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2019-01-13
Il primo assegno del pensionato tipo: il 69% dell'ultimo stipendio
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Lo dice un report pubblicato dal Parlamento europeo che spiega la relazione esistente tra reddito da pensione pubblica dei 65-74enni e quello da lavoro dei 50-59enni. Ovvero risponde alla domanda: quanto si prende andando in pensione rispetto all'ultimo stipendio?
La risposta, in Italia, è, appunto, il 69%. Poco? Invece è tantissimo: il nostro tasso di sostituzione è il secondo più alto d'Europa e questo significa che gli italiani over 65 sono tra i più benestanti rispetto ai pensionati del resto d'Europa, dove la media del tasso di sostituzione è del 58%.
Meglio del signor Mario, il nostro pensionato-tipo, sta solo monsieur François (o herr Franz) nel Granducato di Lussemburgo, il quale, andando in pensione, mantiene l'88% del reddito da lavoro. Un gradino sotto di noi si trovano i pensionati francesi, col 68%, gli ungheresi col 67% e spagnoli e rumeni col 66%. Quindi, tornando alla domanda di prima, il nostro 69% non è affatto poco. Chi potrebbe lamentarsi, invece, è mister Sean, pensionato irlandese, che mantiene solo il 35% del suo vecchio reddito da lavoro.
La generosità del nostro sistema è una delle spiegazioni della crisi del sistema pensionistico pubblico che è il vero pozzo senza fondo della spesa pubblica nazionale. Basti pensare che l'Inps prevede di perdere, nel 2018, 5,4 miliardi di euro nonostante 108,3 miliardi di contributi statali.
Le cose cambieranno? La logica dice di si: il nostro 69% è frutto del fatto che i pensionati di oggi si sono ritirati dal lavoro quando in Italia, per calcolare l'assegno di quiescenza, si usava ancora il sistema retributivo mentre i prossimi pensionati dovrebbero avere un reddito inferiore, dato che il loro assegno sarà calcolato con il molto meno generoso metodo contributivo. E invece non è così. Le previsioni dell'Unione europea dicono che la differenza tra reddito da pensione e reddito da lavoro si ridurrà ancora, migliorando rispetto ad oggi di circa 2 punti percentuali nel 2053. Significa che in Italia il tasso di sostituzione che oggi, come abbiamo visto, è al 69%, si attesterà nel 2053 attorno al 71%. Meglio di noi faranno solo Bulgaria, Danimarca, Lituania, Germania, Cipro ed Estonia, Paesi in cui il tasso di sostituzione crescerà di più, partendo però da una percentuale molto più bassa. Siamo tra i pochi Paesi in cui il tasso di sostituzione non peggiorerà, nonostante sia già il secondo più alto. Guardiamo la Francia: parte da un tasso di un punto più basso del nostro, 68%, ma in previsione perderà quasi 15 punti percentuale, arrivando intorno al 53%, sotto l'attuale media europea.
Attenzione, però: questo non vuol dire necessariamente che i pensionati di domani prenderanno di più di quelli di oggi, vuol dire che il rapporto con l'ultimo stipendio migliorerà, probabilmente perché la pensione calerà meno velocemente di quanto calerà lo stipendio. E non è una buona notizia.
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In Italia il signor Mario, settantenne, percepisce mensilmente 690 euro di pensione. Sempre in Italia il signor Paolo, cinquantacinquenne, guadagna 1.000 euro al mese lavorando nella stessa azienda in cui lavorava il signor Mario. Significa che Mario, andando in pensione, ha mantenuto il 69% del proprio stipendio. I nomi dei personaggi sono inventati, ma la proporzione tra le cifre è vera: il tasso di sostituzione tra pensioni e stipendi italiano è tra i più alti d'Europa. Lo dice un report pubblicato dal Parlamento europeo che spiega la relazione esistente tra reddito da pensione pubblica dei 65-74enni e quello da lavoro dei 50-59enni. Ovvero risponde alla domanda: quanto si prende andando in pensione rispetto all'ultimo stipendio?La risposta, in Italia, è, appunto, il 69%. Poco? Invece è tantissimo: il nostro tasso di sostituzione è il secondo più alto d'Europa e questo significa che gli italiani over 65 sono tra i più benestanti rispetto ai pensionati del resto d'Europa, dove la media del tasso di sostituzione è del 58%.Meglio del signor Mario, il nostro pensionato-tipo, sta solo monsieur François (o herr Franz) nel Granducato di Lussemburgo, il quale, andando in pensione, mantiene l'88% del reddito da lavoro. Un gradino sotto di noi si trovano i pensionati francesi, col 68%, gli ungheresi col 67% e spagnoli e rumeni col 66%. Quindi, tornando alla domanda di prima, il nostro 69% non è affatto poco. Chi potrebbe lamentarsi, invece, è mister Sean, pensionato irlandese, che mantiene solo il 35% del suo vecchio reddito da lavoro.La generosità del nostro sistema è una delle spiegazioni della crisi del sistema pensionistico pubblico che è il vero pozzo senza fondo della spesa pubblica nazionale. Basti pensare che l'Inps prevede di perdere, nel 2018, 5,4 miliardi di euro nonostante 108,3 miliardi di contributi statali.Le cose cambieranno? La logica dice di si: il nostro 69% è frutto del fatto che i pensionati di oggi si sono ritirati dal lavoro quando in Italia, per calcolare l'assegno di quiescenza, si usava ancora il sistema retributivo mentre i prossimi pensionati dovrebbero avere un reddito inferiore, dato che il loro assegno sarà calcolato con il molto meno generoso metodo contributivo. E invece non è così. Le previsioni dell'Unione europea dicono che la differenza tra reddito da pensione e reddito da lavoro si ridurrà ancora, migliorando rispetto ad oggi di circa 2 punti percentuali nel 2053. Significa che in Italia il tasso di sostituzione che oggi, come abbiamo visto, è al 69%, si attesterà nel 2053 attorno al 71%. Meglio di noi faranno solo Bulgaria, Danimarca, Lituania, Germania, Cipro ed Estonia, Paesi in cui il tasso di sostituzione crescerà di più, partendo però da una percentuale molto più bassa. Siamo tra i pochi Paesi in cui il tasso di sostituzione non peggiorerà, nonostante sia già il secondo più alto. Guardiamo la Francia: parte da un tasso di un punto più basso del nostro, 68%, ma in previsione perderà quasi 15 punti percentuale, arrivando intorno al 53%, sotto l'attuale media europea.Attenzione, però: questo non vuol dire necessariamente che i pensionati di domani prenderanno di più di quelli di oggi, vuol dire che il rapporto con l'ultimo stipendio migliorerà, probabilmente perché la pensione calerà meno velocemente di quanto calerà lo stipendio. E non è una buona notizia.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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