2020-09-06
Conte inventa 100.000 morti in più
Alla festa del «Fatto», il premier gonfia il numero dei morti di Covid: 135.000 anziché 35.000. Ma i media, a partire dal grillino «Tg1», fanno finta di niente. Poi liscia ambiguamente Mario Draghi e prova a bruciare Sergio Mattarella per il mandato bis: al Colle sogna di salirci lui.Ha sbagliato il numero dei morti da virus cinese. Ha sottovalutato a tal punto la più tremenda tragedia del nostro Paese dalla seconda guerra mondiale da dare i numeri allegramente, con convinzione, ripetendo per due volte il dato: «Sono 135.000 decessi. Punto». In realtà sono 35.518 (fonte la governativa Protezione civile). Il premier Giuseppe Conte stava rispondendo a una domanda di Antonio Padellaro alla festa del Fatto Quotidiano, preparava un'uscita al vetriolo contro gli scettici del virus No mask e No vax radunatisi a Roma. Ha detto e poi ribadito, convinto: «Alle persone che sostengono questo e scendono in piazza ricordo soltanto i numeri. Oltre 274.000 contagi generali e 135.000 decessi. Punto».È il punto a fare la differenza. È l'infallibilità del potere innalzata a dogma, è il punto esclamativo della squassante castroneria. È il Mussolini che dopo avere confuso Protagora con Anassagora chiosò: «Scusate l'erudizione». Quel punto è la cifra caratteriale e politica di Conte, il leader che sta tutto dentro un taschino come le sue pochette, l'uomo della perentorietà, colui che in piena pandemia schiaffeggiava i pochi giornalisti dalla schiena dritta con risposte arroganti. «Se avrà responsabilità di governo scriverà lei i decreti», «Se ritiene di poter fare meglio la terrò presente». Punto. Sprezzante, superficiale, un provinciale sul piedistallo governativo che si crede Re Sole. Conte dovrebbe avere sulla scrivania il counter dei deceduti e ricordarseli giorno per giorno perché lui sarà ricordato anche per loro. E dovrebbe provare a chiedere scusa. Sparare numeri a caso, come se il dramma non riguardasse lo Stato e non sfiorasse il suo governo, non fa altro che peggiorare l'approccio. Molti media mainstream hanno liquidato la gaffe in due righe, derubricandola a dettaglio stonato. Se una simile uscita l'avesse fatta Donald Trump, il New York Times avrebbe chiesto le dimissioni. Molti altri (quelli più allineati al pensiero unico grillopiddino) non ne hanno neppure fatto menzione, in fondo ha sbagliato solo del 387% e si sa che il governo sui numeri non è ferrato. Il Tg1 diretto da Giuseppe Carboni (nominato in quota 5 stelle) ha mandato in onda il video alla sovietica, senza neppure correggere in studio il dato. Eppure la faciloneria sui morti è grave, è un pugno nello stomaco dei parenti delle vittime, è un velo nero gettato sulle lacrime, sulla disperazione, su cinque mesi di terrore, sul -12,8% del Pil. Oggi sul variegato e delirante orizzonte italiano il negazionista involontario numero uno è il presidente del Consiglio. Centomila in più o in meno cosa vuole che sia, signora mia? E poiché gli opposti si toccano, a negare ci arriva esagerando, a conferma che la strategia dell'enfatizzazione funziona, che spargere paura ha - come direbbero a Genova - la «sua bella convenienza». Lo scopo è sempre più evidente, l'allarmismo paga. E con la paura della seconda ondata il Conte 2 si allunga la vita. Il premier torna a parlare dopo un mese, sempre grazie al quotidiano diretto da Marco Travaglio. L'ultima uscita fu quando lanciò l'accordo elettorale con i grillini, finito come sappiamo in un pasticcio a macchia di leopardo. E rieccolo ieri davanti ai microfoni e a quei 100.000 fantasmi evocati dalla sciatteria. Eppure è lo stesso Conte che più tardi a Villa d'Este, al Forum Ambrosetti, dirà sempre con la prosopopea del conducador infallibile: «Il motto sia: sobri nelle parole e operosi nelle azioni». Cominciasse lui con il numero dei morti, il resto verrà da sé. Il premier dice che non abbasserà le tasse, teme la batosta alle regionali («ma non inciderà sul governo»), promette che «non ci sarà più un lockdown generalizzato» smentendo le sue stesse decisioni prese a marzo. Poi c'è la politica, anzi la politique politicienne, quella dei messaggi trasversali, delle strizzatine d'occhio. Il premier si trasforma in Zelig ed evoca due totem, con i quali comincia la sua personalissima campagna d'autunno per accreditarsi nel grande centro, area della quale vorrebbe essere l'ago della bilancia. Oggi il grande centro guarda a Mario Draghi, quindi niente di meglio che farsi fotografare con lui. «Quando si è lavorato per una nuova Commissione Ue cercai di creare consenso per Draghi, lo avrei visto bene come presidente ma lui mi disse che non si sentiva disponibile perché era stanco della sua esperienza europea. Quando si invoca Draghi penso che lo si tiri per la giacchetta. Non lo vedo come un rivale ma come un'eccellenza». La mossa è abile, in questo momento Draghi viene percepito alternativo a Conte, quindi è inevitabile che lui, mellifluo e postdemocristiano, si accrediti come suo alleato. E mentre lo fa provi a delegittimarlo, «era stanco».Il secondo nome evocato nel giorno del ritorno al verbo è quello del capo dello Stato, Sergio Mattarella. Prima se ne fa scudo per evitare, o almeno stemperare, le numerose responsabilità politiche nella criticabile gestione della pandemia (zone rosse tardive, dispositivi mancanti, maldestri tentativi di addossare le colpe alle regioni, rilancio economico inesistente), poi lo dipinge come un suo stretto sodale. Cosa peraltro verosimile visto che il Quirinale è stato la levatrice del governo giallorosso. «L'ho coinvolto sulle zone rosse. Credo che stia interpretando il suo ruolo in modo impeccabile, man mano che vado avanti ne apprezzo sempre più le qualità». Infine la stoccata rivelatrice: «Lo vedrei benissimo per un secondo mandato, se ci fossero le condizioni per accettarlo». Poiché sul nome sarà molto difficile trovare un punto d'incontro, l'intimo sentimento è quello di aspirare egli stesso al Colle: Draghi premier e Conte presidente della Repubblica, con Mattarella bruciato nelle prime devastanti votazioni.C'è tempo, e c'è un'Italia che nel frattempo langue per colpa delle sue non scelte, della sua non politica, dei suoi silenzi omertosi e delle sue parole fini a sé stesse. Quanto ai numeri, su quelli è meno credibile di un giornalista alle prese con un database. Centomila più, centomila meno. Punto e virgola.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)
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L’area tra Varese, Como e Canton Ticino punta a diventare un laboratorio europeo di eccellenza per innovazione, finanza, sviluppo sostenibile e legalità. Il progetto, promosso dall’associazione Concretamente con Fabio Lunghi e Roberto Andreoli, prevede un bond trans-frontaliero per finanziare infrastrutture e sostenere un ecosistema imprenditoriale innovativo. La Banca Europea per gli Investimenti potrebbe giocare un ruolo chiave, rendendo l’iniziativa un modello replicabile in altre regioni d’Europa.