2021-07-09
Per la rete elettrica il Recovery plan stanzia 4 miliardi, ma ne servono 75
Senza un vero potenziamento del sistema sarà impossibile sostituire gas e combustibili fossili, però col Pnrr arriveranno soltanto briciole. In mancanza di un adeguamento saremo condannati a continui blackoutDiciotto volte quanto stanziato nell’apposito capitolo di spesa del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Sarebbe questa l’entità degli investimenti necessari per l’adeguamento della rete elettrica italiana alla transizione ecologica imposta dall’alto dalla Commissione europea. Perché si fa presto a dire green, ma quando si tratta di passare dalla teoria alla pratica il conto diventa assai salato. Il Pnrr italiano destina 4,11 miliardi di euro per «potenziare e digitalizzare le infrastrutture di rete». Tuttavia, allo stato attuale, questo investimento appare irrisorio rispetto alle reali necessità prospettiche, considerando anche a quali stress sarà sottoposta la rete elettrica in futuro. Le reti di distribuzione locali dovranno gestire la grande complessità portata da una generazione ampiamente distribuita e un consumo in tendenziale aumento, con picchi negli impegni di potenza molto maggiori che in passato.Utilizzando i parametri che lo stesso Piano indica nella descrizione dell’intervento sulle reti elettriche, si può stimare la cifra utile all’adeguamento dell’intera rete elettrica nazionale, comprese le reti locali di distribuzione. Secondo i piani di sostituzione della attuale produzione convenzionale, saranno necessari non meno di 70.000 Mw di nuovi impianti di generazione da fonte rinnovabile, che hanno la caratteristica di essere difficilmente programmabili e richiedono una riserva costante in grado di intervenire all’istante per coprire il carico di domanda nel caso si interrompa la produzione. Gli stanziamenti inseriti nel piano prevedono l’impiego di circa 3,6 miliardi per il rafforzamento delle smart grid - la reti «intelligenti» strutturate per distribuire l’energia laddove c’è più bisogno evitando sovraccarichi e blackout - e «incrementare la capacità di rete di ospitare e integrare ulteriore generazione distribuita da fonti rinnovabili per 4.000 Mw». Ovvero 18 volte in meno del target produttivo prefissato. Nella stessa voce viene incluso anche un altro obiettivo, quello relativo all’aumento di «capacità e di potenza a disposizione delle utenze per favorire l’elettrificazione dei consumi energetici», relativo però a soli 1,85 milioni di italiani. Complessivamente, servirebbero perciò altri 68 miliardi di euro. Per quanto riguarda la resilienza climatica, che si declina nella necessità di interventi a caratteri preventivo sulle infrastrutture di rete, vengono messi in campo 600 milioni di euro, sufficienti a coprire «appena» 4.000 chilometri di rete elettrica contro i 64.000 totali (considerando l’intero parco di linee aree ad alta tensione). E qui i fondi effettivamente necessari ammontano a ulteriori 7 miliardi di euro. A conti fatti, dunque, mancano all’appello 75 miliardi di euro, una cifra pari alla dotazione di tre leggi di stabilità. La rivoluzione «verde» presenta dunque costi altissimi, ben oltre le cifre palesemente inadeguate stanziate da programmi come il Next generation Eu. Il governo naturalmente fa bene a utilizzare quello che viene messo a disposizione, sia chiaro, ma va detto che questi 4,1 miliardi sono una goccia nel mare.Gli alti costi dell’energia, attuali e futuri, sono infatti una conseguenza anche dei vincoli nel soddisfacimento della domanda elettrica e nell’adeguatezza delle reti elettriche. Il Green deal europeo e i piani di transizione energetica collegati, compreso il Pnrr italiano, prevedono di sostituire le attuali produzioni elettriche a carbone e a gas con produzione da fonte rinnovabile e, allo stesso tempo, di accrescere i consumi elettrici attraverso l’elettrificazione progressiva dei consumi energetici. Tutto ciò comporta che la rete italiana di trasporto e distribuzione dell’energia elettrica dovrà essere rivoluzionata per poter gestire l’aumento dei carichi, l’accresciuta intermittenza dell’offerta di energia e l’aumento esponenziale dei punti di immissione di energia. In più, grazie alla tecnologia «vehicle-to-grid» ci potranno essere in futuro milioni di auto elettriche in grado di restituire energia scaricando in rete le batterie. Oltre a tutto questo, l’elettrificazione dei consumi energetici richiede che i contatori domestici vengano adeguati per poter disporre di maggiore potenza in prelievo. Oltre all’auto elettrica, infatti, sarà gradualmente imposta la sostituzione dei riscaldamenti a gas con pompe di calore alimentate elettricamente. Se si considerano anche i progetti di un utilizzo estensivo dell’idrogeno, che richiede molta energia per essere prodotto, si può stimare per il prossimo decennio un aumento della domanda elettrica fino al 30%. La rete elettrica dunque può rappresentare un pericoloso collo di bottiglia rispetto a questo gigantesco aumento di produzione e consumi, con in più la complessità data da intermittenza e numerosità. L’attività di dispacciamento - cioè il mantenimento dell’equilibrio della rete tra produzione e consumo di energia - sarà estremamente complessa, molto più di oggi, e richiederà una rete in grado di rispondere alla trasformazione di milioni di punti che oggi sono solo di prelievo in punti «misti» di immissione e prelievo. Per bilanciare il sistema si sta anche pensando a grandi batterie pronte a intervenire nel caso di cali dell’offerta. La soluzione, comunque molto costosa, rappresenta un’ulteriore sfida per la rete elettrica. Recentemente, a Milano si è avuta una prova di quanto già oggi la rete sia inadeguata. Nel caso del capoluogo lombardo, la rete è vecchia e mancano le cabine primarie che attuano lo scambio di energia tra la rete nazionale e quella locale: se ce ne fossero di più la rete di distribuzione gestirebbe meglio i flussi, evitando il sovraccarico in alcuni punti. È solo un esempio di cosa può succedere in futuro. In alcuni Stati americani dove la rete elettrica è in sofferenza si sta sperimentando obtorto collo la cosiddetta demand response: in sintesi, si chiede all’utenza di non consumare in determinati momenti della giornata. Non esattamente in linea con un’idea di progresso tecnologico.(2. Continua)