2024-06-02
Per l’«ecclesiasticamente corretto» gli atti omosex non sono un peccato
«Rispetto per i gay ma niente seminario» è una contraddizione. Il catechismo definisce la pratica omosessuale un «disordine», ma in quello di San Pio X era colpa «che grida vendetta davanti a Dio».Presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione A proposito della opposizione di papa Bergoglio all’ammissione in seminario di giovani gay, è stato più volte ricordato, nei giorni scorsi anche sulla Verità, che, al di là della imperdonabile caduta di stile con la quale essa è stata manifestata, si trattava né più e né meno della conferma di quanto era già stato ufficialmente affermato in documenti del dicastero del Clero, ultimo dei quali emanato, a firma del cardinale Beniamino Stella e con l’espressa approvazione del Papa, nel 2016.Secondo tali documenti - si è rilevato - la Chiesa «non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità» o «presentano tendenze omosessuali profondamente radicate», dal momento che gli stessi si troverebbero «in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne»; e ciò, si aggiunge nei medesimi documenti, «pur rispettando profondamente le persone in questione». È proprio quest’aggiunta, però, quella che determina una evidente e insanabile violazione del fondamentale principio di non contraddizione, già enunciato da Aristotele, per cui «È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo». Il rispetto implica, infatti, per sua natura, l’attribuzione di un valore alle persone o alle cose che ne formano oggetto. Ora, se le persone praticanti l’omosessualità o aventi radicate tendenze omosessuali sono degne di profondo rispetto, proprio per queste loro caratteristiche e non solo, come dovrebbe essere ovvio, per il semplice fatto di appartenere alla specie umana, ne deriva che esse sono portatrici di un particolare valore che si aggiunge a quello derivante dalla suddetta appartenenza. Risulta quindi palesemente contraddittorio considerare come disvalore, ai soli fini dell’ammissione al seminario o al sacerdozio, quello che, per ogni altro verso, è invece considerato come un valore. Una sola può essere, quindi, la via per sfuggire a tale contraddizione: quella, cioè, di ritenere le persone in questione degne del solo rispetto che si deve indifferentemente a ogni essere umano in quanto tale, indipendentemente da ogni e qualsiasi considerazione circa i suoi veri o presunti vizi e difetti. Solo così può ritenersi, poi, consentito l’ attribuire a tali vizi e difetti carattere ostativo al riconoscimento di determinate facoltà o determinati diritti, conformemente alle regole stabilite nell’ordinamento giuridico nell’ambito del quale gli stessi potrebbero essere esercitati. Nel nostro caso, trattandosi dell’ordinamento giuridico della Chiesa, il diritto che viene a essere legittimamente escluso è quello a essere ammessi al seminario e, quindi, al sacerdozio, per la ragione, quando si tratti di omosessuali, che questa loro tendenza sarebbe da ritenere (come si è riferito) di grave ostacolo a un «corretto relazionarsi con uomini e donne» e cioè, per dirla fuori dei denti e con la dovuta chiarezza, sarebbe tale da indurli più facilmente al peccato di sodomia. Si potrebbe, però, a questo punto, obiettare che la Chiesa considera come grave peccato anche ogni tipo di rapporto sessuale che avvenga al di fuori del matrimonio, per cui, paradossalmente, dovrebbero essere esclusi dal seminario e dal sacerdozio anche tutti i giovani di tendenze eterosessuali giacché anch’essi sarebbero, ovviamente, a costante rischio di peccare, essendo loro preclusa la possibilità del matrimonio. La risposta a tale legittima obiezione può trovarsi soltanto nel vecchio, archiviato ma non mai formalmente sconfessato catechismo di San Pio X, nel quale, al punto 25 delle «Preghiere e formule», si trovano indicati quelli vengono definiti, un po’ enfaticamente ma con indubbia efficacia, «I quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio»; tra essi, al numero due, figura il «peccato impuro contro natura», vale a dire l’omosessualità praticata. Trattandosi, quindi, di peccati considerati di particolare gravità, soprattutto per lo scandalo che normalmente producono, più degli altri, nella comunità dei fedeli, risulta per ciò stesso del tutto legittimo, sotto un profilo logico, considerare incompatibile con l’ammissione al seminario e al sacerdozio l’esistenza, negli aspiranti, di condizioni tali da far ritenere improbabile che essi possano, in futuro, astenersi dal commetterli. Non ci si attenda, però, che da parte dell’«establishment» ecclesiale, si addivenga a una tale spiegazione e neppure che, a monte, si mostri consapevolezza delle contraddizioni logiche che la renderebbero necessaria. E ciò non certo per incapacità di coglierne l’esistenza, ma soltanto perché, nella speranza che esse passino, ai più, inosservate, appare preferibile ignorarle piuttosto che affrontarle e risolverle. Questa seconda scelta, infatti, comporterebbe il rischio di infrangere l’ attuale tabù dell’«ecclesiasticamente corretto», costituito dal divieto di ricordare che la pratica dell’omosessualità, benché definita eufemisticamente nel nuovo catechismo come un «disordine», rimane comunque, nella sostanza e nel segreto del confessionale (quando il confessore non voglia fare di testa sua), lo stesso identico peccato che, nel catechismo di San Pio X, sulla scorta dell’inequivocabile insegnamento di San Paolo (che, per la Chiesa, è «parola di Dio») veniva classificato nel modo che si è visto. Forse non sarebbe male, tuttavia, tener conto anche del rischio opposto, vale a dire quello che, continuando a seguire la strada delle non risolte contraddizioni, si finisca per essere annoverati fra gli ignavi, che Dante Alighieri collocava all’inferno, definendoli «a Dio spiacenti ed a’ nemici sui».
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
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