2019-02-01
Pensione di Pietrostefani coperta fino al 2022. Dopo lo manterremo noi
I pagamenti previdenziali di Giorgio Pietrostefani basteranno soltanto per altri tre anni. Al «collega» Raffaele Silvio Ventura, sempre latitante in Francia, l'Inps ha risposto picche. Mario Pellegrini, membro di Avanguardia nazionale condannato per sequestro, fuggì in Argentina. Versò i contributi come artigiano. Lo speciale comprende due articoli. Non ci ha provato solo Giorgio Pietrostefani, condannato per l'omicidio del commissario Luigi Calabresi e latitante a Parigi dal 2000, a chiedere la pensione all'Inps. Ha tentato di seguire il suo esempio anche il concittadino Raffaele Silvio Ventura, per cui la Procura generale di Milano nel 2017 ha rinnovato l'ordine di carcerazione per scontare 24 anni di pena. L'ex membro delle Formazioni comuniste combattenti, originario di Varese, dove è nato nell'ottobre del 1949, è nella lista dei 30 most wanted in mano al ministro dell'Interno Matteo Salvini, ma potrebbe evitare la prigione essendo diventato cittadino francese grazie al matrimonio con una signora d'Oltralpe. Nei mesi scorsi Ventura ha chiesto la pensione (sulla base di una convenzione tra Italia e Francia) come ha fatto l'ex leader di Lotta continua Pietrostefani. Ma nel 2018 l'Inps ha respinto la richiesta in via amministrativa, visto che l'ex terrorista aveva versato in Italia contributi insufficienti, mentre altri li aveva versati in Francia come lavoratore autonomo. I tribunali italiani lo hanno condannato per banda armata, associazione sovversiva, rapina, devastazione, detenzione e porto illegale di armi e di bottiglie incendiarie. Il primo ordine di carcerazione è del 1997. Nel 2017 è stato rinnovato. Ma, a causa del suo nuovo passaporto, è molto probabile che resterà uccel di bosco. In ogni caso, dopo la copertina di Panorama sulla pensione che l'Inps versa al latitante Pietrostefani, in Italia si è aperto il dibattito sull'opportunità di pagare l'assegno a chi si sta sottraendo all'esecuzione della propria pena. Infatti Pietrostefani nel 2000 è stato condannato definitivamente quale mandante dell'omicidio del commissario Calabresi insieme con Ovidio Bompressi (graziato dall'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) e Adriano Sofri, tutti leader del disciolto movimento Lotta continua. All'Inps risulta che in Italia Pietrostefani abbia versato contributi riferiti a quasi 297.400 euro di salari spalmati in nove anni, tra il 1983 e il 1992. A questi vanno aggiunti altri 600 euro di retribuzioni percepite per due mesi e mezzo di lavoro tra il 1976 e il 1977. Il totale fa 298.000. Considerando che il 33% circa va in contributi, Pietrostefani ha pagato quasi 100.000 euro in Italia. Lo Stato gliene ha già restituiti 41.000, 21.740 nel 2017, 17.700 nel 2018 e 1.565 con l'assegno di gennaio di quest'anno. Ciò significa che nei prossimi 36 mesi Pietrostefani avrà esaurito il suo credito e allora saremo noi a pagargli la pensione. Diventando in un certo senso complici di un latitante. Anche perché tra 36 mesi sarà il febbraio del 2022, mentre Pietrostefani deve scontare ancora 14 anni e due mesi di carcere: a partire da oggi la sua pena scadrebbe nel 2033. Nei giorni scorsi sul Foglio l'ex compagno di Pietrostefani, Sofri, ha provato a negare che il vecchio amico sia tecnicamente un latitante: «Giorgio Pietrostefani vive notoriamente a Parigi, dove ha la residenza da un gran numero di anni. Vi risiedeva già quando venne a consegnarsi al carcere nel gennaio 1997, con una previsione piuttosto fondata di non uscirne più. Ci restò due anni e otto mesi, fino a quando, accolta l'istanza di revisione della nostra condanna, fummo provvisoriamente scarcerati. Non c'è niente di clandestino nella sua esistenza. Ha sempre e regolarmente lavorato. Chiunque voglia frequentarlo - e lui voglia frequentare -lo può fare: io per esempio. Con qualche limitazione in più da quando, tre anni fa, per un carcinoma al fegato, ha avuto, grazie alla sanità pubblica di quel Paese, un trapianto di fegato che gli ha salvato in extremis la vita. Gli ho chiesto come va: dopo di allora infatti ha subito 13 interventi in endoscopia, di riparazione o di manutenzione (uso termini profani). I controlli permanenti e gli effetti dei farmaci immunosoppressori incidono naturalmente sulla sua vita quotidiana. Del resto, è una persona di 75 anni. Mi auguro che il titolo di “Primula rossa in fuga", che oggi viene tributato a lui e altri in là con gli anni, lo rincuori». L'arringa di Sofri continua: «Dopo il respingimento della revisione, nel 2000, Pietrostefani restò a Parigi. Lo fece a malincuore, per una sola ragione: a differenza di Ovidio Bompressi e me, che avevamo figli grandi, aveva una figlia bambina e scelse di starle vicino. Gli costò. Io ne fui contento». Bene, Sofri ne fu contento. Ma gli altri? I giudici? Le forze dell'ordine? E gli italiani che oggi gli devono pagare la pensione? Per il giudice milanese Guido Salvini, Pietrostefani, Sofri e Bompressi hanno ancora qualche segreto da svelare: «Dopo le confessioni di Leonardo Marino e le sentenze delle Corti di Milano, nessuna persona di buon senso può credere che Lotta continua non abbia fatto la sua parte in quell'omicidio (di Calabresi, ndr). È una storia che comunque non conosciamo per intero. Per esempio chi era l'informatore del Sid “Como", di cui ho trovato negli anni Novanta le relazioni e che faceva parte dell'esecutivo di Lotta continua nel periodo dell'omicidio Calabresi? I dirigenti di Lotta continua dell'epoca sarebbero in grado di identificarlo; non si può escludere nessuno, lo dico come mera ipotesi, nemmeno che fosse Pietrostefani o una persona a lui vicina. Posto che militanti di Lotta continua hanno certamente eseguito l'omicidio, a quale livello militare o politico è stata presa quella decisione? […] Non ci sono le risposte che sarebbe giusto avere prima che quella generazione scompaia». Forse anche solo per ottenere queste risposte bisognerebbe chiedere che qualcuno applichi la legge Fornero che prevede la revoca delle prestazioni assistenziali per chi abbia subito una condanna definitiva per reati «di particolare allarme sociale» come l'associazione o l'attentato per finalità di terrorismo, il sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, l'associazione di tipo mafioso, il voto di scambio politico mafioso, la strage. Giacomo Amadori <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pensione-di-pietrostefani-coperta-fino-al-2022-dopo-lo-manterremo-noi-2627648155.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="assegno-da-739-euro-al-mese-pure-al-terrorista-nero" data-post-id="2627648155" data-published-at="1757786044" data-use-pagination="False"> Assegno da 739 euro al mese pure al terrorista nero L'uomo che visse due volte se ne sta da qualche parte vicino a San Isidro, in Argentina, con la sua pensione Inps da artigiano da 739 euro al mese pagata dallo Stato italiano, come ha scoperto Panorama. Lo stesso uomo che da oltre 40 anni l'Italia cerca in mezzo mondo. Mario Pellegrini, nell'unica foto agli atti dell'Antiterrorismo, sfoggia due baffoni messicani e un mezzo ghigno di sfida. Deve scontare 12 anni e sei mesi per il sequestro (avvenuto il 26 agosto 1975) del banchiere leccese Luigi Mariano, che dovette ricomprarsi la libertà pagando 280 milioni di lire. I soldi dovevano finanziare la nascita in Puglia di un movimento di estrema destra chiamato La pietra eletta, guidato da Pierluigi Concutelli, l'assassino del giudice Vittorio Occorsio. Un'associazione sovversiva, dai rituali para massonici, che avrebbe affiancato Ordine nuovo e Avanguardia nazionale, di cui lo stesso Pellegrini era ruvido militante nelle scorribande su tutto il territorio nazionale. Nato a Papozze (Rovigo) il 4 agosto del 1939, Pellegrini agli inizi degli anni Settanta è il duro di un gruppo di neofascisti toscani. Gestisce il bar Versilia sul Lido di Camaiore, che è un po' il ritrovo dei nostalgici del Ventennio della zona. Accusato di aver picchiato e accoltellato un giovane strillone dell'Unità (per rappresaglia, si disse, i rossi gli incendiarono il bar) viene spedito al soggiorno obbligato a San Pancrazio Salentino, in provincia di Brindisi. Qui -insieme ad altri militanti di Avanguardia nazionale e dell'Msi - organizza il rapimento dell'uomo d'affari. Le forze dell'ordine lo cercano ovunque, anche in Sicilia, dove intanto sono stati allestiti diversi campi di addestramento neofascisti sotto l'occhiuto controllo della mafia, ma è imprendibile. I servizi segreti lo individuano in fuga nella Spagna post franchista. Il pentito Vincenzo Vinciguerra, a sua volta latitante in terra iberica per sfuggire a un ordine di arresto per una serie di attentati dei Legionari in Friuli, raccontò che Pellegrini si sarebbe arruolato nella struttura logistica e operativa creata dall'attivista anticomunista francese Yves Guérin-Sérac e da Stefano Delle Chiaie. «Seppi che un gruppetto di camerati aveva fatto un agguato a un dirigente dell'Eta, uccidendolo», disse Vinciguerra al pm, «ma questi prima di morire aveva reagito sparando a sua volta e ferendo in modo gravissimo l'italiano. Questi, prima che il gruppo potesse rientrare in Spagna, era morto e, a quanto mi fu detto, fu abbandonato in un fiume al fine di non lasciare tracce». L'italiano doveva essere Pellegrini, così credettero tutti. Tranne l'Interpol e le forze dell'ordine italiane che, il 19 gennaio 2002, lo arrestano vicino a Buenos Aires. Pellegrini, che all'epoca aveva 63 anni, rimase a disposizione dell'autorità giudiziaria argentina pochi giorni perché la richiesta di estradizione venne rigettata. Oggi il suo nome è tra i 30 terroristi ricercati a cui il Viminale ha deciso di dare la caccia. Simone di Meo
Bologna, i resti dell'Audi rubata sulla quale due ragazzi albanesi stavano fuggendo dalla Polizia (Ansa)
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)