Il ministro di Doha minaccia di stoppare le forniture se Bruxelles applicherà la legge che impone le normeambientali alle società estere. Crisi per l’Unione e l’Italia: il 41% dell’import via cargo arriva dal Paese arabo.A quasi tre anni dall’inizio del conflitto in Ucraina siamo di nuovo alla canna del gas. E le diplomazie - stanche di guerra - cominciano a muoversi in ordine sparso. Ieri il premier slovacco Robert Fico è salito al Cremlino da Vladimir Putin. Hanno parlato di gas. Da Mosca non ne arriverà per il mancato accordo di transito con l’Ucraina e Fico mette le mani avanti. Prima di lui a Mosca era andato l’ungherese Viktor Orbán. I Paesi dell’ex blocco sovietico sono preoccupati per la crisi energetica. L’Europa a causa del suo delirio verde si troverà nel 2027 al verde. La certezza arriva da Doha via Financial Times. Al giornale finanziario britannico il ministro dell’Energia del Qatar, diventato il primo fornitore di gas liquefatto all’Europa dopo lo stacco dei tubi dalla Russia per via delle sanzioni contro Putin, ha rilasciato una lunga intervista in cui dice: «Se l’Ue non cambia la direttiva green che obbliga i Paesi dell’Unione a imporre sanzioni pari la 5% del fatturato globale del fornitore entro il 2027 smetteremo di vendere gas all’Europa». Da cosa nasce questa durissima posizione di Saad al-Kaabi? Nel delirio green - confermato da Ursula von der Leyen anche nel suo mandato bis da presidente della Commissione Ue e sostenuto da Teresa Ribera, socialista spagnola, nuovo commissario all’Ambiente che ha già detto «sul Green deal non si torna indietro» - sono previste emissioni zero entro il 2050. Per arrivarci l’Ue impone pesantissime sanzioni alle sue imprese che estende anche ai fornitori esterni i quali devono essere in grado di certificare che tutta la loro filiera - dunque tutti i fornitori dei fornitori - è a emissioni zero. Una direttiva semplicemente folle. Lo spiega benissimo Gianclaudio Torlizzi - fondatore e ad di T-commodity - uno dei massimi esperti del mercato delle materie prime che osserva: «Le dichiarazioni preoccupanti del governo di Doha giungono a pochi giorni dalla scadenza dell’accordo di transito sul gas tra Mosca e Kiev che priverà il mercato europeo di circa 10 miliardi di metri cubi. A causa delle politiche per le emissioni zero l’Europa rischia di fronteggiare una recrudescenza della crisi energetica esplosa nel 2022, ma mai veramente risolta proprio a causa del Green deal. L’Ue deve capire che se intende fare a meno del gas russo deve cestinare le politiche climatiche in favore di un maggiore pragmatismo. Pensare di ottenere i due obiettivi - indebolire Mosca e avere emissioni zero - ci farà sia perdere la guerra contro Putin sia subire nuovi incrementi del prezzo del gas e dell’elettricità». Quella di Torlizzi è pura cronaca. L’Ue sta andando contro un muro. Il disastro dell’automotive - la Von der Leyen fa aperture di facciata annunciando possibili rinvii delle multe da 16 miliardi per le case automobilistiche che scatterebbero tra un paio di settimane, ma la Ribera insiste: sull’elettrico non si torna indietro a qualsiasi costo - non ha insegnato nulla. La mancanza del gas russo - la Germania è in crisi nera a causa di ciò - ha costretto l’Ue a trovare fornitori alternativi. La prima risorsa disponibile è il gas liquefatto che Donald Trump vuole venderci sempre di più pena l’aumento dei dazi e che ora arriva massimamente dal Qatar. E non ci sono vie di fuga; per dirne una: i francesi devono ristrutturare le loro centrali nucleari, ma non hanno i soldi per farlo. Se Doha smette di spedirci Lng l’Italia è in ginocchio - il Qatar ci dà oltre il 41% di ciò che ci serve - e l’Europa fallisce visto che compra 15,5 miliardi di metri cubi. Peraltro il 2024 va in archivio col record di consumo di carbone: 7,8 miliardi di tonnellate - il doppio rispetto a 30 anni fa - con la Cina che ci vende le auto elettriche ma è il primo consumatore di coke. Saad al-Kaabi - è anche ad della Qatarenergy - afferma: «Se in Europa perdessi il 5% delle mie entrate non ci andrei. Non sto bluffando: quei soldi sono dei miei cittadini, il 5% della Quatarenergy è il 5% delle entrate dello Stato». Il ministro qatarino spiega benissimo la situazione: «La legge europea che entra in vigore nel 2027 così com’è è impraticabile: dovrei svolgere controlli su 100.000 aziende, tanti sono i miei fornitori. Dovrei assumere 1.000 persone e spendere miliardi per fare audit su tutti: impossibile». Ma il ministro va oltre: «La legislazione emissioni zero entro il 2050 impatta su tutto quello che forniamo: dal gas ai fertilizzanti, ma anche sulle nostre scelte di investimento in Europa. Farò di tutto per rispettare i contratti già in essere - il Qatar ha firmato accordi di fornitura di Gnl di lungo periodo con Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi - ma se permangono queste condizioni usciremo dal mercato europeo». Lascia intendere Al-Kaabi: il mondo è grande e tutti ci chiedono gas, le emissioni zero sono un vostro problema, non un nostro problema. Però concede: «Se dicessero che la penalità è pari al 5% delle entrate generate da quello che vendo all’Europa direi che posso valutarlo e forse ha anche un senso, ma se il 5% si applica al totale delle mie entrate non ha alcun senso. Non accetterò che veniamo penalizzati e smetteremo di inviare gas in Europa».Pare che, come al solito, Ursula von der Leyen abbia promesso una revisione della direttiva soprattutto per la parte che impone di estendere a tutta la filiera di fornitura l’obbligo green, ma siamo in altissimo mare e il 2027 è lì che arriva. E non si tratta solo di gas. Anche il Cefic, il consiglio delle industrie chimiche europee, ha scritto alla Commissione: «O rivedete gli obblighi o chiudiamo».
Quest’anno in Brasile doppio carnevale: oltre a quello di Rio, a Belém si terrà la Conferenza Onu sul clima Un evento che va avanti da 30 anni, malgrado le emissioni crescano e gli studi seri dicano che la crisi non esiste.
Due carnevali, quest’anno in Brasile: quello già festeggiato a Rio dei dieci giorni a cavallo tra febbraio e marzo, come sempre allietato dagli sfrenati balli di samba, e quello - anch’esso di dieci giorni - di questo novembre, allietato dagli sfrenati balli dei bamba che si recheranno a Belém, attraversata dall’equatore, per partecipare alla Cop30, la conferenza planetaria che si propone di salvarci dal riscaldamento del clima.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.









