2020-05-31
Pechino fa sponda sulla Germania e l’America accelera nei Balcani
La questione kosovara svela il ruolo di Ue e Berlino: si allontanano dalla Casa Bianca.Intervenendo questa settimana all'annuale conferenza degli ambasciatori tedeschi a Berlino, l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, il socialista Josep Borrell, ha dichiarato che potremmo trovarci alla fine di un mondo a guida Usa ed essere testimoni dell'arrivo del secolo asiatico, ovvero cinese. Secondo l'ex ministro per gli Affari esteri spagnolo l'acuirsi della nuova guerra fredda tra Washington e Pechino accrescerà le pressioni affinché i Paesi del Vecchio continente decidano da che parte stare. Mentre la maggior parte del mondo nordatlantico sta fattivamente rivedendo l'eccessiva esposizione nei confronti della Cina comunista, ritenuta soprattutto dopo la crisi del Covid-19 un partner sempre meno affidabile, e sta riscoprendo il senso del legame storico creatosi in direzione di Washington con la seconda guerra mondiale, Borrell propone una visione opposta delle priorità geopolitiche europee. Non a caso tali idee vengono esplicitate in una sede altamente ricettiva quale quella del ministero degli Affari esteri tedesco. La Germania è il primo partner commerciale di Pechino in Europa, ma soprattutto in Cina vi sono oltre 5.000 aziende tedesche. Un interesse economico talmente rilevante da riuscire ad ottenere la riapertura dei voli della compagnia di bandiera verso il paese asiatico. Ieri, infatti, sono tornati in Cina i primi lavoratori europei dopo il lockdown da coronavirus. Un aereo della Lufthansa partito da Francoforte con 200 persone a bordo, in maggioranza tedeschi, è atterrato all'aeroporto di Tianjin, a sud-est di Pechino, e il prossimo volo - riservato a persone che hanno necessità di recarsi in Cina per questioni lavorative, scientifiche o umanitarie - è programmato già per il 3 giugno. L'eccessiva vicinanza della Germania alla Cina, la sostanziale acquiescenza di Berlino negli anni passati alla strategia di penetrazione cinese nella sua area di influenza dell'Europa centrale e balcanica unite all'assoluta mancanza di empatia da parte di Josep Borrell e del suo inviato speciale per i Balcani, lo slovacco Miroslav Lajcak, per la questione kosovara sono alcune delle ragioni fondamentali che stanno spingendo la Casa Bianca a reingaggiarsi in maniera assai diretta nella regione del nostro vicinato orientale. Da una parte Washington desidera attutire l'egemonia geoeconomica della Germania nell'Europa orientale e contrastare l'espansionismo sinico basato sulla piattaforma di collaborazione interregionale 17+1 con cui Pechino vorrebbe destabilizzare, a proprio favore, il ventre molle del nostro continente, da sempre diviso in troppe entità statali, e fare di Berlino la stazione d'arrivo del progetto della Nuova via della seta. Dall'altra parte l'amministrazione di Donald Trump ha urgente bisogno di riprendere il controllo dei Balcani. Tanto Borrell, quanto Lajcak sono rappresentanti di due Paesi indefessamente contrari all'indipendenza del Kosovo e conseguentemente ritenuti da Washington d'ostacolo per la soluzione dell'annosa questione del reciproco riconoscimento tra Belgrado e Pristina. Per poter allargare al più presto la Nato a tutta la regione gli Usa hanno urgenza di chiudere ogni possibile contenzioso. Dimostrandosi in questo l'Unione europea, attraverso i suoi rappresentanti, incapace, l'amministrazione americana ha deciso di prendere direttamente in mano molte questioni sospese. Il governo kosovaro guidato dall'anarchico anti serbo Albin Kurti è stato fatto cadere e verrà sostituito la prossima settimana da uno pro-americano guidato da Avdullah Hoti, l'iniziativa anti tedesca e anti cinese dei Tre Mari verrà rilanciata quest'anno con ancora maggior vigore anche grazie al ritrovato filo atlantismo della Slovenia e numerosi investimenti, che prima guardavano con favore ai capitali di Pechino, verranno ora implementati grazie al sostegno statunitense. Che il rappresentante della politica estera europea parli del declino americano in uno scenario nel quale Washington delinea chiaramente le proprie priorità e rimane saldamente il primo partner commerciale dell'Ue dimostra la presenza o di un colpevole disorientamento o di un dolosa volontà di destabilizzazione geopolitica.
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