2025-11-12
Doppio assalto dei giudici al governo. I casi Almasri e Siri alla Consulta
Armando Siri (Imagoeconomica)
Le stesse toghe che liberarono il libico si rivolgono alla Corte chiedendo di poter aggirare il ministro. Un altro magistrato apre un conflitto di attribuzione sulle intercettazioni del leghista, già dichiarate non utilizzabili.C’è una parte della magistratura che non si rassegna neppure davanti a un «no» del Parlamento. Neppure quando il Tribunale dei ministri ha pronunciato la parola «fine». È la giustizia che cerca un appiglio pur di restare in pista. Soprattutto se c’è qualcuno dei partiti della maggioranza o il governo di mezzo. L’escamotage? Un ricorso alla Consulta. È esattamente ciò che sta accadendo con due questioni che sembravano già chiuse: il caso del generale libico Osama Almasri (arrestato dalle autorità libiche il 5 novembre scorso) e quello delle intercettazioni che coinvolgono l’ex senatore della Lega ed ex sottosegretario di Stato Armando Siri (per un’inchiesta che risale al 2019). Per Almasri, arrestato in Italia e rimpatriato con un volo dei Servizi segreti (perché, come spiegato dai vertici dell’intelligence ai magistrati, c’era il rischio che si scatenassero rappresaglie nei confronti dei cittadini italiani in quel momento a Tripoli), si sono già espressi tutti: governo, parlamento, tribunale dei ministri. E perfino il procuratore generale ha avanzato una richiesta di «non luogo a provvedere» per l’assenza dell’imputato sul territorio dello Stato. Ma per la Corte d’Appello di Roma la vicenda non è finita. I giudici della Quarta sezione penale, presidente Flavio Monteleone, consiglieri Francesco Neri e il davighiano Aldo Morgigni, gli stessi che il 20 gennaio scorso avevano ordinato «l’immediata scarcerazione» di Almasri su «conforme richiesta del procuratore generale» Giuseppe Amato e «in accoglimento delle istanze difensive», ora hanno deciso di bussare alla Consulta, sollevando una cavillosa questione di legittimità costituzionale sulle norme che hanno recepito lo Statuto di Roma, ovvero il trattato che ha istituito la Corte penale internazionale. Nelle loro dieci pagine, dense e solenni, scrivono: «La situazione di stallo procedimentale venutasi a creare non solo determina le evidenziate violazioni dello Statuto di Roma, […] ma potrebbe anche costituire una violazione del principio di soggezione del giudice alla sola legge» costituzionale, «in quanto l’attribuzione della discrezionalità politica al ministro della Giustizia» sull’arresto di una persona tramite mandato della Corte penale internazionale «assoggetta il giudice a una scelta discrezionale di natura politica, inibendone l’attività giurisdizionale di adempimento degli obblighi internazionali». Il quesito è concentrato sulla costituzionalità della normativa che prevede che il procuratore generale debba attendere il parere del ministro della Giustizia prima di dare seguito al provvedimento della Corte penale internazionale. I giudici d’appello, insomma, dieci mesi dopo la loro stessa decisione di scarcerare il generale libico, vogliono capire se si poteva bypassare il Guardasigilli. E se, in casi come quello di Almasri, si possa procedere all’arresto di un cittadino straniero richiesto dalla Corte penale internazionale senza attendere l’autorizzazione del ministro. In pratica, chiedono di potersi muovere da soli. E intanto, con la scusa dell’incidente di costituzionalità, viene sospeso il giudizio. Un gesto che appare come un braccio di ferro più che come un atto dovuto. Perché nel frattempo il Tribunale dei ministri ha già chiuso il fascicolo. Dopo il voto del 9 ottobre alla Camera, che ha negato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano, i magistrati hanno disposto un «provvedimento di archiviazione irrevocabile». Sempre a Roma un’altra toga ha deciso di riesumare una questione ormai ampiamente dibattuta: quella sulle intercettazioni che coinvolgono Siri. Il Senato le ha già dichiarate non utilizzabili. Eppure il giudice dell’udienza preliminare ha accolto la richiesta della Procura di sollevare un nuovo conflitto di attribuzione davanti alla Consulta. Altro rinvio, altra sospensione. E Siri, che nel 2021 aveva chiesto di essere giudicato con rito abbreviato, è di nuovo fermo in mezzo al guado. Ma non finisce qui. C’è un terzo caso. Che risale alla scorsa settimana. Il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Milano Patrizia Nobile ha deciso di trasmettere alla Corte costituzionale il decreto legge del governo Meloni dell’estate 2024, il cosiddetto «Salva Olimpiadi». Quel provvedimento aveva qualificato la Fondazione Milano-Cortina 2026 come «ente di diritto privato», mettendola al riparo da inchieste e da stop amministrativi. La mossa del gip arriva su richiesta dei pm milanesi, convinti che la Fondazione non sia affatto privata: gestisce denaro pubblico, persegue fini di interesse generale, si muove dentro un perimetro politico-istituzionale. La toga ha visto in quella norma un potenziale «vulnus» costituzionale e ha deciso di sospendere il giudizio, rimettendo, anche in questo caso, gli atti alla Consulta. Sarà ora la Corte a stabilire se il governo, nel voler blindare l’ente olimpico, abbia oltrepassato il confine. Il provvedimento del gip, come ha ricostruito La Verità, è arrivato dopo mesi di attesa e una serie di rinvii che avevano anche irritato i vertici giudiziari milanesi. Del resto, ai piani alti del Palazzo di giustizia si temeva che una scelta tardiva, in pieno inverno, potesse ricadere sulle Olimpiadi, che cominceranno tra tre mesi. Se la Consulta dovesse bocciare il decreto le indagini potranno riprendere. In caso contrario il fascicolo verrà archiviato. L’unica certezza, al momento, è che una decisione della Consulta non arriverà prima dell’accensione della fiaccola olimpica. E anche in questo caso le toghe hanno optato per la corsa a ostacoli. Con i loro tempi. Quelli della giustizia.
Ernesto Maria Ruffini (Ansa)
Ettore Prandini (Totaleu)
Lo ha detto il presidente di Coldiretti Ettore Prandini in un punto stampa in occasione dell'incontro con la Commissione europea a Bruxelles.