2023-11-10
L’Ue forza sul Patto ma l’Italia minaccia di mettere il veto
Riunione straordinaria dell’Ecofin a novembre per chiudere l’8 dicembre. Più tempo per ridurre il debito, a Roma non basta. «C’è ancora molto da fare, l’ultimo miglio da percorrere, ma come nel Cammino di Santiago, si comincia a intravedere la cattedrale» per arrivare alla riforma del patto di Stabilità entro l’anno. Ha usato questa metafora la ministra delle Finanze spagnola, Nadia Calvino, attuale presidente dell’Ecofin, al termine della riunione di ieri. Sottolineando che «i progressi che saranno compiuti da Francia e Germania o da altri Paesi saranno integrati nel nostro lavoro come abbiamo fatto finora». L’obiettivo è far convergere Parigi e Berlino sul compromesso che verrà abbozzato in un testo giuridico da inviare ai singoli governi nei prossimi giorni. Calvino ha quindi dettato anche la tabella di marcia: «Forse ci serviranno due Ecofin per raggiungere un accordo sul testo, ecco perché vogliamo organizzare una riunione straordinaria a fine novembre per analizzare una proposta sulla riforma del Patto di stabilità prima della proposta legislativa di dicembre». Fonti diplomatiche fanno sapere che il giorno prescelte potrebbe essere il 23 novembre. L’idea è di avere un Consiglio aperto, senza un orario di fine, per spingere i ministri a trovare una intesa sugli elementi che verranno predefiniti nei prossimi giorni negli incontri bilaterali franco-tedeschi. Il Consiglio, previsto per l’8 dicembre, dovrebbe infine servire per definire i dettagli e approvare il testo legislativo.Ora però ci sono da definire tutti i dettagli per arrivare a quella che Calvino chiama la landing zone, ovvero il punto di caduta delle trattative. Una proposta legislativa che include i contributi di tutti i Paesi membri degli ultimi mesi «in modo da poter gettare le fondamenta di un nuovo quadro che possa dare stabilità e fiducia ai mercati e alla popolazione europea». Nella trattativa sul Patto Ue si farebbe meno stringente l’ipotesi sui tempi per la riduzione minima del debito prevista per i Paesi che sforano il 60% del Pil. La svolta sarebbe stata ottenuta su proposta danese, che prevede come salvaguardia il calo del debito nei 4 anni dopo il periodo di aggiustamento (4 anni estendibili a 7 che diventano 8 estendibili a 11). I tedeschi chiedevano che il calo avvenisse già nell’ultimo anno, mentre l'iniziale bozza spagnola arrivava a 14 anni (17 in caso di estensione). Sarebbe stata, inoltre, accolta in parte la richiesta italiana di prendere in considerazione gli investimenti. Non saranno scorporati dal debito ma verranno ritenuti elementi attenuanti in caso di procedura eccessiva per deficit (varrà in particolare per gli investimenti per la Difesa). Ieri la ministra dell'Economia della Spagna, Paese alla presidenza di turno dell'Ue, ha escluso che ci siano dei Paesi che nell’attuale trattativa sul patto di Stabilità preferirebbero un ritorno alle vecchie regole rispetto a ipotesi penalizzanti con ulteriori salvaguardie sul deficit: «Non ho sentito queste osservazioni da parte di alcuno Stato negli scambi molto intensi che abbiamo avuto nelle ultime settimane», ha detto nella conferenza stampa. Alla riunione dell'Ecofin, anche i ministri Bruno Le Maire (Parigi) e Christian Lindner (Berlino) si sono presentati «ottimisti» sul raggiungimento di un accordo entro l’anno grazie ai loro «continui confronti bilaterali» e alla «sinergia ritrovata».Ma sempre ieri, fonti del Mef hanno filtrato alle agenzie un messaggio chiaro: nella riforma del Patto, l’Italia non teme il ritorno alle regole fiscali attualmente sospese con la clausola di salvaguardia, rispetto a ipotesi di revisione penalizzanti e che prevedano ulteriori parametri di calo del deficit sotto il 3% del Pil. Una volta trovata la «zona di atterraggio» infatti, vanno concordati i numeri che avranno un impatto diretto sull’aggiustamento che i singoli Paesi dovranno fare ogni anno. In particolare, quelli sull’entità della riduzione del debito, quelli sui livelli di spesa e il cuscinetto di salvaguardia del deficit. La proposta sul tavolo prevede che una volta che il debito pubblico ha imboccato la strada della riduzione dovrà essere garantito un margine di sicurezza al di sotto del 3 per cento. E questa è la posizione tedesca. Ecco perché potrebbe arrivare il veto del ministro Giancarlo Giorgetti che non intende firmare a tutti i costi un accordo sulla riforma del Patto di stabilità sfavorevole per il nostro Paese. A queste condizioni, è il messaggio mandato ieri da Roma, tanto vale tornare al vecchio Patto (più stringente ma mai applicato) invece di uno nuovo meno stringente, sulla carta, ma più vincolante nell’attuazione. A confermare che questa riforma, allo stato attuale, non sposa in pieno la visione italiana è il giudizio che arriva da un altro esponente dei falchi, il ministro delle Finanze austriaco, Magnus Brunner. Parlando ai giornalisti ha riconosciuto che la presidenza spagnola «si è avvicinata all’Austria e alla Germania». Di certo, tutto si giocherà in poche settimane. Oggi, intanto, sul debito italiano si pronuncerà l’agenzia Fitch, che sarà seguita il 17 da Moody’s. Il prossimo 21 novembre, la Commissione Europea pubblicherà la sua opinione sul progetto di bilancio per il 2024, mentre il 22 novembre ci sarà l’incontro tra la premier Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Più che il cammino di Santiago, sembra un percorso ad ostacoli.