi il petrolio dell'ex colonia italiana. Michele Marsiglia, presidente di Federpetroli: «La liberazione di Silvia ha destabilizzato alcuni attori internazionali interessati alle zone africane, oggi sempre più terra di investimenti nell'Oil & Gas».Il sequestro e la liberazione di Silvia Romano, la cooperante italiana della Ong Africa Milele, ha lasciato strascichi dal punto di vista geopolitico. L'aiuto dell'intelligence turca, il Mit (Milli Istihbarat Teşkilati) di Hakan Fidan, il ruolo non del tutto chiarito del Qatar, dove si sarebbe pagato il riscatto, ma anche l'intervento dei somali, ha lasciato sul tavolo ancora diversi nodi da sciogliere. Di sicuro dietro alle trattative su Aisha, il nuovo nome islamico della ragazza milanese, c'è anche un gioco di relazioni e ricatti tra paesi islamici alla conquista dell'Africa, il continente su cui ha messo gli occhi da tempo il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Va ricordato infatti che nell'oceano Indiano di fronte a Kenya e Somalia si gioca da anni il futuro delle estrazioni di gas naturale e petrolio, un bottino da 30 miliardi di barili su cui proprio la Turchia ha iniziato a mettere gli occhi a gennaio. Si tratta di un bacino petrolifero già al centro di una annosa disputa tra somali e kenyoti, con i primi che accusano i secondi di aver sottratto loro parti di mare per consegnarle a compagnie petrolifere straniere, tra cui anche la nostra Eni, Total e Qatar Petroleum. Tensioni che sono aumentate durante il sequestro della ragazza, rapita in Kenya e poi liberata a Mogadiscio.In Somalia il 2020 è l'anno delle elezioni presidenziali. Il presidente, Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo, ha firmato nelle scorse settimane una legge federale che permetterà al paese di tenere le sue prime elezioni popolari dopo mezzo secolo. Ma il paese resta lacerato. Nel sud, nello Jubaland a confine con l Kenya, comanda Ahmed Mohamed Islam, detto Madobe, ex fondatore del gruppo terroristico Al Shabbab che ha rivendicato il pagamento del riscatto della cooperante italiana. In mezzo c'è un mare di petrolio conteso. Sempre quest'anno la Somalia assegnerà i primi lotti dei giacimenti. L'area offshore in questione si riferisce ai blocchi 152, 153, 164, 165, 177, 178, 204 ufficialmente offerti in licenza di esplorazione dal Ministero del petrolio della Somalia in ultima pubblicazione di gara. Il totale è rappresentato da circa 15 blocchi esplorativi con riserve stimate del valore complessivo appunto di circa 30 miliardi di barili. I diritti di sfruttamento, come ricordava il giornale dei frati comboniani Nigrizia, si trovano in un'area di 100 chilometri quadrati di oceano indiano, un triangolo che ha uno dei suoi vertici a Lamu, un porto su cui il presidente kenyota Urhuru Kenyatta vuole costruire il rilancio del suo paese. La disputa sui confini non è ancora terminata. Proprio oggi per la terza volta la Corte internazionale di giustizia (Cig) dell'Aja ha rinviato l'udienza che doveva dirimete la vertenza tra Kenya e Somalia. Va avanti dal 2014, con i somali che rivendicano vecchie convenzioni e un confine che segue quello terrestre, mentre Nairobi insiste sui vecchi accordi post fase coloniale. In ogni caso il 2020 sarà anche l'anno di Offshore Somalia, saranno assegnate alle compagnie petrolifere i lotti e i diritti di sfruttamento dei giacimenti. Il lancio della prima gara di appalto per l'assegnazione delle licenze petrolifere in Somalia è prevista per il prossimo 4 agosto. Per questo motivo, Michele Marsiglia, presidente di Federpetroli, nei giorni scorsi ha sollevato il tema, spiegando appunto che «tra Somalia e Kenya c'è di mezzo il mare e il petrolio», rispetto all'intrigo intorno alla liberazione di Silvia Romano. «L'attenzione dei media durante questi giorni si è soffermata sull'aiuto dell'intelligence turca al risultato della liberazione della cooperante italiana» dice Marsiglia «non è sbagliato ma i Paesi a capo di tutto sono Somalia e Kenya, base di partenza della vicenda Romano. Già dalle ultime vicende politiche il destino dei due paesi africani non era chiaro. L'Africa ha ripreso un ruolo determinante sulla scena petrolifera internazionale, si potrebbe dire al pari del Medio Oriente, considerando che diversi Progetti sono rimasti fermi per anni, basta guardare il Mozambico, l'Angola, il Congo. Prima o poi qualcuno verrà a battere cassa anzi, anche il nostro settore attende a momenti lo stravolgersi di importanti dinamiche geopolitiche. I due Paesi africani per noi sono da sempre punti nevralgici per importanti giacimenti petroliferi offshore nelle acque a largo di Somalia e Kenya, dove la linea di confine tra i due paesi è da anni motivo di disputa politica ed economica». Per di più le acque dell'oceano Indiano sono direttamente collegabili alle zone degli Emirati Arabi Uniti, dove Eni ha una tre importanti raffinerie con una capacità di raffinazione complessiva che supera i 900 mila barili al giorno.Continua Marsiglia: «La liberazione di Silvia ha destabilizzato alcuni attori internazionali interessati alle zone africane, oggi sempre più terra di investimenti nell'Oil & Gas. Ci troviamo su tre fronti diversi, la preoccupazione di cosa succederà in Libia, visto l'aiuto di Ankara al nostro Paese e come l'Italia ricambierà questa moneta di favore, dall'altra parte le nostre analisi e considerazioni si sono focalizzate da giorni anche su cosa la Somalia e il Kenya chiederanno, non solo all'Italia, bensì alle compagnie petrolifere internazionali che detengono le quote nello sfruttamento dei giacimenti offshore. Non parliamo solo dell'Energia Italiana ma sono coinvolti altri Stati e relative aziende petrolifere che hanno fatto dell'Oceano Indiano un hub strategico per il futuro energetico».
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