2021-05-23
Dagli ex renziani a De Luca. Mezzo partito e la Cgil scaricano Mr Patrimoniale
La tassa di successione esalta alcuni dem (Roberto Gualtieri e Giuseppe Provenzano), ma nel Pd cresce il malumore. Scettico anche Maurizio Landini. Vincenzo Visco frena: «Proposta modesta».Sbagliare è umano, perseverare è lettiano. E così, il segretario del Pd, nonostante il metaforico manrovescio rimediato da Mario Draghi dopo la proposta di far schizzare in alto la tassa di successione, anziché battere in ritirata, insiste. Lo fa in prima persona con un tweet che vorrebbe essere sarcastico («Il nostro è un Paese dal cuore d'oro. Vedo solidarietà diffuse a quell'1% più ricco del nostro Paese per evitare che si trovi a pagare la tassa di successione»), lo farà stasera ospite di Fabio Fazio, e lo fa soprattutto nel suo libro in uscita, che rischia di diventare un'ulteriore fonte di imbarazzo a sinistra, un po' come a suo tempo il libro (poi ritirato) di Roberto Speranza. Lì si celebrava la (allora inesistente) vittoria sul virus, qui il Pd si autocertifica come partito delle tasse, tatuandosi addosso un marchio radioattivo. Sta di fatto che Letta deve aver chiesto ai suoi di stringersi a coorte. Ecco il solito Roberto Gualtieri, dopo i disastri combinati al Mef: «L'Italia è il fanalino di coda nella tassazione su eredità e successioni». Come se non ci fosse tutto il resto del nostro sistema fiscale: dettaglio - si fa per dire - su cui Gualtieri glissa. E anzi rilancia: «La proposta di Letta è sacrosanta». C'è addirittura chi va in corsia di sorpasso, come il vice di Letta Peppe Provenzano, intervistato da Repubblica: «Dopo Berlusconi e la timidezza del centrosinistra del passato, l'Italia sulla successione è diventata una sorta di paradiso fiscale». Avete letto bene: «paradiso fiscale». Non scherza neppure il capodelegazione pd all'Europarlamento, Brando Benifei, che sui suoi canali social, a commento di una sua uscita tv, pubblica lo slogan: «L'1% più ricco restituisca al 99% dei giovani». Proprio così: «restituisca», come se la proprietà, a sinistra, fosse ancora considerata alla stregua di un furto. Toni degni della Rifondazione di un tempo, quella di «anche i ricchi piangano». È come se il Pd, anziché incarnare una sinistra moderna e riformista, fosse risucchiato da antichi estremismi, e perfino da tentazioni (fuori stagione) di lotta di classe, andando all'assalto di un ceto medio che è già ipertassato, impaurito e impoverito. Anche l'argomento contro i «ricchi» è senza senso: non solo per la soglia (1 milione) che può colpire anche una famiglia titolare di due case: ma soprattutto perché proprio i più abbienti, in questo momento, andrebbero incoraggiati a consumare e investire, a muovere l'economia, anziché essere minacciati con il martello fiscale. Eppure, pasdaran a parte, il disagio comincia a manifestarsi nel Pd. Il più coraggioso, avendo forse un conto aperto con Letta che ne ha determinato la rimozione dalla guida del gruppo senatoriale, è Andrea Marcucci: «Sulla proposta di aumentare la tassa di successione condivido totalmente la risposta del presidente Draghi». Spara a palle incatenate contro l'idea pure il governatore campano Vincenzo De Luca: «Inaccettabile economicamente e politicamente, un atto di autolesionismo». A sorpresa, anche ad altre latitudini della sinistra teoricamente più sensibili a nuove tasse, si registra freddezza: il segretario della Cgil Maurizio Landini dice infatti: «Abbiamo avanzato al governo insieme con Cisl e Uil una proposta di riforma complessiva del sistema fiscale. Vogliamo fare questa discussione, ma non per singoli pezzettini». Scettico perfino l'ex ministro Vincenzo Visco, sentito dalla Stampa: la definisce una proposta «molto modesta» in termini economici; dice che «politicamente, nel suo complesso, è giusta»; ma non gli piace l'uso che Letta propone di quei soldi («sono contrario alle erogazioni a pioggia»).Lo stesso gruppo degli ex renziani rimasti nel Pd, Base riformista, pur tacendo per 36 ore, ha fatto circolare attraverso esponenti d'area mugugni e «preoccupazione» davanti al rischio di «far apparire ancora il Pd come partito delle tasse». Diversi parlamentari Pd fanno anche notare il loro «rammarico per lo strappo consumato con Draghi» insieme allo «stupore per una scelta assunta senza consultare i gruppi». Ieri, forse per ricucire lo sbrego degli ex renziani con il segretario Letta, il coordinatore di Base riformista Alessandro Alfieri è sembrato tendere un ramoscello d'ulivo: «È una proposta sacrosanta nel merito», ma ha aggiunto che «va e andrà discussa tutti insieme, ci ragioneremo nell'ambito complessivo della riforma fiscale». Palla lunga, insomma. Resta in ogni caso, pesante come un macigno, un esempio tratto dal passato, e cioè l'effetto devastante dell'operazione decisa dal governo di Mario Monti, quando fu quasi triplicata la patrimoniale immobiliare, facendone passare il gettito annuo da circa 8 a ben 25 miliardi annui. Da allora, ne sono stati tolti solo 4 (quelli dell'Imu prima casa, e neppure per tutte le prime abitazioni). Sta di fatto che in dieci anni non solo sono stati drenati oltre 200 miliardi di liquidità agli italiani, ma è stato dato un colpo devastante al mercato immobiliare. Secondo una stima curata per Confedilizia da Andrea Giuricin, e presentata a fine 2019, fatto 100 il valore che avevano quegli immobili nel 2011, dopo 8 anni quello stesso valore era sceso a 76, cioè era diminuito di circa un quarto, bruciando un valore di 1.300 miliardi di euro. All'inizio del periodo considerato, infatti, lo stock di immobili esistenti valeva circa 5.700 miliardi, mentre a fine 2019 quello stesso insieme di immobili ne valeva 4.400. Serve altro per capire l'effetto delle patrimoniali?