2022-05-28
Per Pechino si chiama cooperazione. Università e start-up sono a rischio
Allarme del Copasir da febbraio: «Le mire cinesi sull’innovazione minacciano la sicurezza». La rete del Dragone si appoggia agli istituti Confucio e tocca il Politecnico e la Cattolica passando per Sant’Egidio.La Repubblica popolare cinese, si sa, sta da tempo cercando di espandere la propria influenza economica e politica sull’Europa occidentale. Nel mirino del Dragone è finita anche l’Italia su vari fronti: non ultimo quello accademico. A lanciare l’allarme sotto questo punto di vista è stato il Copasir a febbraio. «La Cina rappresenta un avversario strategico la cui presenza viene registrata a livello nazionale nel mondo accademico e delle startup nazionali», sostiene la relazione del comitato presieduto da Adolfo Urso. «Si tratta di una precisa strategia di lungo periodo che ha come obiettivo mercati strategici come quello dell’innovazione tecnologica, che punta a penetrare sia il tessuto imprenditoriale che ad avvantaggiarsi degli incentivi alla cooperazione scientifica internazionale con il fine ultimo di guadagnare posizioni di grande vantaggio in un ambito così cruciale», si legge ancora. «Questo attivismo», prosegue il documento, «va interpretato criticamente laddove si incontra con il perimetro della sicurezza nazionale e la difesa degli interessi strategici dell’Italia». Insomma, con la scusa della cooperazione accademica, il Partito comunista cinese punta a mettere le mani sull’innovazione tecnologica e su settori potenzialmente legati alla sicurezza nazionale. D’altronde, i collegamenti con le università offrono significativi agganci con vari mondi: dalle istituzioni alle imprese. Da questo punto di vista, è notevole il numero di istituti Confucio presenti nel nostro Paese. Ricordiamo che questo tipo di realtà è di fatto sottoposta al ministero dell’Istruzione della Repubblica popolare, attualmente guidato da Huai Jinpeng, e che, per quanto il suo scopo ufficiale sia quello di promuovere meramente la cultura cinese all’estero, sono stati avanzati forti sospetti di attività legate a propaganda, lobbying e, in alcuni casi, addirittura spionaggio. Il problema è stato posto soprattutto in America. Nel 2018, Politico riferì che gli Stati Uniti ospitavano oltre un centinaio di questi istituti, mentre appena l’anno scorso il Senato ha approvato all’unanimità un disegno di legge per metterli maggiormente sotto controllo: segno, questo, che oltreatlantico si registra una preoccupazione bipartisan in materia. Ebbene, l’Italia conta almeno una decina di tali enti: sono in particolare presenti presso le università Statale e Cattolica di Milano, la Sapienza di Roma, oltre alle università di Padova, Torino, Bologna, Pisa, Firenze, Macerata e Venezia. Tra l’altro, nel comitato scientifico dell’Istituto Confucio della Cattolica compaiono i nomi di Agostino Giovagnoli ed Elisa Giunipero. Si tratta di accademici legati alla Comunità di Sant’Egidio: potente network da sempre favorevole alla controversa distensione della Santa Sede nei confronti della Repubblica popolare. Ma i legami tra Pechino e il mondo universitario italiano non si fermano qui. Un capitolo a parte riguarda infatti il Politecnico di Milano che, negli ultimi anni, ha notevolmente irrobustito le proprie relazioni con la Cina. «Il Politecnico», si legge sul suo sito Web, «è riuscito a consolidare il proprio legame con alcune delle università cinesi più prestigiose (tra cui Beihang university, Shanghai Jiaotong university, Tianjin university, Tongji university, Tsinghua university e Xi’an Jiaotong university)». Il sito specifica inoltre che, tra i principali ambiti di collaborazione, figurano quelli di «trasferimento tecnologico» e di «incubazione di startup». Non solo. Insieme alle università di Pavia e Torino, il Politecnico di Milano fa anche parte della university Alliance of the Silk Road: un progetto cinese che, inserendosi nel contesto della nuova Via della Seta, include una trentina di istituti universitari russi e una cinquantina di cinesi. Inoltre, nel 2019, il Politecnico ha aperto la sua prima sede fisica fuori dall’Italia a Xi’an: interpellato durante un’intervista sui possibili obiettivi di questa realtà, il prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico, Giuliano Noci, citò la «creazione di un incubatore di startup con relativa costituzione di un fondo di venture capital». Tra l’altro, nel 2018, fu inaugurata una piattaforma tra l’università Tsinghua e lo stesso Politecnico «per favorire la collaborazione sul fronte della ricerca e dell’innovazione tra Italia e Cina». In particolare, l’iniziativa nacque nell’ambito delle intese siglate nel febbraio 2017 a Pechino da Xi Jinping e Sergio Matterella. Sempre a Pechino si sarebbe recato, nel maggio di quello stesso anno, anche l’allora premier Paolo Gentiloni, partecipando al Forum «One belt one road» e auspicando un protagonismo di Roma nel progetto. Insomma, le ramificazioni del regime cinese nel mondo accademico italiano sono profonde, con potenziali ripercussioni pericolose per la sicurezza nazionale. Tutto questo, mentre il Dipartimento di Stato americano ha appena denunciato la volontà di Pechino, in accordo con Mosca, di mettere in crisi l’ordine internazionale occidentale. Questa saldatura tra lobbying cinese e settore universitario desta più di una preoccupazione. L’allarme del Copasir non resti inascoltato.