2019-08-28
Per fortuna che Ratzinger c’è e fa sentire la sua voce: «I teologi non parlano di Dio»
Il Papa emerito ha inviato uno scritto alla rivista tedesca «Herder Korrespondenz» Una risposta di fuoco ai suoi critici più duri per rimarcare la «gravità della situazione».Gli «appunti» del papa emerito Benedetto XVI, pubblicati nell'aprile scorso per dare un contributo alla crisi degli abusi nella chiesa, hanno dato fastidio a molti. Perché, al netto delle preoccupazioni per l'unità che animano lo stesso Ratzinger, quel testo è un controcanto su molte questioni che agitano la chiesa, a partire dalla rivoluzione nella teologia morale.«Per quanto posso vedere, nella maggior parte delle reazioni al mio contributo, Dio non appare affatto, e perciò non viene affrontato proprio quello che volevo sottolineare come il punto chiave della questione». Così ha scritto Benedetto XVI in alcune righe inviate alla rivista tedesca Herder Korrespondenz per rispondere alle critiche ai suoi «appunti» portate da Birgit Aschmann (professoressa di storia europea del XIX secolo all'Università Humboldt di Berlino). La storica tedesca si era preoccupata di criticare la tesi sui pericoli del '68 e della rivoluzione sessuale denunciati da Benedetto XVI tra le cause della crisi delle teologia morale e di un certo lassismo nei seminari. Per la Aschmann, invece, la colpa della sofferenza cattolica del 1968 è tutta da attribuire all'enciclica Humanae vitae di Paolo VI in cui si ribadiva un chiaro No alla contraccezione e un Sì all'amore pienamente umano; così la professoressa fornisce un tipico esempio della rivoluzione nella teologia morale denunciata proprio da Benedetto XVI.L'enciclica di Paolo VI insieme con quella di Giovanni Paolo II sui fondamenti della teologia morale, Veritatis splendor, sono proprio il simbolo di una contestazione alla morale cattolica che nasce da teologi che spesso insegnano nei seminari e nella pontificie università. L'esempio paradigmatico è stato dato nel recente caso della «ristrutturazione» posta in atto dal Gran cancelliere Vincenzo Paglia al fu istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. Non a caso nei suoi «appunti» Benedetto XVI parlava di Veritatis splendor come di un documento voluto dal papa polacco per «rimettere a posto queste cose», vale a dire la rivoluzione spinta nella morale cattolica per non riconoscere azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvagie. «Il contributo della signora Aschmann», puntualizza Benedetto XVI, «può ispirare ulteriori riflessioni, ma come risposta» agli «appunti» tuttavia «è insufficiente e tipico del deficit generale nella ricezione del mio testo». Il punto è Dio. Benedetto XVI è radicale e semplice nella sua diagnosi eppure non viene compreso. «Mi sembra che nelle quattro pagine dell'articolo della signora Aschmann», risponde, «non appaia la parola Dio, che ho posto al centro della questione. Ho scritto, “Un mondo senza Dio può essere solo un mondo senza significato". “La società occidentale è una società in cui Dio è assente dal pubblico e non ha altro da dire. Ed è per questo che è una società in cui la misura dell'umanità si perde sempre più"».Con Dio o senza Dio tutto cambia, lo ha detto più volte Benedetto XVI, fino a sostenere in varie occasioni che anche senza il dono della fede è saggio vivere come se Dio esistesse. «Sarebbe bello se i non credenti cercassero di vivere “come se Dio esistesse"», disse ai partecipanti del Cortile dei gentili in Portogallo nel 2012. «Anche se non abbiamo la forza di credere, dobbiamo vivere sulla base di quest'ipotesi, altrimenti il mondo non funziona. Ci sono molti problemi che devono essere risolti, ma non lo saranno mai del tutto se Dio non è posto al centro, se Dio non diventa nuovamente visibile nel mondo e determinante nella nostra vita». Una provocazione incompresa, ma di grande profondità circa il fondamento pre politico del vivere civile. La famigerata morte di Dio, ha scritto Ratzinger nei suoi appunti, «in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre orientamento. E perché viene meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male». È questo il perno del ragionamento di Benedetto XVI e che i suoi critici non colgono fino in fondo, e a cui, all'interno della chiesa, Ratzinger aggiunge lo spegnersi della fede come drammatica crisi che alimenta questo clima. «Solo dove la fede non determina più l'agire degli uomini sono possibili tali delitti», sottolinea riferendosi appunto alla crisi degli abusi.Il chiodo fondamentale dell'esistenza di Dio come fatto razionalmente accessibile e la fiamma della fede da alimentare soprattutto al fuoco dell'eucaristia, sono i punti essenziali dettati da Benedetto XVI per uscire dalla crisi della chiesa. Il papa emerito offre così un passaggio dal fenomeno al fondamento, dalle conseguenze alla causa: la politica, l'economia, l'ambiente, che spesso sembrano essere la principale preoccupazione di taluni uomini di chiesa, non sono il fondamento, ma sono conseguenze che solo mettendo Dio al centro possono trovare un orientamento per il bene comune. Altrimenti l'uomo resta in balia del «suo io e le sue voglie». Occorre, scriveva Benedetto XVI nell'enciclica Caritas in veritate, «un cuore nuovo, in grado di superare la visione materialistica degli avvenimenti umani» e questo cuore nuovo in definitiva accade solo convertendosi e mettendo al centro della propria esistenza un rapporto personale con l'unico Salvatore.«Il fatto che il contributo di Aschmann», scrive infine Ratzinger sulla rivista tedesca, «trascuri il passaggio centrale della mia argomentazione proprio come la maggior parte delle reazioni di cui sono venuto a conoscenza mi mostra la gravità di una situazione in cui la parola Dio sembra spesso emarginata nella teologia».
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