2022-09-10
L’esproprio di Speranza dentro l’Aiuti bis: vuole 3,6 miliardi dalle aziende
Roberto Speranza (Imagoeconomica)
Nell’Aiuti bis Mef e ministero della Salute chiedono di estendere il «payback» a chi produce dispositivi medici. Per i privati sarebbe un esproprio da 3,6 miliardi. Il motivo? «Ripianare i bilanci regionali provati dal virus».L’ex ministro senza vergogna: «Ho seguito la Carta difendendo il diritto alla salute». Peccato che, per colpa delle sue restrizioni, molti italiani abbiano perso quello al lavoro.Lo speciale contiene due articoliLa politica ha usato il Covid per coprire i tagli al servizio sanitario, l’incapacità di gestire i pronto soccorso, le mancanze organizzative ed è riuscita a convincere le persone che, se le cose andavano male, la colpa era la loro - non del governo. Con la scusa del bene pubblico sono state calpestate la libertà personale e la libertà economica delle aziende. «Non rispetti le regole? Le persone muoiono». È il messaggio diffuso a più riprese. E chi ha provato ad alzare il dito e puntarlo contro le inefficienze e gli errori del Cts o del ministero della Salute è stato additato quale no vax, o peggio, mandante, come ai tempi delle Br. Una violenza sociale che è riuscita a spaccare famiglie, paesi e amicizie. Una violenza che avremmo potuto accettare se dalla pandemia l’Italia fosse uscita migliore, come dicevano gli slogan, che tanto piacevano al ministro Roberto Speranza. Una violenza - figlia di una ideologia liberticida tipica della sinistra e fin troppo apprezzata in Italia - ingiustificabile, ma che oggi avremmo potuto superare di fronte alla messa in atto di interventi costruttivi. Invece, no. Nel 2020 sono state costruite un migliaio di terapie intensive in più. Poi più nulla. Inoltre, mentre la magistratura avviava le inchieste sui bandi di gara gestiti dal commissario all’emergenza, Domenico Arcuri, il ministro Speranza prometteva altri fondi per non trovarci impreparati. L’ultima volta il 22 agosto scorso, quando ha spiegato che grazie alla lezione del Covid «il Servizio sanitario nazionale avrà più risorse». Una grande coraggio da parte del titolare della Salute. Promettere più welfare il 22 agosto quando per sua firma, assieme al collega Daniele Franco, soltanto tre settimane prima veniva infilato un articolo nel decreto Aiuti bis che in un sol colpo rappresenta un esproprio da 3,6 miliardi e di fatto un taglio secco proprio al welfare. La scelta di applicare un «payback» alle aziende che forniscono ospedali e Asl dei dispositivi sanitari non solo viola la Costituzione e le norme civilistiche che tengono in piedi i bilanci. È esattamente la dimostrazione che la violenza subita durante la pandemia continuerà. Il giorno in cui Mario Draghi si è dimesso ha diramato una circolare per chiedere ai ministeri di affrontare e risolvere le pendenze lasciate nel cassetto. Dal 2015 il comparto, formato da circa 4.000 aziende, attende una definizione di una particolare e molto discutibile tassa. In pratica si vuole imporre ai fornitori della Pa di concorrere a ritroso a eventuali inefficienze dello Stato o delle Regioni. Molto discutibile. Assurdo in questo modo e in questo momento. A queste aziende, celebrate ai tempi del Covid, non viene data la possibilità di organizzarsi, viene imposta una tassa retroattiva sul fatturato e sarà negata la possibilità si sfilarsi da contratti diventati un mero costo. Il tutto mentre i costi delle bollette sono raddoppiati e si apprestano a triplicare. E sul fronte delle materie prime importante va se possibile ancora peggio. Da un documento interno inviato ai soci di Confindustria dispositivi sanitari si spiega chiaramente l’origine dell’abominio fiscale in corso. «La prima motivazione che ha portato all’articolo (del dl Aiuti bis, ndr) riguarda la necessità di ripianare gli aumenti della spesa sanitaria delle Regioni legati alla gestione della pandemia. Si ricorda che la struttura commissariale ha acquistato (voce di spesa a carico del bilancio dello Stato) vaccini, test, dispositivi direttamente connessi con la pandemia», si legge nella mail, «ma altre spese dirette e indirette sono rimaste a carico delle Regioni. Sebbene ancora non siano stati pubblicati i dati relativi alla spesa sanitaria regionale 2021, da interlocuzioni con alcuni assessori si può affermare che le quote trasferite dallo Stato alle Regioni per la pandemia rappresentano mediamente il 50-55% delle spese effettivamente sostenute». Capito? Dopo la retorica e gli appelli all’unità, l’unica soluzione per tappare i buchi è tirare il collo alle aziende. Se queste si troveranno a pagare 2 miliardi per il triennio 2015/2018 e un altro miliardo e 600 milioni per il biennio successo potranno dire addio alla liquidità per affrontare l’inverno. Forse Saperanza non sa che tutte le imprese che non hanno accantonato la tassa (come facevano a conoscerne l’importo?) saranno obbligate a infilare l’intero costo nel bilancio di quest’anno. Un salasso dal quale molte non riusciranno a riprendersi. Lavorare per un Stato che ragiona in questo modo significa essere servi della gleba, non attori alla pari. A questo punto, l’unica cosa che è migliorata durante la pandemia è l’ideologia alla Speranza. Nel senso che ha fatto un salto di qualità: è diventata ancor più comunista.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/per-tappare-i-buchi-della-pandemia-speranza-vuole-salassare-le-aziende-2658173251.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-capo-di-leu-storpia-la-costituzione" data-post-id="2658173251" data-published-at="1662762264" data-use-pagination="False"> Il capo di Leu storpia la Costituzione Altro che ultimo giapponese: il quasi ex ministro della Salute, Roberto Speranza, catapultato a Napoli dal Pd per garantirgli la rielezione, scelta contestatissima dai dem partenopei, sembra un marziano. Invece di tentare di far dimenticare i suoi errori, Speranza ha il coraggio di attaccare il centrodestra, in particolare Giorgia Meloni, sulle politiche anti Covid. «Ho chiesto un confronto pubblico alla Meloni», pigola su Rainews 24, «che spesso ha toni che somigliano a quelli delle invettive dei no vax. Io penso che serva dire al Paese come stanno le cose, perché il Paese deve scegliere, le persone devono sapere come stanno le cose su un tema così decisivo». Il sogno di Speranza, ovvero che la Meloni gli conceda visibilità, si infrange contro un muro di silenzio: neanche un tweet di risposta arriva da Fratelli d’Italia, che sa bene quanto ormai il paladino dei lockdown sia precipitato nell’ineluttabile cono d’ombra. Speranza cerca la provocazione a tutti i costi: «Oggi», incalza, «da parte della destra c’è un atteggiamento di ambiguità. Non si dice con chiarezza quello che dovrebbe essere un’ovvietà per tutti: che la campagna di vaccinazione andrà avanti, che il diritto alla salute continuerà a essere il primato essenziale e che l’evidenza scientifica continuerà a guidarci. Il ministro della Salute giura sulla Costituzione», aggiunge Speranza, «che all’articolo 32 dice che la Salute è un diritto fondamentale». Speranza dimentica che la Costituzione tutela moltissimi altri diritti fondamentali, a partire da quello al lavoro, sul quale, secondo l’Articolo 1 della Carta, è fondata la Repubblica italiana. Eppure, questo articolo Speranza lo ha messo da parte, quando i suoi provvedimenti contro il Covid hanno costretto migliaia di donne e uomini a restare lontani dai luoghi di lavoro, perché non vaccinati. Sarebbe bastato poter utilizzare il tampone negativo per poter continuare a lavorare, nella piena sicurezza per sé stessi e per gli altri, ma Speranza non ha voluto sentire ragioni; così come un diritto sancito dalla Costituzione è quello della libertà, che pure Speranza ha compresso, con chiusure e lockdown a go go, costringendo gli italiani a lunghi mesi di libertà vigilata, mentre le imprese chiudevano, i locali pubblici fallivano. E potremmo anche parlare a lungo, molto a lungo, di quella «evidenza scientifica» che secondo Speranza ha guidato la sua azione di governo: una evidenza scientifica che a altri Paesi, ad esempio la Gran Bretagna, ha suggerito di contrastare il Covid con strumenti assai meno invasivi di quelli utilizzati dal ministro delle Chiusure. Sarà la storia a giudicare quello che è successo negli anni della pandemia, ma la cronaca ha già condannato Speranza: se non fosse uno dei protagonisti politici meno apprezzati dagli italiani il Pd (che tra l’altro non è il suo partito, Roberto è esponente di Leu) non avrebbe fatto a pezzi la logica e il buon senso sacrificando decine di migliaia di consensi e blindandolo come capolista a Napoli, città alla quale il lucano (amarissimo) ministro è estraneo. «Della campagna di vaccinazione abbiamo ancora bisogno», insiste Speranza, «sarebbe bello dire che il Covid magicamente è scomparso ma purtroppo non è così. Vengo da una lunga riunione con i ministri europei e con le nostre autorità di riferimento e abbiamo bisogno di tenere ancora alta l’attenzione. Ho chiesto pubblicamente a tutti i leader politici di dire parole chiare», sottolinea il quasi ex esponente di governo, «che dopo il 26 settembre nulla bloccherà la campagna di vaccinazione». L’unica cosa certa è che dopo il 26 settembre Speranza sloggerà dal ministero della Salute, e resterà un semplice deputato, paracadutato da quel genio che risponde al nome di Enrico Letta in una posizione blindata: una scelta che costerà carissimo al Pd, destinato a una sonora sconfitta anche a Napoli, città che poteva rappresentare per i dem una delle poche realtà dove racimolare qualche consenso in più. Non scomparirà magicamente dalla scena politica, Speranza, ma solo e soltanto per concessione di Letta: tornerà però finalmente nell’anonimato, deputato semplice per grazia ricevuta, a meno che il Pd non crolli talmente tanto in basso da rendere incerta pure la sua elezione. Difficile, ma la Speranza è l’ultima a morire.