Indagine Bankitalia: metà degli italiani ha da parte risparmi che possono garantire una vita decorosa soltanto per tre mesi.Mancano ancora 800 milioni di euro all'anno. E anche i decreti legislativi collegati.Lo speciale contiene due articoli.Se l'Italia non riuscirà a ripartire in fretta, se non ci sarà quel «cambio di passo» nella gestione della crisi finora evocato ma non riscontrato nei fatti, il 40% delle famiglie del nostro Paese non saprà più di che vivere. E la stragrande maggioranza di queste, sono quelle in cui chi porta reddito a casa è un lavoratore autonomo. È quanto emerge dall'Indagine straordinaria di Bankitalia sulla famiglie italiane nel 2020, condotta a novembre e terza in ordine cronologico dallo scoppio della pandemia, dopo quelle della scorsa primavera e dell'ultima estate. Numeri impietosi, per non dire brutali, che tratteggiano un quadro in cui a una situazione economica sempre più precaria si accompagna una inevitabile tendenza al pessimismo che, in prospettiva, potrebbe essere per la nostra economia ancor più dannosa della crisi acuta generata dal Covid. Due elementi, su tutti, danno la misura di quanto la catastrofe economica in atto, se non adeguatamente contrastata, rischia di innescare quella sociale. Il primo è che, secondo lo studio di Palazzo Koch, circa il 40% delle famiglie italiane che vivono in affitto si trovano in difficoltà nei pagamenti, e il 30% di quelle che hanno prestiti in corso faticano a corrispondere le rate. Una situazione tanto più allarmante se si pensa che, a fronte di una cospicua percentuale di famiglie che ha già smesso di pagare l'affitto, c'è un altrettanto nutrito numero di proprietari di immobili che trae dalla riscossione dell'affitto l'unica fonte di reddito. Un potenziale effetto domino, dunque, a monte del quale c'è il prosciugamento dei redditi: un terzo delle famiglie ha infatti riferito di aver subito una riduzione del reddito nel 2020 e tra queste, solo il 20% immagina una ripresa per il 2021. L'altro elemento a rischio deflagrazione è che oltre la metà della popolazione italiana vive in famiglie che non dispongono di risorse finanziarie sufficienti a mantenere uno standard di vita decoroso per almeno tre mesi, in assenza di entrate. E non è escluso che questa soglia, purtroppo, sia già stata superata da un numero importante di italiani «invisibili», visto l'incontrovertibile aumento dei connazionali che fanno ricorso alla rete di assistenza del volontariato, come ad esempio le mense o le distribuzioni di capi di abbigliamento. L'incertezza pesa - ed era difficile attendersi un riscontro diverso - prima di tutto sulle categorie di lavoratori che stanno pagando maggiormente il prezzo delle chiusure, e cioè gli autonomi: più della metà delle famiglie «guidate» da lavoratori autonomi hanno dovuto fronteggiare una diminuzione delle entrate nel corso del 2020, e più di un quarto di queste famiglie pensa che le cose, nel 2021, andranno ancora peggio. Su di loro, come sul complesso dei nuclei familiari in sofferenza, incombe l'ombra del ricorso a canali illegali di finanziamento con il rischio di cadere nella spirale dell'usura: circa il 15% delle famiglie, infatti, ha richiesto o ha preso in considerazione la possibilità di richiedere un prestito a una banca o a una società finanziaria, semplicemente per disporre di liquidità per sostenere le spese correnti. E a proposito di spese, c'è un dato che dovrà far riflettere chi ha la responsabilità delle decisioni: la maggior parte delle famiglie ha dichiarato di aver ridotto le spese per bar, ristoranti, cura della persona, in quanto scoraggiata dalle chiusure, piuttosto che per le minori disponibilità economiche. Con il perdurare della pandemia, la percentuale di famiglie che si attende un peggioramento della situazione economica è aumentata di 9 punti, e in cima alle preoccupazioni, prevedibilmente, c'è il lavoro: più di un terzo delle famiglie si aspetta infatti un netto peggioramento della situazione nei prossimi mesi, con prospettive più negative per autonomi e i disoccupati. Inoltre, più del 20% dei capifamiglia con contratto a termine pensa che il proprio lavoro sia fortemente a rischio scomparsa entro il 2021. Nonostante ciò, c'è una fetta di famiglie italiane (circa il 40%) che non ha perso l'ottimismo e pensa di potercela fare, ritenendo di poter contrastare gli effetti della crisi spendendo meno di quanto guadagna. Ciò, però, non potrà che avere un effetto depressivo sui consumi, aumentando quindi le sofferenze di alcune categorie di lavoratori. Il 32% delle famiglie italiane pensa infatti di ridurre i consumi per alimentari, abbigliamento, calzature e beni e servizi per la casa nei prossimi mesi e la metà di queste ha dichiarato di voler acquistare beni di qualità inferiore, con un possibile impatto sulla salute e, in prospettiva, sul sistema sanitario nazionale. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/per-4-famiglie-su-10-gravi-difficolta-nel-pagare-laffitto-2651259004.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="via-i-bonus-ok-all-assegno-unico-meno-soldi-ai-lavoratori-dipendenti" data-post-id="2651259004" data-published-at="1617132593" data-use-pagination="False"> Via i bonus, ok all'assegno unico. Meno soldi ai lavoratori dipendenti Ieri l'approvazione della legge, il 1° luglio la prima erogazione dell'assegno unico e universale a sostegno dei figli. «Unico» perché va a sostituire tutte le attuali forme di sostegno alle famiglie (detrazioni Irpef, bonus bebè, bonus mamme, bonus terzo figlio), «universale» perché sarà corrisposto ogni mese a tutti senza distinzione tra lavoratrici e lavoratori dipendenti, autonomi, capienti o incapienti con una maggiorazione per chi ha figli con disabilità. La legge delega Famiglia, attesa da 7,63 milioni di famiglie coinvolte, sta dunque per concretizzarsi purché, come ha sollecitato il premier Mario Draghi, il governo approvi i decreti legislativi collegati. E soprattutto trovi le risorse che ancora mancano: infatti, secondo i primi calcoli, i circa 20 miliardi messi in campo permetterebbero di coprire assegni per una media di 150 euro, parecchio al di sotto dei 250 euro previsti. In effetti, l'importo a oggi va da un minimo di 40 euro mensili in quota fissa a 200 euro per chi è sotto la quota Isee di 13.000 euro di reddito, per i figli da 0 a 18 anni, aumentati del 20% per i figli successivi al primo. Gli importi si dimezzano per i figli ancora a carico dai 18 ai 21 anni. «L'assegno unico e universale», ha spiegato il ministro per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti (Italia viva), rivendicandone la paternità (ma lo fa anche il Pd), «è un provvedimento che fa parte del Family act e consiste in una quota che verrà data a ciascun figlio, dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni di età, mese dopo mese, maggiorato dal terzo figlio e anche nel caso di bambini disabili. È per tutti, e la quota dipenderà dal reddito, quindi le famiglie meno abbienti riceveranno di più, e le più ricche avranno solo una quota base». L'assegno infatti verrà attribuito progressivamente a tutti i nuclei familiari con figli a carico proprio per favorire la natalità (calo record nel 2020 con solo 404.000 nascite), sostenere la genitorialità e promuovere l'occupazione, in particolare femminile, senza distinzione, come accadeva finora, tra lavoratori autonomi o dipendenti, capienti o incapienti. Tutto abbastanza chiaro sulla carta, ma in soldoni l'analisi della simulazione effettuata dal gruppo di lavoro Arel/Feg/Alleanza per l'infanzia, rilanciata da Repubblica, mostra subito ombre. L'80% delle famiglie italiane prenderebbe 161 euro al mese per ogni figlio minore e 97 per ogni figlio under 21. Il calcolo è legato alla considerazione secondo cui 8 famiglie su 10 hanno un Isee sotto i 30.000 euro. L'importo dell'assegno diminuisce se si alza l'Isee: sopra i 52.000 euro, il contributo scende a 67 euro mensili per i figli minori e a 40 euro per i figli maggiorenni ma di età inferiore ai 21 anni. In soldoni, l'assegno universale, se per il 2,4% dei genitori non cambierebbe nulla, favorirebbe invece autonomi e incapienti, categorie oggi escluse dagli assegni famigliari, e quanti non raggiungono la soglia per la capienza delle detrazioni fiscali, mentre risulterebbero sfavoriti i lavoratori dipendenti: 1,35 milioni di famiglie perderebbero in media 381 euro all' anno. Per evitare questa disparità, oltre i 20 miliardi previsti servirebbero 800 milioni in più all'anno. «Siamo preoccupati. Occorre mettere più risorse, che peraltro in questo triste momento storico ci sono, per avviare una seria politica per le famiglie, che da decenni vedono una fiscalità appunto penalizzante e discriminatoria», ha detto Antonio Affinita, direttore generale del Moige (Movimento italiano genitori). Ricordiamo che l'assegno unico è rivolto a tutti i cittadini italiani, a quelli dell'Ue e agli extracomunitari con permesso di soggiorno di lungo periodo, di lavoro o di ricerca, residenti in Italia da almeno 2 anni anche non continuativi e, ovviamente, con figli a carico. Inoltre l'assegno è riconosciuto a entrambi i genitori, tra i quali viene ripartito in egual misura. In loro assenza, spetta a chi esercita la responsabilità genitoriale. In caso di separazione o divorzio, l'assegno viene generalmente erogato al genitore affidatario, mentre se l'affidamento è congiunto o condiviso, l'assegno è ripartito tra i genitori.
Ansa
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