2024-08-02
Perde l’italiana, vince la realtà
Angela Carini (Getty Images)
Angela Carini abbandona il match olimpico dopo appena 46 secondi («Colpi troppo forti, rischiavo danni seri») e fa esplodere il caso dell’algerino che combatte tra le femmine. Dalla Meloni a La Russa, dalla Rowling a Musk, reazioni indignate in tutto il mondo. Solo la sinistra italiana (politica ed editoriale) si arrampica sugli specchi per difendere l’indifendibile.Chissà perché tutti i difensori di Imane Khelif, pugile che ieri è salito sul ring contro l’italiana Angela Carini costringendola al ritiro in pochi secondi, continuano a parlare di una persona intersex, cioè di un’atleta dal sesso indefinito, quello che un tempo - cioè prima che la questione divenisse terreno minato e politicamente corretto dal movimento Lgbt -avremmo chiamato ermafrodito. In realtà, per quanto ci vogliano convincere del contrario (ma la Corte costituzionale sta dalla nostra parte), di sessi ne esistono solo due: maschile e femminile. E la figura intersex non è prevista, tanto che all’anagrafe non ti iscrivono nella casella vario.Dunque, i tentativi delle varie erinni della sinistra multi-gender (Boldrini e Luxuria tra le altre) di giustificare l’ingiustificabile, si scontrano con la realtà. Non c’è un terzo sesso e nemmeno un quarto e quinto: o si è maschi o si è femmine e a deciderlo ci pensa la natura. Poi certo, c’è chi non si sente a proprio agio nel corpo di donna o di uomo e vuole sostituire il proprio sesso con un intervento chirurgico. Ma per quanto riguarda il corpo e non il pene o la vagina, il fisico resta quello di un uomo o di una donna.Dunque, tornando al caso Imane, è inutile che l’onorevole Alessandro Zan, quello che avrebbe voluto mettere in galera chiunque non la pensasse come lui su gay, lesbiche e compagnia bella, insista a parlare di omofobia. Il caso del pugile fatto combattere contro una donna per non offendere il movimento Lgbt è una vergogna. Altro che competizione inclusiva, senza discriminazioni ed equità, decalogo dietro il quale il Comitato olimpico internazionale si è nascosto per consentire il vergognoso spettacolo di Parigi, con una donna messa a gareggiare con colui che sembra un uomo. Basta leggere le regole che hanno consentito la competizione per rendersi conto dell’imbroglio. Scriveva ieri Repubblica: «Nessun atleta, che sia uomo, donna o in condizione di transizione tra l’uno e l’altro sesso (transgender e intersex), può essere sottoposto a test medici per determinare il proprio genere di appartenenza». Lodevole, era il commento del quotidiano radical chic tendenza Lgbt eccetera. Agghiacciante. Significa che, in nome dell’inclusione e per evitare discriminazioni, nessuno ha accertato il sesso del pugile che sembra un uomo. Nessun medico o esperto si è chiesto se i pugni che Imane Khelif sgancia contro le avversarie siano di un uomo o di una donna. Il Comitato olimpico pare che demandi le valutazioni alle singole federazioni. E quella della boxe, guarda caso, alla finale mondiale di Nuova Delhi ha stabilito che la concorrente algerina non era idonea a combattere contro altre donne. Khelif, a quanto sembra, si era appellata, ma poi aveva deciso di ritirare il ricorso. Ma quello che andava bene a Nuova Delhi non va più bene con le Macroniadi, prima olimpiade dell’orgoglio gay, celebrato sulla sponda della Senna con la parodia in versione drag queen dell’Ultima cena, dove Gesù Cristo era impersonato da una matrona gayssima.Che senso ha fingere che un uomo travestito da donna possa competere alla pari con una donna vera? L’inclusione di chi teorizza il terzo sesso o di chi pur essendo nato maschio si sente femmina, non trasformano il corpo di un uomo in quello di una donna. Si possono far crescere i capelli e il seno, togliere i peli della barba e quelli dal petto, far modellare dal chirurgo plastico i glutei e le caviglie, per averle sottilissime come quelle di Audrey Hepburn. Ma il fisico, la resistenza, la struttura ossea e quella muscolare restano quelle di un uomo. E viceversa. Le Olimpiadi sono una competizione sportiva e per quanto la politica ci voglia mettere le mani, aggiudicandosele come fanno certi regimi dittatoriali per poter trarre lustro per il regime, o per celebrare la grandeur di qualche piccolo uomo politico come Emmanuel Macron, dovrebbe restarne fuori. A maggior ragione, dovrebbe essere impedito che qualche strizzacervelli del movimento Lgbt se ne appropri per fare propaganda gender. In pista o sul ring ci devono essere atleti che non sfruttino le proprie condizioni e non ottengano la medaglia grazie a escamotage e furbizia. In passato si escludevano le atlete russe o cinesi gonfiate dagli anabolizzanti, in quanto la gara non era considerata corretta. Oggi il nuovo doping è l’identità sessuale. A enfatizzare i muscoli non c’è più il farmaco proibito, c’è il gender camuffato, che la cultura politicamente corretta dei vari Zan e Boldrini impedisce di denunciare. Viva Angela Carini, vera combattente contro la deriva Lgbt eccetera.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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