2021-02-12
Il comico genovese ieri ha lanciato dal suo sito il programma per il futuro governo. Tra il delirio della «Città in 15 minuti», il green new deal e l'equidistanza tra Cina e Usa, sembra lo scacco matto all'Italia in 24 mosse.Prima dei fatidici risultati del voto sulla piattaforma Rousseau, Beppe Grillo, ieri, sui suoi canali social, si è scatenato. Dapprima un fotomontaggio per fare lo spiritoso: una scena da thriller cinematografico, con Mario Draghi in bilico su un cornicione e un Sergio Mattarella che lo guarda preoccupato dalla finestra (titolo: «Aspettando Rousseau»); poi i punti programmatici suggeriti dai 5 stelle al governo. In realtà qualunque persona di buon senso, trovandosi su un cornicione e leggendo le tavole della legge grillina, non avrebbe esitazione a buttarsi di sotto: meglio un volo nel vuoto della prospettiva di attuare follie che non sfigurerebbero a Caracas o presso un altro regime socialcomunista. «Un libro dei sogni», ha commentato ieri qualcuno. Ma quali sogni, verrebbe da rispondere: qui si tratta di un lungo e ininterrotto incubo statalista, collettivista, antiliberale. Mettiamola così: c'è da augurarsi che Draghi tenga effettivamente sul tavolo quelle paginette. Non per attuarle, però: ma per fare esattamente il contrario, e per ricordare ogni giorno la potenziale pericolosità politica dei 191 deputati e dei 92 senatori M5s. Qua e là c'è un po' di fuffa, tipo la «città dei 15 minuti» e la «salute circolare». E che roba è, direte voi? «Passare da un modello che cura i malati a quello che mantiene i cittadini in salute»: insomma, pura supercazzola alla conte Mascetti di Amici miei. Altre due voci sono solo titoli senza svolgimento: sotto l'unico cappello «istruzione di qualità», i grillini evocano la «riforma della Rai e dell'editoria» e un fantomatico «piano d'azione scuola 2.0». E c'è quasi da tirare un sospiro di sollievo, perché in questi casi uno può solo immaginare i disastri che i pentastellati sognerebbero di realizzare. Ma Grillo almeno ci fa la cortesia di non svelarli, di non esplicitarli del tutto. I brividi, invece, arrivano quando ci si addentra nel mattatoio fiscale e regolatorio immaginato dall'Elevato, che - per aggravare le cose - fa sapere di essersi ispirato agli «obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Onu».Ecco la raffica di tasse. «Patrimoniale sulle grandi ricchezze», si legge: peccato che non si sappia quanto grandi debbano essere queste ricchezze secondo Grillo. E peccato che, in un Paese non comunista, anche una persona ricca abbia diritto di prosperare, e vada anzi incoraggiata a consumare e a creare altra ricchezza, anziché essere scorticata e magari indurla ad andarsene. Ma sono cose a cui i grillini nemmeno avranno pensato. Ancora: i pentastellati fanno sapere come sarebbe la loro mitica «riforma fiscale ecologica»: secondo il paradigma gretino, «meno imposte sul lavoro, più imposte sul consumo di ambiente». Peccato che in genere, in questi casi, ci si dimentichi di abbassare l'imposizione da una parte, e ci si ricordi benissimo di alzarla dall'altra. Non solo: applicando un criterio di questo tipo (tasse sulle emissioni, sulla dannosità ambientale variamente intesa) l'unico risultato certo sarebbe quello di creare un ulteriore svantaggio competitivo a carico delle imprese italiane. Ma, una volta presa la rincorsa, Grillo non si ferma più: «Per la maggioranza della popolazione meno imposte su reddito, patrimonio e successioni. Per i contribuenti con maggiore imponibile, imposte maggiori e progressive su reddito, patrimonio e successioni». Piccolo dettaglio: l'Italia è già il Paese delle patrimoniali, a partire da una devastante patrimoniale immobiliare da 21 miliardi l'anno, che ha schiantato in dieci anni il mercato dell'edilizia e il valore degli immobili. Eppure ai grillini sembra non bastare. Dopo di che, Grillo ci porta a spasso nella Mosca o in un altro Paese del Patto di Varsavia degli anni Cinquanta e Sessanta: «salario minimo», «salario massimo» («non può essere più di 12 volte superiore al salario mediano»), «reddito universale». Naturalmente, al di là della follia della seconda voce, Grillo omette di spiegare chi pagherebbe la prima e la terza. E allora spieghiamolo noi: il salario minimo ammazzerebbe le imprese private, mentre il reddito universale imporrebbe tasse più alte a carico dei contribuenti. Fatto questo, è il momento di spostarci nella capitale morale del grillismo economico, la già evocata Caracas, tra Stato padrone, controllo totale dell'economia da parte del regime, e (c'è da immaginare) qualche sequestro o confisca per arrivare al risultato. Ecco qua: «acqua pubblica: nazionalizzazione delle fonti e delle gestioni idriche»; pubblicizzazione delle autostrade e riforma dei regimi di concessioni; banca pubblica per gli investimenti; rete telematica unica a controllo pubblico. Se siete ancora vivi, avete capito di cosa stiamo parlando: Stato proprietario di tutto, gestione in mano ai partiti e ai loro uomini, uso del denaro dei contribuenti per sottrarre gangli vitali dell'economia alla libertà, al mercato e alle imprese per affidarli ai ministri pro tempore. Che altro resta? Un po' di classici del repertorio grillino: «conflitto d'interessi» e «completamento dell'iter della riforma della giustizia Bonafede», giusto per incantare i gonzi del giustizialismo; «decreto clima» e «sviluppo sostenibile in Costituzione», tanto per fare un altro po' di ideologia. E gran finale con l'Italia sganciata dall'Occidente e collocata geopoliticamente in posizione ambigua, per strizzare ancora meglio l'occhio a Pechino: «coesistenza pacifica, equivicinanza tra poli, cooperazione, rispetto reciproco, sviluppo condiviso e inclusivo. Rifiuto della logica dei blocchi contrapposti». Da Beppe Mao è tutto per oggi.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.