2021-03-14
Persino la monarchia britannica subisce la sindrome del piagnisteo
Harry Windsor e Meghan Markle (Ansa)
Gli ultimi tormenti dei Windsor nascono dalle lamentazioni avanzate da Meghan Markle su presunti «diritti violati». Ma anche tra la gente comune ormai dominano atteggiamenti recriminatori al posto del sano, concreto, agire.Un lamento gridato bel forte, previo accordo con media di alta diffusione, oggi vale più di una laurea d'eccellenza o un premio importante. Farà però bene anche agli altri, alla società nel suo complesso, questo sguainare lamenti come spade affilate, o anche come cambiali che la società dovrà poi rimborsare al lamentoso? È forse il caso di chiedersi che fine avrebbe fatto, nella fiaba di Perrault, di notte, il povero Pollicino se avesse seminato nel bosco lamenti, anziché sassolini bianchi ben visibili al chiarore lunare. Di sicuro non avrebbe mai potuto ritrovare la strada di casa, né compiere tutte le sue successive imprese, che portarono la famiglia del taglialegna dalla fame più nera al benessere e alla felicità. L'abbandono del lamento, e la sua sostituzione con l'azione, intelligente anche se discreta (come i sassolini di Pollicino), è rimasta infatti finora la pietra miliare di ogni processo formativo ed educativo, e non solo nelle fiabe, ma in ogni pedagogia ed educazione sensata. Da un bel po' però, la musica è cambiata. Come illustrato, ad esempio dalla citatissima (ancora prima di essere fatta) intervista rilasciata dalla duchessa di Sussex all'intervistatrice suprema Oprah Winfrey: un capolavoro di lamento, perfettamente confezionato e pesato con cura. L'intervistata è ora al centro dell'attenzione mondiale, e quindi anche dell'attività di due o tre settori economici chiave, come lo spettacolo, la moda, l'industria del lusso e chissà cosa altro. Il tutto prodotto dal lamento, senza cimentarsi in esami o prove di merito. Un lamento ben piazzato vale più di un premio Nobel; anzi potrebbe assicurarti punti nel fartene ottenere uno.Materia della micidiale arma del lamento sono in genere i «diritti», che però con il passare del tempo e il crescere del prestigio lamentoso finiscono col riguardare praticamente qualsiasi cosa, come l'intervista ducale dimostra con assoluta evidenza. Ad esempio una delle questioni più citate e accompagnate da manifestazioni di commozione della duchessa e l'indignazione del pubblico sconvolto è il fatto che nella famiglia e palazzo reale ci si interessasse al colore della pelle del piccolo in arrivo. Ciò rivela tutta la falsa coscienza (bene indagata da Joseph Gabel) e il razzismo di ritorno di questo tipo di discorsi e tormentoni. Perché è più che normale che in una ormai interetnica famiglia della Londra del terzo millennio all'arrivo di un nuovo bambino ci si chieda di quale colore sarà la sua pelle; come che in un'altra, dove i genitori hanno occhi di colori diversi ci sia chi punta sull'azzurro, marrone o verde. Il tacere sarebbe invece rivelatore di un imbarazzo o di complessi di superiorità, quelli sì razzistici. Figuriamoci poi in casa Windsor, che fino a Settanta anni fa regnava su un Impero mondiale, di sudditi per la maggior parte di colore. Malgrado tutto ciò, però, vince invece il lamento, in barba alla storia, al buonsenso, e soprattutto alla buona educazione civica intesa in senso alto, che è la grande rimossa da questo disastro antropologico e - appunto - educativo. Così il perfetto lamento dell'agiata duchessa commuove ed indigna il mondo intero. Contemporaneamente, però, dimostra tutta l'ambiguità dei «diritti» su cui il lamento si basa. Qual è il diritto che deve prevalere? Quello della duchessa, cui dà fastidio che ci si interessi al colore della pelle del figlio, ma contemporaneamente fa sapere al mondo intero della questione? O quello del bambino di rimanere se possibile in buoni rapporti affettivi con la nonna regina e il resto della famiglia, con relativa tradizione, storia e patrimonio?In qualsiasi caso chi si lamenta assume una posizione psicologicamente parassitaria, non crea nulla, ma rimanda la palla al bersaglio del lamento stesso. (Nel caso Sussex-Windsor la regina ha rilasciato una dura dichiarazione, annunciando una severa inchiesta per ricostruire l'accaduto, e avvisando che «potrebbero emergere ricordi diversi»). È sempre l'altro, comunque, che deve rimediare, facendo o dicendo qualcosa. L'impero del lamento produce così una società sostanzialmente improduttiva, vittimistica e vagamente ricattatoria, dove la creazione e produzione di beni e idee vengono sostituite dal risarcimento dei danni a colui che protesta. Il problema non riguarda solo il mondo femminile dove il lamento/denuncia ha avuto uno sviluppo rigoglioso, anche a seguito del movimento Me too e i suoi casi copertina. Gli uomini non sono affatto al riparo dalla sindrome del piagnisteo. Uno degli scrittori più amati nel mondo maschile, Chuck Palahniuk autore di Fight Club, il libro da cui fu tratto il film cult dei movimenti maschili di inizio secolo, sostiene che il lamento sia il contrario della creatività e del «fare», indispensabile all'identità maschile. Il successo del piangersi addosso e accusare l'altro deriva secondo lo scrittore dalle difficoltà con la posizione attiva del maschio contemporaneo, indebolito dai condizionamenti dei consumi e dalla criminalizzazione sociale dell'aggressività, tuttavia indispensabile nella vita e psicologia dell'uomo. È per questo che nel film Brad Pitt comincia subito a prendere a pugni Edward Norton, appena conosciuto, e i due, ormai legati da ferrea amicizia, passano rapidamente a fondare con enorme successo dei club maschili di lotta, ristabilendo così un contatto con l'aggressività e il corpo, al di fuori di discorsi e lamenti, suscitati anche dalla frequente assenza o irrilevanza della figura paterna. Secondo Palahniuk il messaggio di Fight Club è quello di «diventare forti attraverso piccole e crescenti sfide»: una ripresentazione attualizzata delle iniziazioni da sempre indispensabili all'identità maschile, e abbandonate nella società attuale tranne in ambienti assolutamente elitari e ristretti. Palahniuk riprende così l'idea e la pratica dei riti psicofisici di formazione dell'uomo per aiutarlo ad uscire dal lamento e ritrovare il gusto del fare e rischiare, che aveva animato i movimenti degli uomini in America negli anni Novanta con i lavori di Robert Bly, e in Europa con i miei. Un programma tuttora attivo anche in Italia ( con iniziative come quella di Campo maschile, condotto a Brescia dallo psicoanalista junghiano Paolo Ferliga). Per certi versi è il contrario della pratica e filosofia politica dei lock down: la «distanza sociale» viene qui sostituita dal contatto, per giunta anche duro e faticoso, come metodo educativo. Un perfetto programma per selvatici bastian contrari.