2025-01-25
Il Patto Ue sulla competitività copia le agende Draghi-Letta: a rischio il risparmio italiano
Teresa Ribera, vicepresidente esecutiva della Commissione europea per la concorrenza (Ansa)
Nella «bussola» indicazioni blande sulle semplificazioni e timide revisioni delle norme ecologiste. Sì alla riforma completa del mercato unico. Commissari in ordine sparso.Partiamo dalle notizie positive e purtroppo non ci prenderemo un grande spazio. Secondo quanto emerge dalla bozza della «Bussola» sulla competitività della Commissione, che alcune agenzie hanno potuto visionare (sarà pubblicata mercoledì prossimo), Bruxelles ha capito che serve cambiar marcia. Si è finalmente resa conto (e su questo una buona parte dei meriti andrebbe dato a Trump) che «in assenza di un urgente svolta, il futuro dell’Ue come potenza economica, destinazione di investimenti e centro di produzione è a rischio». «Se l’Europa accetterà una gestione graduale e un declino economico», è il recente ammonimento di Mario Draghi che viene ripreso dal governo dell’Unione, «è destinata a una lenta agonia». Il problema è la direzione da prendere: e su questo versante diventa tutto un po’ più nebuloso. Parliamo di una bozza, è attualmente in fase di consultazione interservizi all’interno della Commissione ed è quindi suscettibile di aggiustamenti, ma alcuni punti sembrano ricalcare gli errori del passato, mentre altre misure restano vaghe sia nei contenuti sia nei tempi di attuazione. Va per esempio nella direzione giusta la spinta verso la semplificazione e la riduzione degli oneri burocratici imposti alle imprese Ue, si parla del 25% per le grandi aziende e del 35% per le piccole e medie. Una misura sacrosanta e chiesta a gran voce dell’industria europea, che tuttavia potrebbe non bastare. Perché il mondo va a una velocità doppia. Basti pensare all’enorme processo di deregulation che Trump sta imponendo agli Stati Uniti che già partivano da una posizione di vantaggio e alla flessibilità legislativa di cui godono i principali concorrenti dell’Ue. A fine febbraio, poi, dovrebbe arrivare una proposta legislativa di semplificazione («Omnibus») che ha lo scopo di rivedere una prima parte della normativa sul Green deal già in vigore. Questo primo passo, a cui dovrebbero far seguito altre proposte simili, riguarderà le regole Ue che impongono oneri burocratici alle imprese per perseguire la sostenibilità ambientale. In particolare, saranno riviste la direttiva Csrd («Corporate sustainability reporting directive») sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese, in vigore dal 2023, e quella sulla «diligenza dovuta» da parte delle grandi e medie aziende nel controllo delle loro catene del valore, che è stata approvata la scorsa estate. Poco. Troppo poco. In primis perché non parliamo di un dietrofront rispetto al processo di decarbonizzazione dell’economia e di transizione energetica e ambientale perseguito nel primo mandato Von der Leyen e poi perché i danni provocati dalla deriva ideologica verde richiedono interventi drastici e immediati. E qui il pensiero non può che andare all’automotive e alle famose multe per le case produttrici che sforeranno i limiti di emissione previsti per il 2025. Solo Volkswagen, se non aumenterà le vendite di vetture elettriche, potrebbe dover pagare 1,5 miliardi di euro di sanzioni, mentre il salasso complessivo potrebbe toccare quota 15 miliardi.Vorrebbe dire cancellare completamente l’industria dell’auto in Europa e spalancare il portone del mercato Ue alle vetture cinesi. E lo stesso discorso vale per le case green e l’agricoltura. Insomma, non basta un maquillage, serve una rivoluzione. Una rivoluzione che è ancora più complicata se si pensa alla spaccatura di visioni e dichiarazioni che arrivano da Bruxelles. E anche qui restare sulle auto ci torna comodo. Come detto, la decisione sulle multe va presa in fretta, seguendo magari la linea dettata dall’Italia e dal ministro Adolfo Urso, però andrebbe detto al «commissario» più potente d’Europa. Alla spagnola Teresa Ribera (che oltre a tenere le fila del Green deal è anche responsabile per la concorrenza) che ancora poche ore fa confermava di puntare tutto su nuovi e potenti incentivi all’acquisto delle auto verdi. Al punto che si fa fatica a capire dove sia la svolta e in che modo si concilino la linea Ribera con quella meno ideologica della Von der Leyen e ancor più con quella del vicepresidente Ue e commissario all’Industria Stéphane Séjourné che, conscio della drammaticità della situazione, vorrebbe assecondare il prima possibile le richieste delle imprese. Insomma, già l’obiettivo è assai complesso, se poi si aggiungono le divisioni, diventa impossibile da raggiungere. E qui c’è un altro elemento. Oltre che al piano Draghi, la «Bussola Ue» fa riferimento esplicito al Rapporto Letta sul completamento del Mercato unico. Nel secondo trimestre 2025 la Commissione dovrebbe presentare la strategia per un’Unione europea del risparmio e degli investimenti, seguita da una serie di proposte legislative specifiche. Chiaro che in assenza di testi dettagliati è difficile capire dove realmente si andrà a parare, ma visti i precedenti, il rischio che quest’unione possa mettere in pericolo il vero tesoro del Paese, i risparmi degli italiani, è concreto. Nel testo si parla poi di una tabella di marcia per l’occupazione di qualità («salario equo e un equilibrio tra lavoro e vita privata»), di «riforme delle pensioni accompagnate da iniziative che promuovano il prolungamento della vita lavorativa», di un piano per l’acciaio e di un patto per gli investimenti per il trasporto sostenibile, oltre alla revisione del meccanismo di adeguamento del carbonio (Cbam). Tanta, troppa carne al fuoco. E la netta sensazione che alla fine la montagna partorirà il solito topolino.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.