2019-11-08
Patuanelli per l’Ilva convoca gli altri indiani di Jindal. Ma c’è l’idea di nazionalizzare
Giuseppe Conte incontra Sergio Mattarella e spiega: «Non si esclude nuova gestione commissariale». Il governo sonda il gruppo (sponsorizzato da Matteo Renzi) già sconfitto da Mittal a Taranto. E Luigi Di Maio gioca a fare il sovranista. Il ministro Stefano Patuanelli chiede «unità» ma in Parlamento c'è solo la Lega. E Giggino sempre più allo sbando tira in ballo Matteo Salvini: «Fa il cameriere delle multinazionali». Lo speciale comprende due articoli. «Ma che occasione, ma che affare. Vendo Bagnoli, chi la vuol comprare». Parole e musica di Edoardo Bennato, anno del signore 1989, esattamente 30 anni fa. Bennato si riferiva al destino dell'Italsider di Bagnoli, mega acciaieria situata in uno dei luoghi più panoramici di Napoli, il cui smantellamento iniziò proprio nel 1989. Da allora, progetti, ipotesi, piani di recupero o riconversione, sono stati centinaia: non è successo assolutamente niente. Basta cambiare la parola Bagnoli con Taranto, ed eccoci arrivati a oggi, con la crisi dell'Ilva che sembra senza via di uscita, con un governo in ostaggio di se stesso, della sua pseudo maggioranza che tale non è, e soprattutto di un partito, il M5s, ormai allo sbando. Basta che una senatrice come Barbara Lezzi, incavolata con il suo capo, Luigi Di Maio, per non essere stata riconfermata al governo, si metta di traverso, ed ecco che il futuro di quasi 15.000 lavoratori (indotto compreso) diventa un incubo. Che ne sarà, dell'Ilva di Taranto? Ieri il premier, Giuseppe Conte, non sapendo che pesci pigliare, è andato dal suo dante causa, Sergio Mattarella, a chiedere lumi. Dopo l'incontro con il presidente della Repubblica, a Porta a Porta, su Rai Uno, Conte non ha escluso l'ipotesi della nazionalizzazione dell'Ilva di Taranto nè la possibilità di portare la gestione commissariale in capo al Mise: «Stiamo già valutando», dice Conte rispondendo a una domanda sul tema, «tutte le possibili alternative. Ma adesso non mi voglio concentrare su questo, non ha senso adesso, aspetto di riparlare con la famiglia Mittal nelle prossime ore, aspetto una risposta da loro». Nazionalizzazione vorrebbe dire caricare sui contribuenti italiani un costo esorbitante, insostenibile. La verità la conosce bene Conte, la conosce bene Mattarella, la conoscono bene tutti gli italiani: eliminare lo scudo penale ha dato la possibilità ad Arcelor Mittal di rescindere il contratto, al di là di ogni altra considerazione. Sia stato o meno un pretesto utilizzato dalla multinazionale francoindiana, questa assurda decisione del governo e della maggioranza rende insidiosa qualunque ulteriore trattativa, sia con i Mittal che con qualsiasi altro colosso eventualmente interessato all'Ilva, perché con le grane giudiziarie che pendono come tagliole nessuno andrebbe mai a impegolarsi in un investimento così enorme senza la garanzia di non dover pagare colpe non sue. Sarebbe difficile perfino trovare dirigenti pubblici disposti a metterci la faccia (e la fedina penale). «Il problema non è lo scudo», aggiunge Conte, «l'ho offerto io subito, una volta aperto il tavolo con Mittal. Ci hanno detto che il problema non era quello, ma che il piano industriale non è sostenibile economicamente». Il premier bluffa quando dice che è pronto a reinserire lo scudo penale, perché sa perfettamente che mezzo M5s non voterebbe il provvedimento, che dunque o sarebbe bocciato (e il governo andrebbe a casa) o passerebbe con i voti dell'opposizione (e il governo andrebbe a casa). «Non è un problema legale», argomenta ancora il premier, «perché una battaglia legale ci vedrebbe tutti perdenti. Ove mai fosse giudiziaria, sarebbe quella del secolo». Fuffa: l'eliminazione dello scudo penale darà ad Arcelor Mittal l'arma letale anche in tribunale. Come se non bastasse, ecco che arriva il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che su Facebook gioca a fare il sovranista con il lavoro degli altri: «La prima cosa che voglio dirvi», scrive Di Maio, «è che in questi giorni si sta consumando una battaglia per la sovranità dello Stato italiano. Se una Multinazionale ha firmato un impegno con lo Stato, lo Stato deve farsi rispettare, chiedendo il rispetto dei patti e facendosi risarcire i danni». E via con gli attacchi a Matteo Salvini, ama sembra il solito modo del leader grillino per buttarla in caciara, come da suo costume. Chi oggi avrà una giornata campale è invece Stefano Patuanelli. Il quale, assieme a Conte è alla disperata ricerca di una qualunque soluzione per non lasciarci la testa e per arrivare all'incontro di domani con i Mittal a mani vuote. Oggi alla sede del Mise, infatti, il ministro incontrerà una delegazione dei Jindal. L'azienda indiana aveva partecipato alla cordata che con Cdp e Arvedi aveva conteso l'Ilva ad Arcelor Mittal. All'indomani dell'esplosione della bomba Taranto è stato per primo Matteo Renzi a tirare fuori l'ipotesi Jindal. «Se se ne vanno i primi subentrano, i secondi», riferendosi a un gruppo tanto caro al Giglio Magico. Marco Carrai è infatti nel cda di Jsw Italia che controlla Piombino. L'ex sindaco di Firenze non vedeva l'ora di riportare in auge l'altro gruppo siderurgico (nonostante i risultati delle acciaierie toscane siano deludenti), con il sostegno di Cdp. Cassa si è però sfilata subito e ha lasciato la palla al governo. Che nella persona di Patuanelli ha comunque rienuto di convocare Jindal che oggi si presenterà da sola e senza i sostegno dei vecchi soci italiani. Appare difficile che sblocchino al situazione, ma gli indiani potrebbe far leva sulla disperazione di Conte e spuntare condizioni veramente vantaggiose. Certo, sulle spalle dei contirbuenti a quel punto resterebbe l'enorme contenzioso con Arcelor Mittal. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/patuanelli-per-lilva-convoca-gli-altri-indiani-di-jindal-ma-ce-lidea-di-nazionalizzare-2641252691.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-di-maio-gioca-a-fare-il-sovranista" data-post-id="2641252691" data-published-at="1758062859" data-use-pagination="False"> E Di Maio gioca a fare il sovranista Altra giornata di passione per Ilva, in attesa del nuovo round di incontri - oggi - tra governo, proprietà Mittal e (come scriviamo sopra), Jindal. Giuseppe Conte, che l'altra sera non aveva trovato di meglio da sostenere se non una linea di pura colpevolizzazione dell'azienda, nel tentativo di circoscrivere il peso della sciagurata decisione della sua maggioranza di azzerare lo scudo legale, ieri è salito al Quirinale per informare il presidente Sergio Mattarella, che nei giorni scorsi - almeno pubblicamente - era parso più preso dalla difesa della cultura del cattolicesimo di sinistra (e da una sorta di dibattito a distanza con il cardinale Camillo Ruini) che da una crisi industriale devastante per l'Italia. Secondo fonti del Quirinale, il capo dello Stato avrebbe manifestato preoccupazione per l'Ilva e le altre crisi aziendali, invitando il governo a cercare soluzioni rapide. Più tardi, registrando Porta a porta, Conte ha seguito un doppio binario. Da un lato, ha riaperto allo scudo: «L'ho offerto come primo argomento di conversazione, se è un problema lo reintroduciamo subito, il governo è compatto». Affermazione ardita, considerando le posizioni della sua maggioranza. Dall'altro, ha aggiunto che il punto non è questo, a suo avviso: «Il problema è che il piano industriale non è sostenibile economicamente». Poi, su una linea sempre più avventurosa, Conte non ha detto no alla nazionalizzazione: «Stiamo già valutando tutte le possibili alternative, ma ora non ha senso parlarne». Intanto, alla Camera, è intervenuto il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli: davanti a pochi deputati, visto che l'emiciclo presentava larghi vuoti. Ma a movimentare la giornata ha provveduto la Lega, con una robusta e durissima protesta, culminata nell'esposizione di cartelli con l'eloquente scritta, rivolta al governo: «A casa voi, non gli operai dell'Ilva». Piuttosto deludente l'informativa di Patuanelli, un misto di accuse contro Arcelor Mittal e un vago appello all'unità. Senza però alcun passaggio autocritico sul ruolo giocato dai pasdaran M5s e dall'emendamento dell'ex ministra Barbara Lezzi, poi sostenuto da Pd e Italia Viva. «Arcelor Mittal», ha esordito Patuanelli, «non si impegna a produrre più di 4 milioni di tonnellate e chiede 5.000 esuberi. Questo il governo non può accettarlo». Infine, l'appello: «Chiedo un atto di responsabilità a tutte le forze politiche, anche all'opposizione, anche ai sindacati e alle parti sociali. Questa situazione la risolviamo se rispondiamo come sistema Paese. Non ho problemi a metterci la faccia ma la risposta deve essere unitaria e univoca. Negli altri Paesi si fa così, non accusandosi». Atteggiamento curioso, da parte di un governo che, sin dal suo atto di nascita, ha ogni giorno criminalizzato la sua opposizione. E a sostegno di Patuanelli si è schierato Luigi Di Maio su Facebook, con un linguaggio che sembra mutuato dall'estrema sinistra: «Le multinazionali sbagliano i conti», «Conte ha smascherato il bluff». E ancora: «Voglio dirvi è che in questi giorni si sta consumando una battaglia per la sovranità dello stato italiano. Se una multinazionale ha firmato un impegno con lo stato, lo Stato deve farsi rispettare, chiedendo il rispetto dei patti e facendosi risarcire i danni». E poi l'attacco selvaggio alla Lega e ai sovranisti: «Victor Orban, il loro idolo, in Ungheria combatte le multinazionali, nazionalizzando addirittura le banche. Gli mette nuove tasse e li vuole cacciare via dalla gestione di servizi strategici, come gas e luce. In questi giorni ci sarà da far rispettare la sovranità dello Stato. E non lo potranno fare i camerieri delle multinazionali travestiti da sovranisti». E se questa è la strategia del ministro degli Esteri italiano, c'è da immaginare investitori in fuga, altro che attrazione di risorse. Poi, nel tardo pomeriggio, sono stati convocati a Palazzo Chigi i leader sindacali, più i rappresentanti della politica locale. Oltre al solito Michele Emiliano, tra i più politicamente scatenati contro Mittal in tutti questi anni, si è segnalato un altro esponente Pd, il sindaco di Taranto Melucci, a testimonianza di quanto Pd e grillini siano ormai sovrapponibili nelle loro posizioni: «Pensiamo già al dopo Arcelor Mittal, per il bene di Taranto e dell'Italia. Non ci stracciamo le vesti se Arcelor Mittal minaccia di andarsene. Vogliamo che sia restituita centralità e dignità all'uomo e alla comunità locale, prima che al profitto e al Pil». Come se si potesse fare a meno allegramente di 10.700 posti di lavoro, di 30.000 legati all'indotto, e sostituire tutto con il surreale mix cozze più manette.