2020-02-07
Persino i Benetton scaricano Toscani. L’ultimo delirio gli è costato il posto
GettyImages /Jacopo Raule
Dopo le dichiarazioni del fotografo sul ponte Morandi, il gruppo lo mette alla porta: «Impossibile continuare il rapporto di collaborazione». Già dopo la tragedia il creativo aveva insultato gli italiani: «Popolo frustrato».Conoscendone la bulimia mediatica resterà senza parole solo per qualche minuto ma vale la pena godersi lo spettacolo. Licenziato, allontanato. Anche la famiglia Benetton, forse con qualche anno di ritardo, ha deciso di troncare ogni rapporto con il fotografo di moda dall'ego ipertrofico e lo ha fatto con un comunicato che spiega tutto. E che lascia intendere una volta di più l'insostenibile pesantezza dell'ultima uscita di Toscani, quando a Un giorno da pecora su Radiouno ha sibilato con turpe allegria: «Ma in fondo a chi interessa se casca un ponte? Smettiamola». Quarantatrè morti e 600 sfollati, Genova travolta da lacrime e dolore, l'Italia pietrificata. I Benetton, azionisti preminenti di Società Autostrade che aveva in gestione il viadotto, non potevano digerire anche questa. «Benetton Group, con il suo presidente Luciano Benetton, nel dissociarsi nel modo più assoluto dalle affermazioni di Oliviero Toscani a proposito del crollo del ponte Morandi, prende atto dell'impossibilità di continuare il rapporto di collaborazione con il direttore creativo». Questa la nota d'addio all'image maker e ai suoi deliri, con una doverosa sottolineatura: «L'azienda e il presidente rinnovano la sincera vicinanza alle famiglie delle vittime e a tutti coloro che sono stati coinvolti in questa tremenda tragedia». L'ultimo atto si è consumato alla radio, dove Toscani era stato invitato a spiegare la fotografia a sfondo politico sua e dei Benetton con i rappresentanti delle Sardine in visita di cortesia alla Fabrica, l'incubatore di idee del gruppo, definita con orgoglio «centro di sovversione culturale» per avvertire anche in età avanzata (compie 78 anni il 28 febbraio) il fremito estetico e gli afrori giovanili della rivoluzione. Lì il Che Guevara del teleobiettivo e i nuovi girotondi, come tengono a sottolineare con una dose industriale di provincialismo, «hanno conversato a lungo in inglese». Travolto come spesso gli accade dal furore della polemica e del paradosso, l'inventore di United Colors of Benetton e di alcune campagne pubblicitarie di successo spacciate per lampi d'arte postmoderna (negli anni '90 i contratti pubblicitari trasformavano chiunque in Man Ray), ha voluto lanciare la più sgangherata delle provocazioni. «Noi come Fabrica con Autostrade non abbiamo proprio niente a che fare. Benetton sì, ma è un azionista di una società di cui la famiglia ha il 30%. Magari anche lei (rivolto al conduttore, ndr) ha investito in banca e ha un'azione di Autostrade. È come se anche lei fosse responsabile della caduta del ponte. Ma in fondo a chi interessa se casca un ponte? Smettiamola».Studio radiofonico basito, con il colonnello renziano di Italia viva, Gennaro Migliore, incapace di replicare a tono al delirio del fotografo. Di ben diversa intensità la risposta di Egle Poletti, presidente del comitato delle vittime del ponte: «Quarantatrè morti innocenti per lui conteranno poco ma per noi erano tutto». Dopo un giorno di bufera a tutti i livelli, Toscani ha ripensato alle sue parole e si è vergognato: «Quella frase è stata estrapolata, sono distrutto umanamente». Ma la marcia indietro non è bastata a salvare il posto all'ingestibile direttore creativo, al quale Luciano Benetton ha indicato la porta d'uscita.Spesso protagonista di polemiche urticanti, sulla tragedia del ponte Morandi ha dato il peggio. L'indomani del crollo accusò i «veri responsabili del dramma, gli italiani. Quello italiano è un popolo frustrato, infelice. È ingiusto prendersela con i Benetton, loro sono persone sensibilissime. Ormai quello italiano è un popolo di infelici incattiviti. Ma allora prendiamoci a sberle per strada, sarebbe più sano». Una posizione che suscitò sconcerto. Disturbato dalla rabbia di chi aveva perso tutto, dall'angoscia di chi aveva visto in Tv o sul web immagini molto più concrete e disperate di quelle vellutate e di charme che lui propina al mondo da mezzo secolo, l'Oliviero nazionale si risentì. E non trovò di meglio che difendere i suoi storici datori di lavoro, coloro che lo hanno reso ricco per averli aiutati a moltiplicare la vendita di magliette e pullover.Pur non essendosi mai distinto per salomonico equilibrio, da alcuni anni Toscani si segnala per vaneggiamenti da cocktail. Le sue ultime campagne di marketing sono addirittura fluo. Per esempio quella contro i veneti, definiti «popolo di ubriaconi alcolizzati». Pennellate di colore, buffetti intellettuali giustificati dagli illuminati del progressismo militante in nome di una libertà di espressione che non a tutti viene riconosciuta. Già allora la famiglia Benetton, che in Veneto ha il suo quartier generale, dovette correre ai ripari per mettere cerotti alla provocazione. L'Oliviero fu frainteso? Difficile perché si affrettò ad aggiungere: «Poveretti i veneti, non è colpa loro se uno nasce in quel posto. È un destino. Basta sentire l'accento veneto: è da ubriachi, da alcolizzati, da ombretta, da vino». Per la cronaca, la Cassazione rigettò una querela di quattro veneti leggermente irritati. Dopo avere insultato anche i sardi e gli italiani tutti per avere votato Matteo Salvini («quel cretino», citazione dal suo vocabolario), Toscani è andato lungo con la sua Harley Davidson e non è riuscito a frenare. Licenziato, finalmente muto. La stupenda foto di un tramonto.
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