2019-04-02
Per Verona l’ultima «scomunica» dei dannosi ventriloqui del Papa
Il Forum ha ricevuto gli attacchi più violenti dai cosiddetti «difensori di Francesco». Un riflesso pavloviano che era già scattato per Viganò e i cardinali dei dubia. Così il Pontefice viene trascinato nell'arena politica.Il Congresso mondiale delle famiglie, che si è appena concluso a Verona, tra linciaggi preventivi e squalifiche post, ha lasciato un paio di feriti gravi sul campo. Il primo è la libertà di espressione del pensiero, la possibilità cioè di manifestare le proprie opinioni senza incorrere nella gogna (mediatica preventiva e nella narrativa preconfezionata. Si può anche dissentire dai contenuti, ci mancherebbe, ma qui è stata un'inondazione di pregiudizi che ha travolto tutto e tutti, prima, durante e dopo. Sia lodato Giuseppe Cruciani per le parole che ha pronunciato dal palco del Congresso. Nonostante non condivida uno iota delle cose per cui si battono i partecipanti di Verona, Cruciani ha detto che si è sentito uno di loro «perché molti vorrebbero spegnere il microfono da cui io sto parlando adesso. Abbiamo assistito a una vera e propria campagna di criminalizzazione di quello che è un convegno, un incontro tra persone che parlano, che esprimono i loro pensieri». Il secondo grande ferito lasciato sul campo a Verona riguarda la Chiesa cattolica. Il Congresso, infatti, è solo l'ultimo esempio di un riflesso pavloviano che scatta nel mondo cattolico ogniqualvolta una sensibilità diversa si esprime. Le disquisizioni tra il metafisico e il teologico che sono state innescate dalla felpatissima frase del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano («Siamo d'accordo nella sostanza, ma qualche differenza c'è nel metodo») sono solo una foglia di fico. Il tema è un altro e lo troviamo spiegato in un articolo comparso sulla Stampa e sul portale Web Vatican insider, una fonte che sull'aereo di ritorno dal viaggio apostolico in Marocco lo stesso Francesco ha indicato come esempio. In sintesi, la tesi dice che il Congresso è solo il terminale di ambienti cattolici ed evangelici conservatori, anche ortodossi, che vanno dagli Usa alla Russia, passando per i nuovi populismi e che hanno in Francesco il nemico comune. L'errore di metodo sarebbe quello della «culture war». Lo storico Alberto Melloni su Repubblica ha la grazia di definirli «amalgama nera», cioè «la componente clericofascista, l'evangelicalismo suprematista antisemita e la corrente dell'ortodossia contaminate dall'autoritarismo». Qualcuno avvisi le tante famiglie che hanno marciato a Verona domenica pomeriggio, perché forse non sanno di aver fatto parte dell'«amalgama nera».Così il Congresso mondiale di Verona, giunto alla XIII edizione peraltro, viene inserito nella crociata che ha «nel mirino» Francesco, si legge nel titolo di Vatican insider. Quel Francesco che, è sempre Melloni a spiegarcelo, non è un Papa qualsiasi, ma una specie di congiunzione astrale, una di quelle cose che capitano «tre volte a millennio», uno sgretolatore, l'incarnazione dell'«insorgenza evangelica conciliare» venuto a ripulire l'orbe cattolico dall'«amalgama nera», espressione di tutte «le ossessioni dell'integrismo». Ma il Congresso delle famiglie, dicevamo, è solo l'ultimo esempio di questo riflesso. Il dossier dell'ex nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò, pubblicato sulla Verità nell'estate scorsa, ha prodotto la stessa reazione. Anche in questo caso si potrà dissentire sul metodo, sulla richiesta di dimissioni al Pontefice, ma sarebbe anche interessante chiarire e spiegare, rispondendo alle circostanze precise sollevate. No, invece, la questione è stata inquadrata come «operazione politico-mediatica antipapale negli Stati Uniti e in Italia», come dichiarava a un blog di Rai news Andrea Tornielli, oggi direttore editoriale dei media vaticani. Sulla stessa lunghezza d'onda era ovviamente sintonizzato padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà cattolica, la rivista dei gesuiti che esce con il placet delle sacre stanze. L'amalgama nera colpiva ancora una volta, la lista di buoni e cattivi era di nuovo compilata.Un altro caso emblematico di questa malattia è quello dei famosi dubia che quattro cardinali (oggi sono rimasti in due, dopo la morte di Carlo Caffarra e Joachim Meisner) sollevarono al Papa nel 2016 a proposito di alcune ambigue interpretazioni circa la morale cattolica che, a loro giudizio, erano presenti in un capitolo dell'esortazione Amoris laetitia. Anche in questo caso, sebbene la cosa rientri in una prassi prevista dalla Chiesa, il tutto fu interpretato come fronda contro il Papa, una cosa di cui il cardinale Caffarra non riusciva a darsi pace. «Vogliamo sperare che nessuno interpreti il fatto secondo lo schema «progressisti-conservatori: sarebbe totalmente fuori strada», scrivevano le quattro porpore dubbiose. «Siamo profondamente preoccupati del vero bene delle anime, suprema legge della Chiesa, e non di far progredire nella Chiesa una qualche forma di politica». Ma nulla da fare, il riflesso pavloviano era già scattato. Gli interpreti ufficiali di papa Francesco avevano già inserito i dubia al capitolo «operazione» dei soliti ambienti. L'amalgama nera, sempre lei. Si era già deciso che la buona fede dei cardinali che dicevano di agire per il «vero bene delle anime» era un falso, una formula in ecclesialese utilizzata per fini politico clericali.Ma gli autonominati paladini dell'evangelo e interpreti di Francesco, quando dicono di volerlo difendere da attacchi politico mediatici, di fatto finiscono per leggere lo stesso Papa con quegli occhiali che vogliono togliere agli altri. Quelli della politica. E lo trascinano dentro alle categorie politiche, un eterogenesi dei fini che non fa bene né al Papa né alla Chiesa. Il riflesso pavloviano è sintomo di una grave malattia, quella di una Chiesa che si autointerpreta con criteri di natura politica. E i primi a compiere questa operazione a volte sono agli stessi prelati, che dicono di odiare la «polarizzazione», ma poi finiscono per alimentarla. Si rincorre una dialettica infinita tra «sostanza» e «metodo» e così il fedele comune finisce per non comprendere di cosa si tratti né in un caso, né nell'altro, e anche lui incasella tutto nel trito paradigma di «conservatori» e «progressisti». Con buona pace della «sostanza», e anche del «metodo». Nel frattempo la criminalizzazione preventiva delle idee presenti al Congresso di Verona avanza. Ed è una questione di sostanza.
Jose Mourinho (Getty Images)