2018-08-03
«Per difendere gli ospedali serve l’esercito»
Il ministro Giulia Grillo ha chiesto ai colleghi dell'Interno e della Difesa di rimodulare l'utilizzo dei militari per impiegarli nella sicurezza dei presidi sanitari. In aumento le aggressioni: su 4.000 casi annui di violenza sul luogo del lavoro, 1 su 3 riguarda medici e infermieri. Calci, pugni, spintoni al pronto soccorso, minacce in ambulatorio e perfino ambulanze «sequestrate» e dirottate. In media, ogni giorno vengono aggrediti tre professionisti della sanità: in due casi sono donne. A quella che ormai sta diventando un'emergenza per l'incolumità del personale medico e infermieristico, il ministro della Salute Giulia Grillo risponde chiedendo all'esercito di presidiare gli ospedali, in attesa di una legge con pene più severe per le violenze commesse nei confronti del personale sanitario. La notizia è stata data ieri, dal sottosegretario alla Salute, Massimo Fugatti in risposta a un'interrogazione in commissione Affari sociali. Mentre dal ministero della Salute è già partito, per la presidenza del Consiglio, un disegno di legge per affrontare in modo sistematico i vari aspetti del fenomeno, procede parallelamente l'operazione per avere i soldati negli ospedali, a garanzia della sicurezza sul luogo di lavoro. A tal proposito, lo stesso ministro Grillo, in una nota del 25 luglio scorso, ha chiesto ai ministeri dell'Interno e della Difesa la «rimodulazione del piano di utilizzo del contingente di personale militare adibito all'operazione Strade sicure, affinché sia impiegato anche per la sicurezza e il controllo dei presidi sanitari e ospedalieri». Una parte dei 7.000 militari e del migliaio di mezzi dell'esercito impiegati per l'antiterrorismo dovrebbe quindi essere schierato negli ospedali per l'incolumità del personale sanitario. «Non è mia intenzione quella di militarizzare gli ospedali», ha rassicurato la Grillo in un'audizione parlamentare, «ma i sanitari hanno quasi paura di andare a lavorare, specie in pronto soccorso e in certi territori. Poi ci vogliono sicuramente misure più strutturali per migliorare situazione dei nostri pronto soccorso. Ci sono Regioni, come il Piemonte, con addirittura l'84% degli accessi tra codici bianchi e verdi». A tale proposito, nella stessa nota, il ministro chiede ai diversi Ordini delle professioni sanitarie di fare una sorta di censimento dei presidi più a rischio. La Federazione nazionale dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo) ha già attivato un questionario online per i suoi iscritti. Attualmente, le aggressioni avvengono principalmente nei pronto soccorso ospedalieri e, a livello territoriale, nei presidi di guardia medica, gli ambulatori, i servizi psichiatrici. Come rivelano i dati dell'Inail, riportati dalla Fnomceo, dei 4.000 casi di violenza sul luogo di lavoro registrati in un anno in Italia, circa il 30% riguarda operatori della sanità. Tra questi, il 70% è contro professioniste donne, soprattutto medici della guardia medica. A far scattare il meccanismo che accende il comportamento violento è, in generale, un'attesa del paziente non soddisfatta: una mancata priorità nell'accesso, una prescrizione di farmaci negata, una prestazione giudicata necessaria e urgente, una diagnosi o un referto sgraditi. Sorprendono i dati dell'Indagine sulle aggressioni al personale sanitario dell'aprile 2017, che aggiorna e confronta i dati dello studio del 2013, realizzato dal Nursind, sindacato delle professioni infermieristiche. Nel sondaggio 2013 la tendenza all'aumento del numero di aggressioni era del 12% annuo, ma tra il 2015 e 2016 ha segnato un +32,5%. Il maggiore incremento si registra in Lombardia (+4.6), in Friuli (+2,5) e in Emilia Romagna (+1,9). A scatenare gli scatti di violenza, da parte dei pazienti, ma spesso anche dei famigliari, sono appunto problematiche riscontrate dall'utente nel servizio, ma mentre nel 2013 la percentuale era del 71,8%, nel 2017 era tra il 76 e il 78%. Nei pronto soccorso, dalle parole sia arriva alle mani, nel 54% dei casi, per i tempi di attesa. Restano abbastanza stabili i numeri degli ubriachi o dei pazienti affetti da disturbi psichici che alzano le mani. Sono leggermente in calo gli italiani che aggrediscono (48%). Il 16,4% degli stranieri attacca il personale sanitario (+1,7%), che però è solo il 9% della popolazione secondo i dati Istat del 2016. L'etnia rom, lo 0,23% della popolazione, causa più del 4% delle violenze. Se si va sul piano dei costi, considerando che il 16% delle aggressioni causa inabilità lavorativa, ogni anno lo Stato spenderebbe intorno a 24 milioni di euro. «Nel 2013», spiega Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind, «chiedevamo più guardie e vigilanti. Adesso questo non basta più. Dobbiamo ridurre il rischio di aggressioni che, dati alla mano, dipendono dall'inefficienza del sistema, frutto del definanziamento del sistema sanitario». Ben vengano i militari, «ma per tutelare gli operatori sanitari servono adeguate dotazioni di personale, di organizzazione del lavoro, di risorse». Come fa notare Filippo Anelli, presidente Fnomceo, «è improcrastinabile un cambio di passo, che restituisca a medici e pazienti, strutture e organizzazioni in grado di rispondere alle richieste di salute».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)