2022-08-17
Patto Pd-pm: nuove accuse di Buzzi. I riscontri alle parole della talpa
L’ex ras delle coop rosse: «Appena ho riferito di Zingaretti alla Procura di Roma, sono diventato un bugiardo. Ma la gara sul Cup era truccata». Confermati i racconti dell’ex cancelliere sul magistrato del Palamara-gate.I risvolti politici-giudiziari dell’inchiesta sulla presunta talpa della Procura di Perugia continuano a fare discutere. A Ferragosto abbiamo raccontato le relazioni pericolose tra la magistratura e i vertici del Pd ai tempi della segreteria di Nicola Zingaretti, il quale avrebbe ottenuto informazioni su inchieste in corso e, dopo quelle soffiate, sarebbe corso ai ripari spingendo alle dimissioni esponenti del partito a rischio arresto. Lunedì, su queste nostre rivelazioni, è intervenuto con forza sui social Salvatore Buzzi, l’ex ras delle cooperative rosse di Roma condannato per associazione a delinquere, corruzione e turbativa d’asta a 12 anni e 10 mesi di carcere. Buzzi ha preso posizione ritenendosi testimone diretto della partigianeria della Procura di Roma. Nel nostro scoop abbiamo svelato gli incontri di Zingaretti al Csm e con Luca Palamara sotto la propria casa nei giorni precedenti al passo indietro di Maurizio Venafro, all’epoca capo di gabinetto dell’ex segretario Pd, indagato in un filone di Mafia capitale, quello sulla cosiddetta gara Cup. Il dirigente verrà poi assolto, ma allora fu costretto alle dimissioni. Questo l’attacco di Buzzi: «La gara Cup indetta dalla Regione Lazio nel 2014 del valore di 90 milioni di euro» era «turbata politicamente prima ancora che fosse bandita». Ma alla fine a essere punita è stata solo una parte politica. «Sin da subito notammo una grande anomalia: furono arrestati Angelo Scozzafava e Luca Gramazio, il primo membro della commissione aggiudicatrice in quota destra e il secondo capogruppo di Forza Italia e beneficiario dell’accordo politico per la destra». Ma per Buzzi all’appello «mancavano Elisabetta Longo presidente della commissione di gara» e Venafro, entrambi «largamente coinvolti nell’accordo spartitorio», ma «soprattutto Nicola Zingaretti che aveva fatto il patto con Gramazio per dividere politicamente la gara: tre lotti alla maggioranza e uno all’opposizione». Il tutto spiegato in ben cinque interrogatori resi nel 2015. «Mentre alla destra bastavano assunzioni, dall’altra parte si parlava di contributi in nero» ha rincarato l’imputato eccellente. Che non nasconde il suo stupore per l’esito dell’inchiesta: «Io mi aspettavo che la mia ricostruzione dettagliatissima con tanto di riscontri telefonici venisse presa in considerazione ma da allora, incredibilmente, fui fatto passare dalla Procura della Repubblica di Roma per non credibile». Per questo Zingaretti e la Longo sono stati archiviati e Venafro assolto.Buzzi su Facebook immagina che cosa sarebbe successo se fosse stato ascoltato: «Se mi avessero creduto, sarebbe cambiata la storia politica in Italia: Zingaretti si sarebbe dovuto dimettere da presidente della Regione e di certo non sarebbe diventato segretario del Pd, favorendo la nascita del governo Conte 2 e la Regione Lazio oggi sarebbe governata da una diversa maggioranza. Gianni Alemanno sarebbe stato assolto subito e non avrebbe subito anni di gogna per essere infine assolto dal reato di corruzione come sempre ho sostenuto io. Da ben 5 anni aspetto la querela di Zingaretti, più volte annunciata e mai arrivata».RISCONTRO ALLA TALPAMa i retroscena collegati alla vicenda della talpa di Perugia non aprono solo un inquietante fronte politico, ma anche uno giudiziario, forse ancora più delicato. Anche perché proprio in questo campo le supposte dichiarazioni dell’ex cancelliere della Procura Raffaele Guadagno hanno trovato un primo riscontro. L’uomo, tra il 2020 e il 2021, contattò e incontrò uno dei legali di Luca Palamara per metterlo al corrente di alcune presunte anomalie nella gestione del procedimento che coinvolgeva il suo assistito. La notizia più concreta che Guadagno offrì ai suoi interlocutori fu che la pm Gemma Miliani aveva chiesto di astenersi dal procedimento essendo stata testimone di nozze al matrimonio di Cosimo Ferri, all’epoca parlamentare del Pd ed ex leader di Magistratura indipendente, la corrente conservatrice delle toghe.La Verità è in grado di confermare che l’istanza venne presentata l’8 maggio 2019, il giorno della famigerata riunione all’hotel Champagne, quando cinque consiglieri del Csm si riunirono proprio con Ferri, Palamara e Luca Lotti per provare a decidere il nome del nuovo procuratore di Roma. In realtà la frequentazione di Palamara con Ferri era già stata accertata dagli investigatori a partire dal marzo 2019 e per questo noi tre anni fa avevamo denunciato un accerchiamento investigativo nei confronti del parlamentare. La richiesta di astensione fa comprendere come anche la pm dell’inchiesta ritenesse che il deputato fosse di fatto coinvolto nelle indagini (una conclusione a cui è giunta nel 2022 la Camera dei deputati quando ha stabilito che si trattava di intercettazioni indirette e non casuali). Ma De Ficchy respinse la richiesta. Lui che era in stretti rapporti con uno dei protagonisti dell’inchiesta, ovvero il presunto corruttore di Palamara, quel Fabrizio Centofanti che venne iscritto sul registro degli indagati solo a fine maggio, alla vigilia del pensionamento del procuratore.Fatto sta che il 10 maggio la Miliani, di fronte alla sbobinatura delle captazioni dello Champagne, raccomandò ai finanzieri del Gico di «interrompere le attività di intercettazioni laddove Palamara avesse incontrato il parlamentare previo appuntamento e quindi l’incontro non potesse ritenersi più casuale».Ma perché la Miliani ritenne di presentare la sua richiesta alla vigilia della riunione dello Champagne? Qualcuno aveva informato i magistrati che nella rete era finito anche Ferri e che proprio nel pomeriggio dell’8 maggio questi era stato intercettato mentre organizzava la riunione nell’hotel romano? Sino a oggi gli inquirenti hanno sempre sostenuto di aver avuto contezza di quelle conversazioni non in diretta, ma solo il giorno dopo.9 MAGGIO DI FUOCOMa i punti controversi dell’inchiesta non sono terminati. La Verità è in grado di documentare un’altra curiosa coincidenza risalente al 9 maggio 2019. In quel momento, a Perugia, il procuratore di Messina Maurizio De Lucia, ex pm della Direzione nazionale antimafia, era indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento personale. Ai tempi in cui si trovava in via Giulia aveva incontrato un emissario di Antonello Montante, l’ex paladino dell’Antimafia condannato dalla Corte di appello di Caltanissetta ad otto anni per corruzione e associazione per delinquere. Le intercettazioni dell’«ambasciatore» (un ex poliziotto della Squadra mobile di Palermo) con Montante rivelavano come De Lucia fosse stato compulsato per ottenere notizie sul procedimento, ma rivelavano anche che il futuro procuratore di Palermo aveva offerto informazioni del tutto generiche su un fascicolo a cui non era applicato. Il fascicolo era stato iscritto sul registro nel luglio 2018 dopo che la Procura di Caltanissetta aveva trasmesso gli atti in Umbria. Certo per un pm stimato come De Lucia rimanere appeso a una simile accusa poteva essere motivo di imbarazzo.Ma ecco il cortocircuito. Tra fine aprile e inizio maggio 2019 la Procura di Perugia ha necessità di interpellare De Lucia non tanto come indagato, ma nella sua veste di prezioso collaboratore nelle indagini sul giro di presunte mazzette versate dai faccendieri Piero Amara, Giuseppe Calafiore e dal già citato Centofanti per corrompere toghe come Luca Palamara e Giancarlo Longo. Quest’ultimo il 26 aprile 2019 aveva raccontato alla Miliani di essere stato informato della richiesta cautelare a suo carico da Calafiore. Il quale, a dire di Longo, avrebbe avuto come fonte niente meno che Roberto Pignatone, fratello dell’ex procuratore di Roma, Giuseppe.Per questo la Miliani aveva chiesto a De Lucia se davvero avesse trasmesso via mail una bozza della misura proposta nei confronti di Longo alla Procura di Roma. In una risposta «riservata» del 9 maggio De Lucia aveva smentito l’invio a Pignatone «da parte dello scrivente» di «alcuna bozza della richiesta cautelare in argomento» e, contemporaneamente, aveva spiegato ai colleghi che i sostituti del suo ufficio avevano, però, consegnato brevi manu, durante una riunione di coordinamento avvenuta a Roma, un cd con la bozza al procuratore aggiunto capitolino Paolo Ielo.Questa smentita-non smentita deve aver tranquillizzato i pm di Perugia che non ci risulta abbiano compiuto altri approfondimenti investigativi. Al contrario la Procura di Messina, dopo aver interrogato Calafiore che aveva smentito la ricostruzione di Longo, ha iscritto quest’ultimo, sino a quel momento ritenuto credibile, per calunnia. Salvo poi archiviarlo.Dunque il 9 maggio, il giorno successivo al summit dello Champagne, partiva da Messina una comunicazione che, a giudizio degli inquirenti perugini, restituiva l’onore ai fratelli Pignatone e metteva in sicurezza tutta l’inchiesta Palamara (che paradossalmente scaturiva proprio dalle dichiarazioni di Longo, sospettato di calunnia da Messina). E che cosa succedeva lo stesso giorno? Il procuratore di Perugia De Ficchy (ritornato, grazie all’intermediazione di Palamara, in ottimi rapporti con Pignatone, dopo un po’ di maretta) chiedeva l’archiviazione per De Lucia, il quale, nel frattempo, aveva inviato a Perugia le dichiarazioni contro Palamara, Ferri e il pm romano Stefano Musolino, ma non quelle riguardanti Roberto Pignatone.Si tratterà certamente solo di coincidenze cronologiche, ma certamente tra l’8 e il 10 maggio 2019 si sono incastrate una serie di situazioni che hanno indirizzato l’inchiesta contro Palamara nel senso a tutti noto, ma, in questa sorta di sliding door giudiziaria, in quelle stesse ore il fascicolo avrebbe potuto prendere tutt’altra strada. Infatti se le Procure di Perugia, Roma e Messina, impegnate in procedimenti collegati, fossero entrate in conflitto la tanta auspicata pulizia a senso unico dentro alla magistratura non sarebbe potuta avvenire e probabilmente l’inchiesta Palamara non avrebbe affondato solo l’ex presidente dell’Anm e le toghe di opposizione che stavano cercando di entrare per la prima volta nella stanza dei bottoni del Sistema.