2019-02-09
Pepe e cioccolato nel kamasutra del palato
Sul Web impazzano cibi e piatti afrodisiaci per San Valentino. Che funzionano dall'antichità. Alboino risvegliò i sensi della moglie con la pearà, Petronio credeva nel potere di miele e fegato, Casanova nei frutti di mare. La ricetta di Tognazzi: ostriche piccanti.Quando quel figlio di una buona donna di Alboino costrinse la moglie Rosmunda a bere nel cranio del padre, le fece perdere di botto tutti gli appetiti, da quello manducatorio a quello che, probabilmente, interessava di più al brutale re dei Longobardi: l'appetito sessuale. Alboino, barbaro ma non stupido, intuì che la strada del sesso passa (anche) dal palato: per far ritornare la moglie sul talamo nuziale, avrebbe dovuto, prima, stimolarla a tavola. Ma come convincerla? Convocò tutti i cuochi del regno, ma nessuno aveva la ricetta giusta. Quand'ecco farsi avanti un Cannavacciuolo longobardo, un Gordon Ramsay del VI secolo, con una salsa talmente carica di pepe, spezia notoriamente afrodisiaca, che, miracolo!, Rosmunda tornò a mangiare e ad amare.È la leggenda della pearà come la raccontano a Verona, dove l'amore per la salsa di pangrattato, midollo di bue e tanto pepe, intingolo che- si garantisce nella città scaligera-, s'abbina splendidamente ai lessi e agli amplessi. La pearà, nei veronesi, è più forte dell'amore per l'Hellas e perfino di quello per Giulietta e Romeo. Come sia finita davvero la vicenda tra Rosmunda e Alboino, ce lo racconta la storia: la vendicativa Rosmunda spinse Elmichi, suo amante, a renderla vedova.La domanda da porsi, vista la prossimità di San Valentino, è: esiste una cucina dell'amore? Funzionano davvero i piatti afrodisiaci? Messi da una parte gli innamoratini di Peynet, i mazzi di rose rosse o le scatole di baci, San Valentino oggi è un santo a luci rosse. Basta cliccare in internet «San Valentino e cibi afrodisiaci» e vi si schiuderanno le mille e una pietanza peccaminose, il kamasutra del palato, il ricettario di Lady Chatterley.Ecco qualche consiglio colto qui e là. Il Messaggero.it rivela il segreto di Casanova: cioccolata e ostriche. E miele e mandorle per essere sensuali come Cleopatra. Giallo Zafferano garantisce l'effetto del cocktail di melograno: ricco di vitamina C e antiossidanti combatte la disfunzione erettile. Anche Ilmattino.it caldeggia il miele perché aumenta i livelli di estrogeni e innalza il testosterone. L'aglio, afrodisiaco naturale per un San Valentino perfetto, è il consiglio di Dilei.it. Afrodisiaca e irresistibile per tutti gli innamorati, è la torta di cioccolato e peperoncino raccomandata da Gustoblog.E per i vegani? Tranquilli, c'è chi pensa anche a come esaltare i loro sensi. Anconatoday segnala un menu che promette lussuria a carrettate: riso con mandorle e asparagi; crêpe di ceci con verdure allo zenzero; miniburger di miglio, cereale amato dai volatili, con verdure speziate; muffin con cuore fondente.Isabel Allende, scrittrice cilena naturalizzata statunitense, ha scritto sul legame tra cibo e sesso un intero libro di confidenze e ricette: Afrodita. «La finalità degli afrodisiaci è incitare all'amore carnale», scrive senza giri di parole. E aggiunge un consiglio: «Ma se perdiamo troppo tempo ed energie nell'elaborarli, difficilmente potremo goderne i frutti». Quindi ricette semplici, con ingredienti facili da reperire, che vadano diritte allo scopo: stimolare la libido. Lasciate perdere la zuppa di pinne di pescecane e i testicoli di cervo o di babbuino. A parte lo sdegno e la pena per le sofferenze di queste povere bestie, si rischia l'autogol pensando al taglio- zac!- degli attributi. In quanto alle pinne di squalo, che in Cina sono servite nei banchetti nuziali, c'è il pericolo di ottenere l'effetto opposto: la sterilità per il troppo mercurio nella carne di pescecane.Un'altra scrittrice che crede nell'automatico passaggio di amorosi sensi tra ventre e bassoventre, è Virginia Wolf: «Non si può amare bene se non si ha mangiato bene». Le fa eco l'Allende: «Gli afrodiasici sono il ponte gettato tra la gola e la lussuria». Ma non rischiamo di ridurre tutto agli apparati digerente e genitale? La scrittrice cilena ci riflette su: «Mangiare e copulare dipendono molto più dal sistema nervoso che da quelli digestivo e sessuale. La natura ci ha dotato di un cervello insaziabile, capace di immaginare non solo ogni sorta di meravigliose pietanze e di fantasie amatorie, ma anche le colpe e i castighi corrispondenti». E allora i cibi afrodisiaci? Utili o no? Onesta l'ammissione di Isabel: «Mi sento in dovere di confessare, prima che il lettore continui a perder tempo in queste pagine, che l'unico afrodisiaco davvero infallibile è l'amore».D'accordo con lei, pur con una diversa sfumatura, lo scrittore spagnolo Manuel Vàsquez Montalbàn che definisce inesistente la cucina afrodisiaca e lo scrive proprio nel libro Ricette immorali. È il «mangiare in compagnia una situazione afrodisiaca di per sè, soprattutto quando la buona chimica del cibo coincide con la buona chimica dei commensali. Mangiare bene e bere ancora meglio sconvolge i punti cardinali della cultura repressiva». Non c'è due senza tre. Anche Ugo Tognazzi, attore, cuoco, gastronomo raffinato, nel libro Afrodite in cucina nel quale detta tutta una serie di ricette erotizzanti (ostriche piccanti, salama da sugo, sorbetto ai frutti della passione...), ammette che quello che conta, in fondo, è l'atmosfera e l'oscuro oggetto del desiderio.La storia dei cibi afrodisiaci è vecchia quanto il mondo. Fin dall'antichità l'uomo ha pensato, per analogia, che un determinato frutto o verdura somigliante agli organi sessuali maschile o femminile, li rinvigorisse mangiandoli. Vedi la banana, il sedano, l'asparago (dal greco aspharagos che, secondo qualcuno, si rifà al verbo spargao: essere turgido), l'ostrica, il fico. Altri cibi si sono guadagnati la fama per condizionamenti culturali. Altri ancora perché colpiscono il lato erotico o esotico della fantasia. Altri perché contengono sostanze energetiche.Gli antichi egizi, quando sentivano calare l'eccitazione, facevano largo consumo di zenzero, cipolla (così potente da essere vietata ai sacerdoti), miele, spezie e melograne. Anche i greci si esaltavano con cipolla e miele, ma risvegliavano la sessualità assopita pure con crostacei, uova e tartufi. A proposito: afrodisiaco deriva da Afrodite, la loro dea dell'amore. I ricchi romani dell'impero, i Petronio, i Trimalcione, i Lucullo, credevano nel potere di ostriche, ricci di mare, fegato d'oca, miele, tartufi e, particolarmente arrapante, del lampascione. Marziale dedica alla cipolla selvatica un epigramma: «Qualora tua moglie sia vecchia e le tue membra morte, i lampascioni serviranno solo a riempirti lo stomaco». Il viagra naturale del medioevo fu il sedano: «Se l'uomo conoscesse l'effetto del sedano ne riempirebbe il suo cortile», recitava un proverbio. Michele Savonarola, medico padovano, metteva in guardia le donne perbene: «Non mangiatene, istiga al coito anche le pudibonde». Molto considerate, nel medioevo, furono le spezie: cannella, chiodi di garofano, noce moscata, cardamomo. Dopo la scoperta dell'America l'alimentazione europea si arricchì di cibi nuovi e la fantasia erotica di afrodisiaci. Tra gli altri il pomodoro, il peperone, il peperoncino e, soprattutto, il cioccolato.Il sessuologo Willy Pasini nel libro Il cibo e l'amore sostiene che, alla fine, tutto fa brodo: «C'è chi usa cibo e chi pozioni chimiche. Chi punta su piante miracolose: ortica, zafferano, pistacchio, porri, ma anche zucchine e carciofi. Chi elogia i poteri delle spezie: aglio, cannella e garofano».
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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