Ubs declassa i titoli di Volkswagen e Renault mentre il numero uno di Bmw lancia l’allarme: «La produzione di veicoli base nel Vecchio continente scomparirà per la concorrenza orientale sui prezzi». Le manie verdi di Bruxelles sono un regalo alla Cina.
Ubs declassa i titoli di Volkswagen e Renault mentre il numero uno di Bmw lancia l’allarme: «La produzione di veicoli base nel Vecchio continente scomparirà per la concorrenza orientale sui prezzi». Le manie verdi di Bruxelles sono un regalo alla Cina.Il boom dell’elettrico ha aperto le porte del mercato europeo dell’auto ai produttori cinesi. Una pessima notizia che giorno dopo giorno sta colpendo soprattutto i prodotti più economici del mondo delle quattro ruote. Quelli dove la qualità e lo stile europei non riescono a fare la differenza a scapito di prezzi da scaffale del discount. Come se non bastasse, il divieto voluto dall’Ue di vendere auto a motore termico a partire dal 2035 appare come un vero e proprio regalo alle industrie della Repubblica popolare, molto esperta nel settore delle auto a batteria (al contrario del Vecchio continente). A lanciare l’allarme di recente è stato l’amministratore delegato della Bmw, Oliver Zipse, secondo il quale i piani dell’Ue per vietare i veicoli con motore a combustione stanno spingendo i produttori europei di auto più economiche verso una guerra dei prezzi con i rivali cinesi che difficilmente si potrà vincere.Il numero uno della casa dell’elica non lascia dubbi: «Il segmento di mercato delle auto di base scomparirà o non sarà realizzato dai produttori europei», ha detto durante la conferenza annuale Iaa mobility a Monaco di Baviera sottolineando le crescenti ambizioni di marchi automobilistici cinesi come Byd, specializzati in veicoli elettrici.Come spiega il manager di Bmw, il problema non riguarda i produttori premium, come appunto è il gruppo che amministra Zipse insieme con altri colossi tedeschi come Audi e Mercedes. «C’è una concorrenza super agguerrita al di sotto dei 300.000 renminbi (41.310 dollari) e la maggior parte dei nuovi concorrenti entra in quel segmento di mercato», ha ricordato sottolineando che la maggior parte dei prodotti Bmw ha un prezzo superiore. Il vero problema ce l’hanno però gruppi come ad esempio Volkswagen, il cui marchio di punta Vw è stato detronizzato da Byd quest’anno nella classifica delle auto più vendute.Di recente un report firmato dalla sigla di analisti indipendenti Profundo spiega che per le principali case automobilistiche il passaggio alle emissioni zero nel 2035 dovrebbe consentire una crescita del fatturato del 316%, che corrisponde alla cifra monstre di 1.727 miliardi aggiuntivi in un lasso di tempo di cinque anni. Il problema è che, molto probabilmente, l’impennata di fatturato riguarderà i produttori cinesi, mentre quelli nostrani potrebbero soffrire. I più preoccupati sono gli analisti del settore, che già stanno vedendo la quiete prima della tempesta. «Grazie alla loro superiore accessibilità e varietà, i veicoli elettrici di produzione cinese si sono rivelati perfetti per l’adozione da parte di un mercato di massa nei mercati emergenti», spiega alla Verità Wendy Chen, gestore azionario di Gam. «Con l’aumento dei volumi di vendita, i vantaggi di scala probabilmente amplieranno ulteriormente il vantaggio in termini di costi. Nel frattempo, grazie alla maturità della catena di fornitura dei veicoli elettrici e agli sforzi di “premiumisation” nel mercato interno (il tentativo di alzare la qualità della produzione, ndr), anche il design degli interni e l’affidabilità dei veicoli elettrici made in China sono saliti ai vertici, rendendo i mercati sviluppati la prossima frontiera per l’esportazione dei veicoli elettrici cinesi». Secondo l’esperta, «la Cina è emersa come leader globale sia nella produzione che nel consumo di veicoli elettrici. Non solo la Cina ha prodotto il 35% delle auto elettriche esportate a livello globale nel 2022, ma il mercato interno cinese ha anche rappresentato il 62% delle vendite globali di veicoli elettrici nel 2022. Con i veicoli elettrici che rappresenteranno circa il 30% di tutte le vendite di auto nuove nel primo semestre del 2023, la Cina ha raggiunto in anticipo il suo obiettivo dei veicoli elettrici per il 2025 e sta guidando il mondo in termini di penetrazione dei veicoli elettrici». Per questo motivo il divieto di veicoli termici a partire dal 2035 sarà un grande regalo all’economia cinese che può fare affidamento su anni di expertise nell’elettrico che mancano agli europei. Il fenomeno, come era lecito attendersi, è già visibile anche in Borsa. Ubs, ad esempio ha declassato il titolo Renault a «sell» (vendere) da «neutral» (neutro) e ha tagliato il prezzo obiettivo del 25%, citando l’elevata concorrenza della Cina e di Tesla, la mancanza di miglioramenti nella maggior parte degli indicatori e la scarsa performance di Ampere. Come spiegano gli analisti della banca svizzera, Renault è uno dei produttori europei di auto di massa più esposti al rischio di perdite strutturali di quote di mercato a causa dell’intensificarsi della concorrenza dei produttori cinesi di autoveicoli e di Tesla. Il broker sostiene che la prevista quotazione di Ampere, l’unità Ev e software di Renault, nel primo semestre del 2024, difficilmente sbloccherà un valore significativo per gli azionisti del gruppo Renault. Stessa sentenza anche per il titolo Volkswagen. con gli esperti di Ubs che lo hanno declassato a «sell» tagliando il prezzo obiettivo da 135 a 100 euro per azione. «Riteniamo che metà degli utili siano a rischio entro il 2025 poiché cresce l’impatto della concorrenza cinese e dei fattori ciclici contrari», dicono da Ubs.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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