2024-05-01
Persino Trump ora molla Netanyahu. Ma Bibi va avanti: «Entreremo a Rafah»
Benjamin Netanyahu (Ansa)
Il premier israeliano stretto tra un governo diviso, le pressioni americane e il mandato della Corte penale internazionale.Sono acque sempre più agitate quelle in cui sta navigando la leadership di Benjamin Netanyahu. Per capirlo, basta dare un’occhiata alla questione della bozza di accordo sugli ostaggi: una bozza, il cui destino resta per il momento avvolto nel mistero. Un funzionario israeliano ha riferito ieri al Times of Israel che l’intesa prevedrebbe un cessate il fuoco di dieci settimane in cambio del rilascio di 33 prigionieri da parte di Hamas, la quale dovrebbe dare a sua volta una risposta a Gerusalemme entro stasera. Tuttavia il funzionario ha anche precisato che «in nessun caso Israele accetterà di dichiarare la fine della guerra». In tal senso, lo stesso Netanyahu, che oggi dovrebbe incontrare il segretario di Stato americano Tony Blinken, ha escluso che l’eventuale raggiungimento di un’intesa fermerà l’offensiva israeliana contro Rafah. «L’idea che fermeremo la guerra prima di raggiungere tutti i suoi obiettivi è fuori discussione», ha detto il premier israeliano. «Entreremo a Rafah ed elimineremo lì i battaglioni di Hamas con o senza un accordo, per ottenere la vittoria totale», ha aggiunto. Tutto questo, sebbene una fonte israeliana avesse riferito, poco prima, alla Cnn che «l’unica possibilità» per fermare l’operazione contro Rafah era quella di «un accordo».E così, mentre ieri il raggiungimento di un’intesa veniva caldeggiato sia da Blinken sia dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, l’esecutivo israeliano risultava attraversato da significative divisioni intestine. Il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben Gvir, ha avuto parole politicamente dure per Netanyahu. «Ho avvertito il primo ministro delle conseguenze se, Dio non voglia, Israele non entrerà a Rafah, se, Dio non voglia, finiamo la guerra, se, Dio non voglia, ci sarà un accordo sconsiderato», ha detto, per poi aggiungere: «Il premier ha ascoltato le mie parole, ha promesso che Israele sarebbe andato a Rafah, ha promesso che la guerra non sarebbe finita e ha promesso che non ci sarebbe stato un accordo sconsiderato». A opporsi all’accordo con Hamas, da lui definito «disastroso» è stato anche il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich. Di tutt’altro avviso si è invece mostrato Gadi Eisenkot, ministro senza portafoglio, che ha accusato Ben Gvir e lo stesso Smotrich di «ricattare con minacce politiche». Infine, aspetto forse ancora più significativo, la riunione del gabinetto di guerra israeliano, che era stata convocata per ieri sera, è stata annullata. «La cancellazione», ha riportato il Times of Israel, «arriva nel mezzo di forti disaccordi tra i membri del gabinetto su un possibile accordo sugli ostaggi mediato dall’Egitto e sul suo potenziale impatto sull’imminente operazione israeliana di Rafah». Insomma, la leadership israeliana è spaccata tanto sull’offensiva di terra quanto sull’eventuale intesa con Hamas.Nel frattempo, Netanyahu deve fronteggiare le pressioni americane: ieri, il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Kirby, ha ribadito il no di Washington all’operazione contro Rafah. A rendere la situazione più difficile per il premier israeliano è stato poi Donald Trump. «Bibi Netanyahu è stato giustamente criticato per ciò che è accaduto il 7 ottobre», ha affermato il candidato presidenziale repubblicano in un’intervista rilasciata a Time, accusando il premier israeliano di aver ritirato il proprio appoggio all’operazione che portò all’uccisione del generale iraniano, Qasem Soleimani, nel 2020. Una posizione, quella di Trump, che complica ulteriormente la questione del sostegno americano a Netanyahu. Un altro fronte che il premier deve gestire è poi quello della Corte penale internazionale, che, secondo il New York Times, potrebbe presto spiccare un mandato di cattura nei suoi confronti. Ieri Netanyahu ha bollato una tale eventualità come uno «scandalo di portata storica» e un «crimine di odio antisemita senza precedenti», aggiungendo che un simile scenario non impedirebbe comunque a Israele di riportare gli ostaggi a casa e di sconfiggere Hamas. «Voglio che sia chiara una cosa: nessuna decisione, né all’Aia né altrove, potrà danneggiare la nostra determinazione a raggiungere tutti gli obiettivi della guerra», ha detto.Frattanto, sul processo diplomatico incombe un convitato di pietra: l’Iran. Indizi e indiscrezioni hanno lasciato recentemente intendere che Teheran sia vicina al conseguimento dell’arma nucleare e, proprio ieri, è stato reso noto che il direttore generale dell’Aiea, Rafael Grossi, dovrebbe recarsi nella Repubblica islamica tra il 6 e l’8 maggio, per incontrarne alcuni funzionari. Gli ayatollah sono inoltre preoccupati per il riavvicinamento tra sauditi e israeliani, mediato dagli americani: guarda caso, lunedì sera, gli Huthi, notoriamente spalleggiati dall’Iran, hanno denunciato la convergenza tra Riad e Washington. Dall’altra parte, la Cina, che con Teheran siglò un accordo di cooperazione venticinquennale nel 2021, ha reso noto di aver ospitato Hamas e Fatah per dei colloqui che avrebbero registrato dei «progressi incoraggianti». Pechino sta insomma cercando di rafforzare la propria influenza su tutto il Medio Oriente, mettendo indirettamente i bastoni tra le ruote agli Usa, che puntano a una Striscia di Gaza guidata all’Anp. E intanto Joe Biden si ostina a non ripristinare la politica trumpiana della «massima pressione» sul regime khomeinista.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.