Luigi Di Maio in Cina visita lo stabilimento Comau di Fca. Dopo la fusione con Psa, l'azienda di automazione è a rischio vendita. Il Dragone ha già comprato la cugina tedesca Kuka e ha scatenato l'ira di Donald Trump.
Luigi Di Maio in Cina visita lo stabilimento Comau di Fca. Dopo la fusione con Psa, l'azienda di automazione è a rischio vendita. Il Dragone ha già comprato la cugina tedesca Kuka e ha scatenato l'ira di Donald Trump.La Cina è vicina e lontana allo stesso tempo. Se guardi da Pechino, la nostra tecnologia è a portata di mano. Se guardi da Roma si intravede un Eldorado che promette all'infinito ma non quaglia mai. Il viaggio del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è un po' la sintesi di questa visione distopica. Non tanto perché nell'ultimo anno la Via della Seta ha fatto registrate una crescita dell'export solo nella direzione della Cina e non l'inverso, ma anche perché la trasfusione tecnologica su tema fondamentali per la sicurezza nazionale viene gestita da un punto di vista che non supera mai il semestre, oppure la singola campagna elettorale. È facile capire come su questo punto di vista i cinesi ci possano spremere come dei bergamotti per l'infuso. Il presidente cinese, Xi Jinping, ha varato nel 2017 un piano di sviluppo industriale al 2040 e più in generale la diplomazia del Dragone ragione in ere. Così a fronte di un piccolo investimento sul 5G, la Cina potrebbe trasformare il nostro Paese in un hub dei big data per il Mediterraneo. Per comprendere però più a fondo come si sviluppa la tela del 5G vale la pena soffermarsi sulla visita (durante la turnèè in Cina) del ministro Di Maio alla Comau. L'azienda è di proprietà del gruppo Fca e da una ventina di anni ha uno stabilimento a Shanghai. Qui come in Italia vengono prodotti robot di ultima generazione e fondamentali per avviare produzione manifatturiera di alto livello. Come correttamente riportava ieri il Sole 24 Ore, Comau è corteggiata da numerose aziende cinesi. Adesso che Fca e la francese Psa si avviano verso la strada del matrimonio, il nuovo gruppo automobilistico potrebbe decidere di scorporare i robot e mettere in vendita il gioiello italiano. La Francia ha già tale know how e in fondo a Fca non servirebbe mantenere un doppione. Alla Cina invece Comau serve eccome. La scorsa settimana Pechino ha lanciato la prima tranche di servizi 5G dirette alle aziende. Possedere un'azienda come Comau consentirebbe di chiudere il cerchio. Da un lato la tecnologia delle telecomunicazioni di ultimissima generazione e dall'altro i robot in grado di utilizzarla al 100%. Le aziende cinesi senza acquisizione impiegherebbero un altro decennio per raggiungere il livello di Comau. Ecco che a breve potrebbe porsi il dilemma. Non tanto per Fca, ma per lo Stato italiano che perderà un altro pezzo di tecnologia. Il tema non è quanto valga Comau e quanto possa essere pagata, ma quanto costerà all'Italia cedere tecnologia che non tornerà indietro. E che ci penalizzerà agli occhi degli Stati Uniti. Quando i cinesi nel 2017 hanno messo gli occhi su Kuka, azienda cinese simile a Comau, si è scatenato l'inferno. Il dossier è passato al vaglio del ministero dell'Economia che valutò l'eventualità di bloccare l'acquisizione. Kuka è passata di mano e addirittura Donald Trump si interessò al dossier criticando la scelta di Berlino. Come si comporterà l'Italia nella medesima situazione? La domanda andrebbe poste al premier Giuseppe Conte, così come su tali dossier andrebbe presa in considerazione la possibilità di copiare in parte il metodo francese. Ovviamente, parliamo solo di metodo e non di sostanza. Parigi ha da tempo avviato un passaggio tecnologico da Airbus a circa 6.000 imprese cinesi che sono tutte quelle certificate per lavorare con il colosso dei cieli. In cambio Airbus ha ottenuto lo ius primae noctis del mercato cinese. Qualcosa che vale milioni e milioni di passaggeri. Lo stesso e ancor più nel seileznio dei media, è avvenuto con la tecnologia nucleare.La vecchia Areva è entrata in crisi una decina di anni fa. Da allora la cooperazione sino francese sul tema è diventato un tema caldo a Pechino e con l'arrivo di Emmanuel Macron si è assistito a una impennata nelle relazioni. A marzo di quest'anno a Parigi c'è stata una importantissima riunione tra i due presidenti e ne è uscito un programma congiunto che si basa su una decina di punti. Gran parte dei quali sono mirati a produrre impianti nucleari congiunti. Tradotto in parole povere, la strategia francese è basta sulla cessione di tecnologia in cambio di fatturato per i decenni a venire e posti di lavoro. Parigi sembra consapevole di sfidare gli Usa, anche se a noi sembra folle è comunque una strategia. Il fronte italiano, invece, naviga senza strumentazione e continua a cambiare direzione. Il problema non è vendere tecnologia, ma è esaurirla e a quel punto non aver epiù nulla da vendere. In quel caso senza robot, aerospazio e meccanica di precisione non penseremo di rimanere nel G7? Siamo bravi a confezionare abiti o disegnare scarpe, ma non basta per restare nei club che contano. Al massimo vestiremo le persone che guidano i Paesi che contano.
Elly Schlein (Ansa)
Nicola Fratoianni lo chiama per nome, Elly Schlein vi vede una «speranza», Stefano Patuanelli rilancia la patrimoniale.
Brutte notizie per Gaetano Manfredi, Silvia Salis, Ernesto Maria Ruffini e tutti gli altri aspiranti (o presunti tali) federatori del centrosinistra: il campo largo italiano ha trovato il suo nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani, ha 34 anni, è il nuovo sindaco di New York, che del resto si trova sullo stesso parallelo di Napoli. La sua vittoria ha mandato in solluchero i leader (o sedicenti tali) della sinistra italiana, che vedono nel successo di Mamdani, non si riesce bene a capire per quale motivo, «una scintilla di speranza» (Alessandro Alfieri, senatore Pd). Ora, possiamo capire che l’odio (si può dire odio?) della sinistra italiana per Donald Trump giustifichi il piacere di vedere sconfitto il tycoon, ma a leggere le dichiarazioni di ieri sembra che il giovane neo sindaco di New York le elezioni le abbia vinte in Italia.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 6 novembre con Carlo Cambi
Zohran Mamdani (Ansa)
Il pro Pal Mamdani vuole alzare le tasse per congelare sfratti e affitti, rendere gratuiti i mezzi pubblici, gestire i prezzi degli alimentari. Per i nostri capetti progressisti a caccia di un vero leader è un modello.
La sinistra ha un nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani e, anche se non parla una sola parola d’italiano, i compagni lo considerano il nuovo faro del progressismo nazionale. Prima di lui a dire il vero ci sono stati Bill Clinton, Tony Blair, José Luis Rodriguez Zapatero, Luis Inàcio Lula da Silva, Barack Obama e perfino Emmanuel Macron, ovvero la crème della sinistra globale, tutti presi a modello per risollevare le sorti del Pd e dei suoi alleati con prime, seconde e anche terze vie. Adesso, passati di moda i predecessori dell’internazionale socialista, è il turno del trentaquattrenne Mamdani.
Antonio Forlini, presidente di UnaItalia, spiega il successo delle carni bianche, le più consumate nel nostro Paese






