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2021-11-29
Così Pechino si prende la nostra scuola
La cultura cinese sta invadendo la scuola italiana. Dal Veneto a Palermo. Gli istituti sembrano fare a gara per offrire, a volte con i progetti Pon (il Programma operativo nazionale del Miur), a volte con i Ptof (i progetti per ampliare l'offerta formativa), mandarino e cineserie culturali ai ragazzi, fin dalle primarie. Con tanto di giornalini e approfondimenti sulle tradizioni e sulla Via della seta. Sembrerebbe una normale attività scolastica, se non ci fossero campanelli d'allarme che da qualche tempo stanno mettendo in risalto alcune strategie del Partito comunista cinese per favorire la diffusione di una percezione positiva della Cina nel mondo, con tanto di media partner italiani, come ha svelato uno studio dello Iai, l'Istituto di affari internazionali: «Per rafforzare la propria presenza nell'ambiente mediatico italiano gli organi di informazione di Stato cinesi si sono affidati in larga misura ai Memorandum di intesa e agli accordi di condivisione dei contenuti».
Non solo. Un lavoro di analisi prodotto dal think tank ceco Sinopsis, in partnership con il Global commitee for the rule or law-Marco Pannella, ha messo in luce quali siano «le agenzie di influenza del Partito comunista cinese» e come avvengano «le loro operazioni nella politica parlamentare e locale italiana». Analizza, cioè, gli sforzi di Pechino per «cooptare parlamentari, partiti politici, amministratori locali e personalità influenti nei gruppi di opinione e nei media». Quanto di queste strategie sia entrato nella scuola per ora è difficile stabilirlo. Certo è che da un po' di tempo c'è uno strano fiorire di iniziative sulla cultura cinese.
Nella scuola di primo grado San Nicola a Bari vecchia, dove da metà ottobre gli alunni ogni venerdì studiano il mandarino, probabilmente si è un po' esagerato, tanto da attirare l'attenzione dell'emittente tv locale Telenorba, che ha documentato come in aula non c'era alcun docente selezionato con un concorso pubblico a insegnare ai ragazzi lingua e cultura cinese. E nel servizio televisivo si vede la professoressa Chen Qian mentre mostra una cartina Cina-centrica, con in bella vista i territori rivendicati dalla Repubblica popolare cinese: Taiwan, una fetta del Mar cinese meridionale e parte del Mar cinese orientale. Propaganda, insomma.
Agli istituti superiori Vespucci e al linguistico Enriques di Livorno, invece, è spuntato un progetto di lingua e cultura cinese rivolto alle classi terze, quarte e quinte, dove sembra essere molto in voga un giornalino già prodotto in tre uscite e ancora rintracciabile sul Web. La seconda uscita ha come titolo di apertura «Tradizioni, superstizioni e affascinanti leggende». All'interno, però, non c'è solo folklore. Gli articoli scritti dai ragazzi presentano il matrimonio tradizionale, l'abbigliamento tradizionale e le paladine d'oriente, tra le quali spicca la scrittrice femminista Leslie Chang. La pagina culturale, poi, è dedicata alle serie tv, presentate come strumento capace di «far conoscere meglio tutti gli aspetti di questo bellissimo Paese». Ma ci sono anche articoli critici nei confronti dell'Occidente che avrebbe «influenzato» la cultura cinese, arrivata a festeggiare per ben tre volte la festa di San Valentino.
Si arriva, infine, a magnificare le cinque invenzioni cinesi «che hanno cambiato il mondo». E se al Vespucci si sono concentrati su un percorso interattivo e multimediale su Marco Polo, per arrivare però alla «nuova Via della seta», alla rivista si sono dedicati gli studenti dell'Enriques, in collaborazione con l'Istituto Confucio, un'istituzione per la diffusione all'estero della lingua e cultura cinese creata dall'Ufficio Hanban, quartier generale del ministero dell'Istruzione della Repubblica popolare cinese. «Sostenuti in maniera attiva dal governo e dalle elite politiche comuniste», gli Istituti Confucio, stando a uno studio del China Brief tradotto da Asia news, «non propagano però soltanto la lingua e la cultura cinese, cercano di modificare l'immagine di Pechino agli occhi del mondo. L'operazione, per quanto imponente, non cambierà le critiche alle violazioni dei diritti umani e delle libertà religiose».
Nello stesso articolo, viene riportato il pensiero di Steven Mosher, presidente del Population research institute (Pri), che ritiene gli Istituti Confucio dei «cavalli di Troia che vogliono indottrinare i giovani e convincerli a credere che lo Stato e il Partito cinese non sono una minaccia per il proprio popolo e, in senso più ampio, per il mondo intero». La diffusione degli Istituti Confucio, infine, è spiegato ancora su China Brief, «è sostenuta all'interno del Paese dallo scopo di usarli come mezzi per la diplomazia soft. La rete di relazioni compresa all'interno dei Confucio corrisponde alla diplomazia di Pechino, e la strategia è di pubblicizzare la Cina e la sua immagine in crescita civilizzata, democratica, aperta e progressista in giro per il mondo».
Propaganda. Che sembra finire con una certa facilità anche nelle scuole italiane. Molto pubblicizzato è il corso di lingua e cultura cinese del De Amicis di Rovigo, organizzato, anche questa volta, in collaborazione con l'Istituto Confucio. I titoli rilasciati spesso vengono presentati come «riconosciuti anche in Cina». Lo fa ad esempio il liceo scientifico internazionale Maria Adelaide di Palermo. Mentre all'istituto comprensivo statale di Lendinara, in provincia di Rovigo, in occasione del capodanno cinese sono state organizzate attività via Zoom come la proiezione di un cartone animato per l'inizio dell'anno del Bufalo e la preparazione di un disegno augurale da colorare.
Il Veneto sembra essere particolarmente affascinato dalla Cina, tanto che l'ufficio scolastico regionale ha organizzato per la quarta volta consecutiva un concorso intitolato «Valorizziamo la cultura cinese». Il tema dell'ultimo anno scolastico era: «La Via della seta tra Oriente e Occidente». E la stampa locale va pazza per la gara di conoscenza culturale, dedicando non pochi servizi all'iniziativa e interviste, con tanto di foto, ai giovani vincitori.
Ma la Cina ha conquistato pure l'istituto scolastico della fondazione Cristo Re di Roma. Qui si comincia particolarmente presto. Nel presentare sul sito Web i corsi di cinese per i più piccoli, viene spiegato che «i nostri bambini sono destinati a essere i cittadini del mondo, ecco perché molti genitori scelgono di far intraprendere ai propri figli un percorso formativo multiculturale fin da piccoli. Tra i 3 e i 5 anni lo studio di una lingua avviene in modo intuitivo, mentre dopo i 7 anni questo diventa deduttivo, in quanto il bambino inizia a fare riflessioni sempre più coscienti».
A Taranto, invece, si sono superati. Al liceo Ferraris, in collaborazione con l'Istituto Confucio di Macerata, hanno organizzato un evento per promuovere il progetto «Classi di esperienza cinese». L'iniziativa è stata pubblicizzata annunciando che i ragazzi avrebbero preparato un video nel quale si sarebbero esibiti nella lettura in lingua di alcuni passi di Confucio e avrebbero cantato perfino l'inno della Repubblica popolare cinese. Ma c'è un luogo, a Padova, dove gli studenti alternano senza troppe difficoltà l'inno nazionale cinese e quello italiano: la Scuola internazionale italo-cinese, primo collegio europeo paritario bilingue con il cinese come seconda lingua. È l'unica scuola nel suo genere in Italia ad aver ottenuto l'approvazione dal Miur. Sul sito Internet dell'istituto è spiegato che «varcando i cancelli di questa scuola può capitare di vedere bambini cinesi che intonano l'inno nazionale italiano, o piccoli italiani che salutano con un cinese «Ni Hao».
Dalle elementari alle medie, i bambini possono alloggiare nell'istituto e, è spiegato ancora, «condividere le loro vite, tra studio, giochi e divertimento», tra gli insegnamenti di Confucio, le lanterne e i festeggiamenti per il capodanno. Rigorosamente secondo la tradizione di Pechino.
«In ballo molti soldi per costruirsi un’immagine nuova»

Giovanni Giacalone (centromachiavelli.com)
«Nel 2009 gli istituti italiani che insegnavano il cinese erano solo 17, poi, con i dati aggiornati al 2017, erano già diventati 279. Immagino che oggi si siano moltiplicati. Credo che oltre alla notevole richiesta da parte di un parterre sempre più attratto dalla Cina, ci siano anche tanti finanziamenti in ballo». Giovanni Giacalone, ricercatore del Centro studi Machiavelli e analista del team per la gestione delle emergenze dell'Università Cattolica di Milano, per la rivista The American conservative ha analizzato di recente proprio il «Manuale dell'infiltrazione» cinese in Occidente, sottolineando che agenti del Partito comunista cinese fanno proseliti tra i politici, nelle università e nelle principali agenzie di stampa americane ed europee.
Ora si scopre che la Cina ha trovato particolarmente interessanti le scuole italiane.
«Il governo di Pechino sta mettendo in atto una strategia su più livelli: culturale, sociale, economica e politica, con l'obiettivo di conquistare l'opinione pubblica e promuovere un'immagine nuova e pulita».
Qualche esempio di come funziona la macchina della propaganda?
«Il genocidio degli uiguri (un'etnia turcofona di religione islamica che vive nel Nordovest della Cina, ndr) anche in Italia non può essere definito tale. Il Partito comunista cinese promuove una versione che liquida la questione come un semplice screzio politico-religioso interno. Basta approfondire di poco la questione per scoprire che non è così. Ma questo è solo un esempio di una strategia ben più ampia. Un caso interessante, che ho citato su The American conservative, ha coinvolto la squadra Nba di pallacanestro di Houston, i Rockets, quando nel 2019 il general manager, Daryl Morey, ha twittato il suo sostegno ai manifestanti di Hong Kong. Pechino ha immediatamente reagito sospendendo la trasmissione dei giochi dei Rockets in Cina, dove la squadra ha un numero enorme di tifosi. La Chinese basketball association, il cui presidente è l'ex giocatore dei Rockets Yao Ming, ha interrotto la collaborazione con la squadra con sede a Houston e anche gli sponsor si sono affrettati a ritirarsi».
Anche nelle scuole italiane, quindi, non si può parlare male di Pechino?
«L'insegnamento della lingua cinese è un ottimo cavallo di troia per poi accedere al controllo della divulgazione culturale e, quindi, politica. Insegnando il cinese, come accaduto nella scuola media di Bari, diventa facile espandersi quasi in modo naturale nel campo della propaganda. I cinesi sanno che muoversi in Europa è difficile, e allora partono dalle menti dei più piccoli, che sono spugne. È su di loro che stanno lavorando. Bisogna tenere bene in mente che i cinesi sono in Italia non da ieri e hanno avuto quindi modo di studiare a fondo il nostro sistema educativo, dalle scuole dell'infanzia, alle elementari, alle medie inferiori e superiori e soprattutto all'università. Poi, grazie all'Istituto Confucio, è più facile trovare un varco nel target individuato».
Ma a livello operativo come si muovono?
«È risaputo che il regime cinese si avvale di varie associazioni e organizzazioni che si presentano come promotrici di amicizia e cooperazione tra i popoli, ma che sono legate al Pcc, come l'Associazione del popolo cinese per l'amicizia con l'estero o la China association for international friendly contatto».
È un fenomeno tutto italiano? O è qualcosa di cui ci stiamo accorgendo soltanto adesso?
«In altri Paesi, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, è una strategia consolidata. I cinesi non sono una sorpresa per molti osservatori, insomma. Che le autorità statunitensi fossero già ben consapevoli dell'infiltrazione del Partito comunista cinese nel Paese lo ha rivelato nel luglio 2020 l'Fbi. I cinesi operano lì in questo modo da molti anni. Come ho avuto modo di spiegare sul The American conservative, gli attori potenzialmente più ricettivi alla propaganda del regime cinese vengono identificati e il sistema viene infiltrato e lavorato dall'interno per trascinarlo dalla parte della Cina. Gli Stati Uniti, il Canada, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania e l'Italia sono il terreno privilegiato dell'Istituto Confucio. Sono considerati i principali “campi di battaglia" per l'offensiva ideologica del Partito comunista cinese. Ma il tema vero è se ci sia o no consapevolezza e se si voglia arginare questo meccanismo di infiltrazione e di propaganda».
Parte tutto dal governo di Pechino?
«Il motore principale di questo processo è il Fronte unito, una strategia politica che il Pcc ha utilizzato per implementare la sua influenza e interferenza in tutto il mondo. Descritto dal presidente cinese Xi Jinping come la sua “arma magica", il Fronte unito si impegna in varie forme di guerra politica che vanno dal lobbismo alla pressione, con l'obiettivo di promuovere la narrativa del regime, censurando e indebolendo coloro che lo criticano. I leader del Fronte sono selezionati dal Partito comunista cinese e sono, nella maggior parte dei casi, membri del partito stesso. Attualmente è gestito da Wang Yang, il quarto membro del Politburo del Pcc».
Usano un metodo o mezzi particolari per individuare dove sia più opportuno intervenire?
«Il Partito comunista cinese ha un accurato meccanismo per identificare potenziali obiettivi di influenza dell'establishment politico e culturale. Come spiegato dal direttore dell'Ucla, il Center for China studies, Richard Baum (noto nel mondo per i suoi numerosi lavori accademici sulla politica cinese), il Pcc divide gli obiettivi di infiltrazione in categorie».
Per esempio?
«“Amico" è qualcuno pienamente in linea con ciò che dice la parte comunista; “amichevole" qualcuno di cui ci si può fidare ma non completamente, come gli uomini d'affari, a causa del loro interesse ad apparire amichevoli per raggiungere i loro obiettivi; poi vengono coloro che amano la Cina ma conoscono molto bene i vizi del Pcc; e quelli che difficilmente sono influenzabili. La penultima categoria identifica coloro a cui piace la Cina ma odiano il Pcc e gli ultimi sono coloro che semplicemente non sanno o non se ne curano».
A scuola, soprattutto nelle classi elementari, diventa quindi più semplice creare quelli che un giorno verranno definiti «amici».
«Il discorso scolastico ovviamente è molto sensibile e interessante. Far passare nelle aule la Cina come un Paese tra i più democratici non è difficile. Una volta che si è stratificata tra i più piccoli questa opinione il gioco è fatto».
Continua a leggereRiduci
A Padova il primo collegio europeo paritario bilingue approvato dal ministero, a Taranto in aula si canta l'inno nazionale, a Bari fanno lezione maestri non autorizzati. Si moltiplicano corsi di mandarino, giornalini, addirittura un concorso intitolato «Valorizziamo la cultura cinese». Viaggio nella campagna di indottrinamento ideologico voluta dal regime. Con tanto di media partner nostrani.Giovanni Giacalone, ricercatore del centro studi Machiavelli: «Conquistati i giovani il gioco è fatto. E i centri di insegnamento continuano a crescere».Lo speciale contiene due articoli.La cultura cinese sta invadendo la scuola italiana. Dal Veneto a Palermo. Gli istituti sembrano fare a gara per offrire, a volte con i progetti Pon (il Programma operativo nazionale del Miur), a volte con i Ptof (i progetti per ampliare l'offerta formativa), mandarino e cineserie culturali ai ragazzi, fin dalle primarie. Con tanto di giornalini e approfondimenti sulle tradizioni e sulla Via della seta. Sembrerebbe una normale attività scolastica, se non ci fossero campanelli d'allarme che da qualche tempo stanno mettendo in risalto alcune strategie del Partito comunista cinese per favorire la diffusione di una percezione positiva della Cina nel mondo, con tanto di media partner italiani, come ha svelato uno studio dello Iai, l'Istituto di affari internazionali: «Per rafforzare la propria presenza nell'ambiente mediatico italiano gli organi di informazione di Stato cinesi si sono affidati in larga misura ai Memorandum di intesa e agli accordi di condivisione dei contenuti». Non solo. Un lavoro di analisi prodotto dal think tank ceco Sinopsis, in partnership con il Global commitee for the rule or law-Marco Pannella, ha messo in luce quali siano «le agenzie di influenza del Partito comunista cinese» e come avvengano «le loro operazioni nella politica parlamentare e locale italiana». Analizza, cioè, gli sforzi di Pechino per «cooptare parlamentari, partiti politici, amministratori locali e personalità influenti nei gruppi di opinione e nei media». Quanto di queste strategie sia entrato nella scuola per ora è difficile stabilirlo. Certo è che da un po' di tempo c'è uno strano fiorire di iniziative sulla cultura cinese.Nella scuola di primo grado San Nicola a Bari vecchia, dove da metà ottobre gli alunni ogni venerdì studiano il mandarino, probabilmente si è un po' esagerato, tanto da attirare l'attenzione dell'emittente tv locale Telenorba, che ha documentato come in aula non c'era alcun docente selezionato con un concorso pubblico a insegnare ai ragazzi lingua e cultura cinese. E nel servizio televisivo si vede la professoressa Chen Qian mentre mostra una cartina Cina-centrica, con in bella vista i territori rivendicati dalla Repubblica popolare cinese: Taiwan, una fetta del Mar cinese meridionale e parte del Mar cinese orientale. Propaganda, insomma. Agli istituti superiori Vespucci e al linguistico Enriques di Livorno, invece, è spuntato un progetto di lingua e cultura cinese rivolto alle classi terze, quarte e quinte, dove sembra essere molto in voga un giornalino già prodotto in tre uscite e ancora rintracciabile sul Web. La seconda uscita ha come titolo di apertura «Tradizioni, superstizioni e affascinanti leggende». All'interno, però, non c'è solo folklore. Gli articoli scritti dai ragazzi presentano il matrimonio tradizionale, l'abbigliamento tradizionale e le paladine d'oriente, tra le quali spicca la scrittrice femminista Leslie Chang. La pagina culturale, poi, è dedicata alle serie tv, presentate come strumento capace di «far conoscere meglio tutti gli aspetti di questo bellissimo Paese». Ma ci sono anche articoli critici nei confronti dell'Occidente che avrebbe «influenzato» la cultura cinese, arrivata a festeggiare per ben tre volte la festa di San Valentino.Si arriva, infine, a magnificare le cinque invenzioni cinesi «che hanno cambiato il mondo». E se al Vespucci si sono concentrati su un percorso interattivo e multimediale su Marco Polo, per arrivare però alla «nuova Via della seta», alla rivista si sono dedicati gli studenti dell'Enriques, in collaborazione con l'Istituto Confucio, un'istituzione per la diffusione all'estero della lingua e cultura cinese creata dall'Ufficio Hanban, quartier generale del ministero dell'Istruzione della Repubblica popolare cinese. «Sostenuti in maniera attiva dal governo e dalle elite politiche comuniste», gli Istituti Confucio, stando a uno studio del China Brief tradotto da Asia news, «non propagano però soltanto la lingua e la cultura cinese, cercano di modificare l'immagine di Pechino agli occhi del mondo. L'operazione, per quanto imponente, non cambierà le critiche alle violazioni dei diritti umani e delle libertà religiose».Nello stesso articolo, viene riportato il pensiero di Steven Mosher, presidente del Population research institute (Pri), che ritiene gli Istituti Confucio dei «cavalli di Troia che vogliono indottrinare i giovani e convincerli a credere che lo Stato e il Partito cinese non sono una minaccia per il proprio popolo e, in senso più ampio, per il mondo intero». La diffusione degli Istituti Confucio, infine, è spiegato ancora su China Brief, «è sostenuta all'interno del Paese dallo scopo di usarli come mezzi per la diplomazia soft. La rete di relazioni compresa all'interno dei Confucio corrisponde alla diplomazia di Pechino, e la strategia è di pubblicizzare la Cina e la sua immagine in crescita civilizzata, democratica, aperta e progressista in giro per il mondo». Propaganda. Che sembra finire con una certa facilità anche nelle scuole italiane. Molto pubblicizzato è il corso di lingua e cultura cinese del De Amicis di Rovigo, organizzato, anche questa volta, in collaborazione con l'Istituto Confucio. I titoli rilasciati spesso vengono presentati come «riconosciuti anche in Cina». Lo fa ad esempio il liceo scientifico internazionale Maria Adelaide di Palermo. Mentre all'istituto comprensivo statale di Lendinara, in provincia di Rovigo, in occasione del capodanno cinese sono state organizzate attività via Zoom come la proiezione di un cartone animato per l'inizio dell'anno del Bufalo e la preparazione di un disegno augurale da colorare. Il Veneto sembra essere particolarmente affascinato dalla Cina, tanto che l'ufficio scolastico regionale ha organizzato per la quarta volta consecutiva un concorso intitolato «Valorizziamo la cultura cinese». Il tema dell'ultimo anno scolastico era: «La Via della seta tra Oriente e Occidente». E la stampa locale va pazza per la gara di conoscenza culturale, dedicando non pochi servizi all'iniziativa e interviste, con tanto di foto, ai giovani vincitori.Ma la Cina ha conquistato pure l'istituto scolastico della fondazione Cristo Re di Roma. Qui si comincia particolarmente presto. Nel presentare sul sito Web i corsi di cinese per i più piccoli, viene spiegato che «i nostri bambini sono destinati a essere i cittadini del mondo, ecco perché molti genitori scelgono di far intraprendere ai propri figli un percorso formativo multiculturale fin da piccoli. Tra i 3 e i 5 anni lo studio di una lingua avviene in modo intuitivo, mentre dopo i 7 anni questo diventa deduttivo, in quanto il bambino inizia a fare riflessioni sempre più coscienti».A Taranto, invece, si sono superati. Al liceo Ferraris, in collaborazione con l'Istituto Confucio di Macerata, hanno organizzato un evento per promuovere il progetto «Classi di esperienza cinese». L'iniziativa è stata pubblicizzata annunciando che i ragazzi avrebbero preparato un video nel quale si sarebbero esibiti nella lettura in lingua di alcuni passi di Confucio e avrebbero cantato perfino l'inno della Repubblica popolare cinese. Ma c'è un luogo, a Padova, dove gli studenti alternano senza troppe difficoltà l'inno nazionale cinese e quello italiano: la Scuola internazionale italo-cinese, primo collegio europeo paritario bilingue con il cinese come seconda lingua. È l'unica scuola nel suo genere in Italia ad aver ottenuto l'approvazione dal Miur. Sul sito Internet dell'istituto è spiegato che «varcando i cancelli di questa scuola può capitare di vedere bambini cinesi che intonano l'inno nazionale italiano, o piccoli italiani che salutano con un cinese «Ni Hao». Dalle elementari alle medie, i bambini possono alloggiare nell'istituto e, è spiegato ancora, «condividere le loro vite, tra studio, giochi e divertimento», tra gli insegnamenti di Confucio, le lanterne e i festeggiamenti per il capodanno. Rigorosamente secondo la tradizione di Pechino.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/pechino-prende-nostra-scuola-2655870389.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-ballo-molti-soldi-per-costruirsi-unimmagine-nuova" data-post-id="2655870389" data-published-at="1638119945" data-use-pagination="False"> «In ballo molti soldi per costruirsi un’immagine nuova» Giovanni Giacalone (centromachiavelli.com) «Nel 2009 gli istituti italiani che insegnavano il cinese erano solo 17, poi, con i dati aggiornati al 2017, erano già diventati 279. Immagino che oggi si siano moltiplicati. Credo che oltre alla notevole richiesta da parte di un parterre sempre più attratto dalla Cina, ci siano anche tanti finanziamenti in ballo». Giovanni Giacalone, ricercatore del Centro studi Machiavelli e analista del team per la gestione delle emergenze dell'Università Cattolica di Milano, per la rivista The American conservative ha analizzato di recente proprio il «Manuale dell'infiltrazione» cinese in Occidente, sottolineando che agenti del Partito comunista cinese fanno proseliti tra i politici, nelle università e nelle principali agenzie di stampa americane ed europee. Ora si scopre che la Cina ha trovato particolarmente interessanti le scuole italiane. «Il governo di Pechino sta mettendo in atto una strategia su più livelli: culturale, sociale, economica e politica, con l'obiettivo di conquistare l'opinione pubblica e promuovere un'immagine nuova e pulita». Qualche esempio di come funziona la macchina della propaganda? «Il genocidio degli uiguri (un'etnia turcofona di religione islamica che vive nel Nordovest della Cina, ndr) anche in Italia non può essere definito tale. Il Partito comunista cinese promuove una versione che liquida la questione come un semplice screzio politico-religioso interno. Basta approfondire di poco la questione per scoprire che non è così. Ma questo è solo un esempio di una strategia ben più ampia. Un caso interessante, che ho citato su The American conservative, ha coinvolto la squadra Nba di pallacanestro di Houston, i Rockets, quando nel 2019 il general manager, Daryl Morey, ha twittato il suo sostegno ai manifestanti di Hong Kong. Pechino ha immediatamente reagito sospendendo la trasmissione dei giochi dei Rockets in Cina, dove la squadra ha un numero enorme di tifosi. La Chinese basketball association, il cui presidente è l'ex giocatore dei Rockets Yao Ming, ha interrotto la collaborazione con la squadra con sede a Houston e anche gli sponsor si sono affrettati a ritirarsi». Anche nelle scuole italiane, quindi, non si può parlare male di Pechino? «L'insegnamento della lingua cinese è un ottimo cavallo di troia per poi accedere al controllo della divulgazione culturale e, quindi, politica. Insegnando il cinese, come accaduto nella scuola media di Bari, diventa facile espandersi quasi in modo naturale nel campo della propaganda. I cinesi sanno che muoversi in Europa è difficile, e allora partono dalle menti dei più piccoli, che sono spugne. È su di loro che stanno lavorando. Bisogna tenere bene in mente che i cinesi sono in Italia non da ieri e hanno avuto quindi modo di studiare a fondo il nostro sistema educativo, dalle scuole dell'infanzia, alle elementari, alle medie inferiori e superiori e soprattutto all'università. Poi, grazie all'Istituto Confucio, è più facile trovare un varco nel target individuato». Ma a livello operativo come si muovono? «È risaputo che il regime cinese si avvale di varie associazioni e organizzazioni che si presentano come promotrici di amicizia e cooperazione tra i popoli, ma che sono legate al Pcc, come l'Associazione del popolo cinese per l'amicizia con l'estero o la China association for international friendly contatto». È un fenomeno tutto italiano? O è qualcosa di cui ci stiamo accorgendo soltanto adesso? «In altri Paesi, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, è una strategia consolidata. I cinesi non sono una sorpresa per molti osservatori, insomma. Che le autorità statunitensi fossero già ben consapevoli dell'infiltrazione del Partito comunista cinese nel Paese lo ha rivelato nel luglio 2020 l'Fbi. I cinesi operano lì in questo modo da molti anni. Come ho avuto modo di spiegare sul The American conservative, gli attori potenzialmente più ricettivi alla propaganda del regime cinese vengono identificati e il sistema viene infiltrato e lavorato dall'interno per trascinarlo dalla parte della Cina. Gli Stati Uniti, il Canada, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania e l'Italia sono il terreno privilegiato dell'Istituto Confucio. Sono considerati i principali “campi di battaglia" per l'offensiva ideologica del Partito comunista cinese. Ma il tema vero è se ci sia o no consapevolezza e se si voglia arginare questo meccanismo di infiltrazione e di propaganda». Parte tutto dal governo di Pechino? «Il motore principale di questo processo è il Fronte unito, una strategia politica che il Pcc ha utilizzato per implementare la sua influenza e interferenza in tutto il mondo. Descritto dal presidente cinese Xi Jinping come la sua “arma magica", il Fronte unito si impegna in varie forme di guerra politica che vanno dal lobbismo alla pressione, con l'obiettivo di promuovere la narrativa del regime, censurando e indebolendo coloro che lo criticano. I leader del Fronte sono selezionati dal Partito comunista cinese e sono, nella maggior parte dei casi, membri del partito stesso. Attualmente è gestito da Wang Yang, il quarto membro del Politburo del Pcc». Usano un metodo o mezzi particolari per individuare dove sia più opportuno intervenire? «Il Partito comunista cinese ha un accurato meccanismo per identificare potenziali obiettivi di influenza dell'establishment politico e culturale. Come spiegato dal direttore dell'Ucla, il Center for China studies, Richard Baum (noto nel mondo per i suoi numerosi lavori accademici sulla politica cinese), il Pcc divide gli obiettivi di infiltrazione in categorie». Per esempio? «“Amico" è qualcuno pienamente in linea con ciò che dice la parte comunista; “amichevole" qualcuno di cui ci si può fidare ma non completamente, come gli uomini d'affari, a causa del loro interesse ad apparire amichevoli per raggiungere i loro obiettivi; poi vengono coloro che amano la Cina ma conoscono molto bene i vizi del Pcc; e quelli che difficilmente sono influenzabili. La penultima categoria identifica coloro a cui piace la Cina ma odiano il Pcc e gli ultimi sono coloro che semplicemente non sanno o non se ne curano». A scuola, soprattutto nelle classi elementari, diventa quindi più semplice creare quelli che un giorno verranno definiti «amici». «Il discorso scolastico ovviamente è molto sensibile e interessante. Far passare nelle aule la Cina come un Paese tra i più democratici non è difficile. Una volta che si è stratificata tra i più piccoli questa opinione il gioco è fatto».
Il ministro Giuli al III Forum Machiavelli Cultura
Un incontro al quale hanno partecipato relatori di altissimo profilo, a partire dal «padrone di casa», l’onorevole Alessandro Amorese, capogruppo Fdi n commissione Cultura e dall’ospite d’onore, il ministro della Cultura Alessandro Giuli, che non si è limitato a sostenere l’evento con il patrocinio del Ministero, ma ha deciso di presenziare con un lungo e approfondito intervento. Non un semplice saluto istituzionale, ma una relazione in cui sono stati evidenziati i punti salienti del rapporto fra bellezza e civiltà, enucleando l’urgenza del tema della bellezza in un mondo in cui il wokismo ha letteralmente dichiarato guerra a ciò che è bello e trascendente. «È la vittoria della Quarta Internazionale quella di Trotskii», da cui discende l’idra a più teste del woke: dalla Scuola di Francoforte a quella di Parigi, fino alle teorie critiche e all’intersezionalismo. L’arte concettuale rappresenta dunque l’arte di regime per questa ideologia: una non-arte, come l’architettura decostruzionista progetta non-luoghi. Livellamento e cancel culture. «Quando il tuo credo è fondamentalmente nichilista, incentrato sul fare tabula rasa della tua civiltà, sulla negazione della natura, il bello va combattuto, screditato, negato. Se la bellezza è il nemico per i nemici della nostra civiltà, va da sé che per noi debba diventare una bandiera» ha detto Daniele Scalea, presidente della Fondazione Machiavelli che dal 2017 è il think tank di riferimento del mondo conservatore in Italia.
Il cuore delle teorie decostruzioniste è che, attraverso la ridefinizione dei concetti e l’uso letteralmente magico delle parole, sia possibile ricostruire completamente la realtà. Ecco dunque che grazie alla «body positivity» una condizione patologica come l’obesità viene rovesciata. Come spiega Matt Carus, influencer e content creator, quella che è una vera e propria epidemia viene negata e chi punta il dito su stili di vita scorretti è perseguitato. Se è oggettivo che un corpo sano è anche un corpo bello – e le due cose sono in relazione biunivoca fra loro – questa oggettività va vietata: deve essere vietato non solo affermarlo, ma perfino pensarlo. Il medico che consigli al paziente obeso di dimagrire va perseguito.
Questo esempio è lampante della guerra culturale condotta dagli accoliti della «Quarta Internazionale» identificata da Giuli e che come un mostro tentacolare aggredisce ogni aspetto dell’esistenza umana. La cancellazione della maestria, stigmatizzata dal pittore Nicola Verlato e dallo scultore Emanuele Stifani, spalanca l’abisso dell’uomo sostituito dall’IA. Se saper tenere in mano un pennello o una matita non è più condizione necessaria ad avere l’arte, allora basta dare un prompt a una IA per produrre un succedaneo.
Che – per l’appunto – è un surrogato. È la carne sintetica della brodaglia servita alla mensa del Ministero della Verità in «1984» di Orwell: bisogna aver messo il cervello all’ammasso per trovarla appetitosa.
La risposta a questa stregoneria dialettica è nella rivendicazione dell’identità. Mentre il wokismo basa se stesso sull’uso magico della parola, l’identità fa discendere dalle basi empiriche e con rigorosi ragionamenti logici i propri postulati. Che la «res publica» debba tornare a essere «res populi» non è uno slogan, tuonato dal presidente dell’accademia Vivarium Novum (dove ragazzi da tutto il mondo parlano fra loro in latino, studiano i classici e producono arte secondo i canoni della tradizione più pura), ma una conseguenza di un pensiero rigoroso e razionale. L’identità – nella fattispecie la nostra di italiani – si esprime per esempio nella bellezza dei nostri borghi: un tema introdotto da Alessandro Amorese e poi sviscerato da Gabriele Tagliaferri, docente, architetto e urbanista: se le città italiane (ed europee in generale) sono per loro natura tradizionalmente «borghi dei 15 minuti» perché aderiscono razionalmente a una realtà viva e pulsante; l’incubo orwelliano della «città dei 15 minuti» che i regimi woke vogliono imporre a suon di telecamere e credito sociale ne è l’esatto rovesciamento: la prima è la razionale realizzazione della libertà, la seconda è il pervicace perseguimento di ingegneria sociale antiumana.
Ne usciremo? I relatori sembrano ottimisti: i giovani si riaffacciano alla maestria nell’arte, il popolo chiede quartieri tradizionali e non ecomostri lecorbusiani. Le radici cattoliche vengono rivendicate e sempre più persone gridano che il re del wokismo è nudo. I «khmer rossi» della cultura possono essere sconfitti.
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«Sono contenta che abbia prevalso il buon senso, che si sia riusciti a garantire le risorse che sono necessarie, ma a farlo con una soluzione che ha una base solida sul piano giuridico e finanziario». Lo ha detto il premier ai cronisti in merito all’intesa in Ue sul prestito da 90 miliardi all’Ucraina.
Giorgia Meloni si è anche espressa sul rinvio dell’intesa Ue-Mercosur: «Si sta lavorando per posticipare il summit, il che ci offre altre settimane per cercare di dare le risposte richieste dai nostri agricoltori, le salvaguardie che sono necessarie per i nostri prodotti e consentirci così di poter approvare l’accordo quando, come abbiamo detto, avremo tutte le garanzie».