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2019-05-16
Party gender e concerti rave nel palazzo occupato e «miracolato» dal cardinale
Ansa
Poteva restarci fulminato, il cardinale Konrad Krajewski, l'elemosiniere del Papa, che ha rotto i sigilli e «restituito» la corrente elettrica allo stabile occupato Spin Time Labs a Roma. Altro che gesto eroico: si è trattato di un atto sconsiderato, che avrebbe potuto provocare conseguenze tragiche, perché manomettere una cabina elettrica a media tensione nei sotterranei di un immobile che ospita 400 persone è una operazione estremamente pericolosa, non solo per chi la effettua (sempre che sia stato veramente lui, ci consentirà di avere qualche dubbio) ma anche per chi in quell'edificio ci vive.
Krajewski ha rivendicato l'azione, e c'è da capirlo: essendo un cardinale sarà molto difficile che subisca conseguenze penali, cosa che invece succede a qualunque povero cristo che si trova con la corrente elettrica staccata per non aver pagato la bolletta e sconsideratamente rompe i sigilli. Si va in galera, con l'accusa di furto di energia elettrica e danneggiamento, in molti casi analoghi, o almeno agli arresti domiciliari, ma Krajewski è la longa manus di papa Francesco, mica un imprenditore qualsiasi assediato dai debiti, e dunque potrebbe godere dell'immunità, se si appurasse che l'azione è stata ideata in Vaticano.
In ogni caso, quello che è certo è che, nonostante 320.000 euro di morosità, gli attivisti di Spin Time Labs possono continuare tranquillamente a utilizzare l'energia elettrica per le loro attività, alla faccia di chi per pagare le bollette di casa o dell'azienda fa i salti mortali. Cosa accadrà, infatti adesso? Semplicemente niente, o meglio: niente che non sia stabilito dall'Autorità giudiziaria. Areti, la società di Acea che gestisce la rete di distribuzione dell'energia elettrica, e che aveva apposto i sigilli alla cabina, ha presentato un esposto in Procura non solo in relazione alla violazione degli stessi sigilli, ma anche al fatto che chi si è reso responsabile di questo gesto, che sia l'elemosiniere o chi per lui, non ha certamente seguito le complesse norme che regolano questo tipo di interventi, e che quindi non è certo se ora lo stabile sia da considerarsi in sicurezza.
Areti non può fare nulla che non sia autorizzato o sollecitato dalla magistratura: la palla è nelle mani della Procura di Roma. Stesso discorso anche per quanto riguarda Hera Comm, la società di distribuzione di energia elettrica che materialmente ha tra i suoi clienti il proprietario dello stabile occupato, e che aveva chiesto ad Areti di procedere al distacco per morosità.
Nessuno può fare niente, quindi, se non su ordine della magistratura, e quindi gli attivisti di Spin Time possono continuare a organizzare i loro eventi grazie alla mano santa di Krajewski. Lo Spin Time Labs, infatti, è un bel business: in quell'edificio si mangia, si beve, si balla e si festeggia allegramente, e rigorosamente a pagamento. Basta uno sguardo al calendario degli appuntamenti e alle pagine social di Spin Time Labs per imbattersi, ad esempio, in un bel manifesto di un evento che certamente avrà riempito di orgoglio il buon elemosiniere: il «Genderotica Party», che nel maggio del 2015 fece furore nello stabile occupato. «Contaminazioni di arte queer», si legge nella descrizione della serata, ancora disponibile in rete, dove per queer, leggiamo da gay.it, si intendono «quelle persone che non vogliono identificarsi in un'etichetta. Insomma non vogliono affermarsi come gay, etero o altri generi. Con il termine si rinuncia a identificarsi e a indicare un orientamento sessuale». «Quest'anno», si legge ancora nella presentazione dell'evento, «parleremo ancora più esplicitamente di erotismo, pornografia, Fem, Trans, Sex Workers, femminismo, desiderio». Premesso che ciascuno nella sua vita può scegliere come, dove, quando e con chi divertirsi, non ci sembra un manifesto in linea con le posizioni della Chiesa cattolica, ma all'elemosiniere evidentemente poco interessa.
Altro evento in cartellone, lo scorso ottobre, una bella serata in onore di Mediterranea Saving Humans, la Ong protagonista di numerosi «salvataggi» di immigrati e dei conseguenti bracci di ferro con il governo, alla quale ha partecipato Sandro Metz, armatore della nave. Agli appuntamenti più ludici, come le serate musicali e i concerti, si accede pagando un biglietto, che gli organizzatori definiscono «sottoscrizione», da 5 o 10 euro. Fa ridere osservare i listini prezzi dei menu dell'osteria Spin Time, che somigliano a quelli di un ristorante turistico: cozze alla tarantina 4 euro, spaghetti ai frutti di mare 5 euro, baccalà in umido con patate 7 euro (un po' caro, ma si sa, i compagni che okkupano hanno il palato fine),un bella birra italiana da 66 cl 3 euro (caruccia anche questa, ci vorrebbe un po' di attenzione ai bisognosi); esagerati poi i 6,5 euro chiesti per un panino con hamburger.
Interessante quello che si legge nella presentazione del Rave Party che si è svolto dalle 16 dello scorso 30 aprile all'alba del 1° Maggio: «Oltre 40 concerti», si legge, «a un prezzo popolare e altissima qualità artistica. Intervenendo sosterrai l'orchestra notturna clandestina, e l'attività di rigenerazione del nostro auditorium santa croce. Puoi acquistare qui i tagliandi di ingresso a meno di un euro a concerto! L'acquisto dei biglietti», aggiungono gli organizzatori, «si intende in forma di donazione a sostegno delle attività artistiche dell'orchestra notturna clandestina, e per tanto non soggetta a tassazione e ad alcun genere di fiscalità». Niente tasse di nessun genere, per la gioia dell'elemosiniere.
Le guardie svizzere improvvisate pronte a difendere l’indifendibile
Ormai tutti conoscono le gesta dell'atletico elemosiniere vaticano. Ma l'aspetto più surreale della vicenda è che il cardinalone elettricista sta godendo dell'assistenza (qualcuno in forma di sostegno proclamato, qualcun altro fischiettando e facendo finta di non essersi accorto di nulla) di tutto un mondo cosiddetto (o sedicente) liberale e laico. Da bersaglieri a Porta Pia a guardie svizzere in divisa multicolore.
Da sempre, c'era stato uno schieramento di personalità, giornali, aree culturali e politiche, che avevano fatto dello spirito laico una bandiera: chi con modalità un po' da mangiapreti, chi - in spirito liberale e tocquevilliano - riconoscendo la piena facoltà di intervento delle confessioni religiose nella dimensione pubblica e nella società, ma - ecco il punto - senza privilegi né agevolazioni fiscali.
La novità è che, tranne rare eccezioni - ormai conteggiabili su poche dita di una sola mano di un grande mutilato - quel mondo è sparito in questi giorni. Avevano lezione di judo? Di pilates? Avevano finito i giga sul telefonino per twittare e postare? Prima o poi qualcuno di costoro, in omaggio a papa Francesco, finirà pure per sfoggiare un accento vagamente argentino.
Non risultano ad esempio sui suoi profili social dichiarazioni di Emma Bonino, oggi pupilla del Pontefice, ma un tempo favorevole all'abolizione del Concordato. Il suo collega Benedetto Della Vedova, ad Agorà su Rai 3, dopo aver precisato (bontà sua) che «le bollette si pagano», ha spiegato che «se deve scegliere tra Casa Pound e gli inquilini di Spin Time», difenderebbe questi ultimi. Insomma, c'è occupante e occupante. Prevale un certo silenzio - a meno di nostri errori - anche nel resto della galassia radicale.
Allora si potrebbe essere indotti a cercare soddisfazione nel mondo più liberista, sensibile per definizione alla proprietà privata. Macché, Oscar Giannino sciorina un elenco (Antigone, Socrate, John Hampden, Henry Thoreau, Gandhi, Martin Luther King e Hannah Arendt): tutti convocati per spiegare che la «disobbedienza civile è un fondamento essenziale della civiltà occidentale». Non risulta però che le figure citate avessero bollette dell'Acea insolute o organizzassero attività commerciali in locali occupati. Risulta semmai che, per vertenze un tantino più significative, si autodenunciassero preventivamente, perché la disobbedienza civile è una cosa seria.
E il resto dei giornaloni di tradizione laica? Un tripudio per il cardinale. Al quale si sono aggregati anche altri: Giuliano Ferrara si è entusiasmato per «il porporato che discende agli inferi per guadagnare un pezzo di paradiso illuminato», e «parla con la lingua di fuoco che sola può battere i demagoghi». Lo scavalca Adriano Sofri, che ci rende partecipi del suo «intimo rimpianto di non essere sceso in quel tombino». «Meraviglioso», esulta Nicola Zingaretti. Tutti asserragliati nel tombino.
Si uniscono al fan club del cardinalone pure i giuristi, che per anni avevamo sentito parlare di «legalità». Ma ora sono lì ad arrampicarsi sugli specchi per giustificare un reato (la rottura dei sigilli) che si applica a un altro reato (l'occupazione abusiva). Paolo Maddalena, già vicepresidente della Consulta, è sulle barricate, come racconta La Repubblica: «Questa gente non è abusiva, perché quando c'è uno stato di necessità uno cerca di salvarsi». Pure lui stila le classifiche tra occupanti buoni e cattivi: «Per Casa Pound no, il discorso non vale: non ha alcun diritto a occupare perché non sono poveri ma politici, si pagassero le loro cose e non usufruissero dei beni di tutti gli italiani. Quelli di Casa Pound hanno torto marcio». Nella rincorsa, il giudice ci fa supporre che la proprietà privata sia già stata abolita: «I centri sociali occupano luoghi abbandonati che non possono esistere perché con l'abbandono del luogo viene meno la proprietà privata del titolare e diventa della comunità. Può dunque essere assegnata ai centri sociali, a persone che non siano associazioni a delinquere. La legge che ha impedito l'approvvigionamento di acqua e luce non è costituzionale, quindi padre Konrad non ha commesso alcun reato».
Stessa tesi anche per un altro ex presidente della Corte, Cesare Mirabelli: «I cardinali che commettono un reato in Italia, non riferibile alla funzione di governo della Santa Sede, sono perseguibili. Se però l'atto viene compiuto per “stato di necessità" non può essere punito». Brillante trovata, questa dello «stato di necessità»: chissà che non venga in mente pure a un rapinatore di giustificarsi così.
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Riduci
Nello scantinato dello stabile cui monsignor Konrad Krajewski ha ridato illegalmente la luce, una ricca agenda di eventi. Per nulla in linea con le posizioni della Chiesa. Le guardie svizzere improvvisate pronte a difendere l'indifendibile. Giuristi, più sedicenti laici e la solita compagnia di giro dei politici «liberali»: tutti uniti nel surreale fan club del cardinale elettricista. Per giustificare gli occupanti buoni contro quelli cattivi. Lo speciale comprende due articoli. Poteva restarci fulminato, il cardinale Konrad Krajewski, l'elemosiniere del Papa, che ha rotto i sigilli e «restituito» la corrente elettrica allo stabile occupato Spin Time Labs a Roma. Altro che gesto eroico: si è trattato di un atto sconsiderato, che avrebbe potuto provocare conseguenze tragiche, perché manomettere una cabina elettrica a media tensione nei sotterranei di un immobile che ospita 400 persone è una operazione estremamente pericolosa, non solo per chi la effettua (sempre che sia stato veramente lui, ci consentirà di avere qualche dubbio) ma anche per chi in quell'edificio ci vive. Krajewski ha rivendicato l'azione, e c'è da capirlo: essendo un cardinale sarà molto difficile che subisca conseguenze penali, cosa che invece succede a qualunque povero cristo che si trova con la corrente elettrica staccata per non aver pagato la bolletta e sconsideratamente rompe i sigilli. Si va in galera, con l'accusa di furto di energia elettrica e danneggiamento, in molti casi analoghi, o almeno agli arresti domiciliari, ma Krajewski è la longa manus di papa Francesco, mica un imprenditore qualsiasi assediato dai debiti, e dunque potrebbe godere dell'immunità, se si appurasse che l'azione è stata ideata in Vaticano. In ogni caso, quello che è certo è che, nonostante 320.000 euro di morosità, gli attivisti di Spin Time Labs possono continuare tranquillamente a utilizzare l'energia elettrica per le loro attività, alla faccia di chi per pagare le bollette di casa o dell'azienda fa i salti mortali. Cosa accadrà, infatti adesso? Semplicemente niente, o meglio: niente che non sia stabilito dall'Autorità giudiziaria. Areti, la società di Acea che gestisce la rete di distribuzione dell'energia elettrica, e che aveva apposto i sigilli alla cabina, ha presentato un esposto in Procura non solo in relazione alla violazione degli stessi sigilli, ma anche al fatto che chi si è reso responsabile di questo gesto, che sia l'elemosiniere o chi per lui, non ha certamente seguito le complesse norme che regolano questo tipo di interventi, e che quindi non è certo se ora lo stabile sia da considerarsi in sicurezza. Areti non può fare nulla che non sia autorizzato o sollecitato dalla magistratura: la palla è nelle mani della Procura di Roma. Stesso discorso anche per quanto riguarda Hera Comm, la società di distribuzione di energia elettrica che materialmente ha tra i suoi clienti il proprietario dello stabile occupato, e che aveva chiesto ad Areti di procedere al distacco per morosità. Nessuno può fare niente, quindi, se non su ordine della magistratura, e quindi gli attivisti di Spin Time possono continuare a organizzare i loro eventi grazie alla mano santa di Krajewski. Lo Spin Time Labs, infatti, è un bel business: in quell'edificio si mangia, si beve, si balla e si festeggia allegramente, e rigorosamente a pagamento. Basta uno sguardo al calendario degli appuntamenti e alle pagine social di Spin Time Labs per imbattersi, ad esempio, in un bel manifesto di un evento che certamente avrà riempito di orgoglio il buon elemosiniere: il «Genderotica Party», che nel maggio del 2015 fece furore nello stabile occupato. «Contaminazioni di arte queer», si legge nella descrizione della serata, ancora disponibile in rete, dove per queer, leggiamo da gay.it, si intendono «quelle persone che non vogliono identificarsi in un'etichetta. Insomma non vogliono affermarsi come gay, etero o altri generi. Con il termine si rinuncia a identificarsi e a indicare un orientamento sessuale». «Quest'anno», si legge ancora nella presentazione dell'evento, «parleremo ancora più esplicitamente di erotismo, pornografia, Fem, Trans, Sex Workers, femminismo, desiderio». Premesso che ciascuno nella sua vita può scegliere come, dove, quando e con chi divertirsi, non ci sembra un manifesto in linea con le posizioni della Chiesa cattolica, ma all'elemosiniere evidentemente poco interessa. Altro evento in cartellone, lo scorso ottobre, una bella serata in onore di Mediterranea Saving Humans, la Ong protagonista di numerosi «salvataggi» di immigrati e dei conseguenti bracci di ferro con il governo, alla quale ha partecipato Sandro Metz, armatore della nave. Agli appuntamenti più ludici, come le serate musicali e i concerti, si accede pagando un biglietto, che gli organizzatori definiscono «sottoscrizione», da 5 o 10 euro. Fa ridere osservare i listini prezzi dei menu dell'osteria Spin Time, che somigliano a quelli di un ristorante turistico: cozze alla tarantina 4 euro, spaghetti ai frutti di mare 5 euro, baccalà in umido con patate 7 euro (un po' caro, ma si sa, i compagni che okkupano hanno il palato fine),un bella birra italiana da 66 cl 3 euro (caruccia anche questa, ci vorrebbe un po' di attenzione ai bisognosi); esagerati poi i 6,5 euro chiesti per un panino con hamburger. Interessante quello che si legge nella presentazione del Rave Party che si è svolto dalle 16 dello scorso 30 aprile all'alba del 1° Maggio: «Oltre 40 concerti», si legge, «a un prezzo popolare e altissima qualità artistica. Intervenendo sosterrai l'orchestra notturna clandestina, e l'attività di rigenerazione del nostro auditorium santa croce. Puoi acquistare qui i tagliandi di ingresso a meno di un euro a concerto! L'acquisto dei biglietti», aggiungono gli organizzatori, «si intende in forma di donazione a sostegno delle attività artistiche dell'orchestra notturna clandestina, e per tanto non soggetta a tassazione e ad alcun genere di fiscalità». Niente tasse di nessun genere, per la gioia dell'elemosiniere.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/party-gender-e-concerti-rave-nel-palazzo-occupato-e-miracolato-dal-cardinale-2637219289.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-guardie-svizzere-improvvisate-pronte-a-difendere-lindifendibile" data-post-id="2637219289" data-published-at="1765624672" data-use-pagination="False"> Le guardie svizzere improvvisate pronte a difendere l’indifendibile Ormai tutti conoscono le gesta dell'atletico elemosiniere vaticano. Ma l'aspetto più surreale della vicenda è che il cardinalone elettricista sta godendo dell'assistenza (qualcuno in forma di sostegno proclamato, qualcun altro fischiettando e facendo finta di non essersi accorto di nulla) di tutto un mondo cosiddetto (o sedicente) liberale e laico. Da bersaglieri a Porta Pia a guardie svizzere in divisa multicolore. Da sempre, c'era stato uno schieramento di personalità, giornali, aree culturali e politiche, che avevano fatto dello spirito laico una bandiera: chi con modalità un po' da mangiapreti, chi - in spirito liberale e tocquevilliano - riconoscendo la piena facoltà di intervento delle confessioni religiose nella dimensione pubblica e nella società, ma - ecco il punto - senza privilegi né agevolazioni fiscali. La novità è che, tranne rare eccezioni - ormai conteggiabili su poche dita di una sola mano di un grande mutilato - quel mondo è sparito in questi giorni. Avevano lezione di judo? Di pilates? Avevano finito i giga sul telefonino per twittare e postare? Prima o poi qualcuno di costoro, in omaggio a papa Francesco, finirà pure per sfoggiare un accento vagamente argentino. Non risultano ad esempio sui suoi profili social dichiarazioni di Emma Bonino, oggi pupilla del Pontefice, ma un tempo favorevole all'abolizione del Concordato. Il suo collega Benedetto Della Vedova, ad Agorà su Rai 3, dopo aver precisato (bontà sua) che «le bollette si pagano», ha spiegato che «se deve scegliere tra Casa Pound e gli inquilini di Spin Time», difenderebbe questi ultimi. Insomma, c'è occupante e occupante. Prevale un certo silenzio - a meno di nostri errori - anche nel resto della galassia radicale. Allora si potrebbe essere indotti a cercare soddisfazione nel mondo più liberista, sensibile per definizione alla proprietà privata. Macché, Oscar Giannino sciorina un elenco (Antigone, Socrate, John Hampden, Henry Thoreau, Gandhi, Martin Luther King e Hannah Arendt): tutti convocati per spiegare che la «disobbedienza civile è un fondamento essenziale della civiltà occidentale». Non risulta però che le figure citate avessero bollette dell'Acea insolute o organizzassero attività commerciali in locali occupati. Risulta semmai che, per vertenze un tantino più significative, si autodenunciassero preventivamente, perché la disobbedienza civile è una cosa seria. E il resto dei giornaloni di tradizione laica? Un tripudio per il cardinale. Al quale si sono aggregati anche altri: Giuliano Ferrara si è entusiasmato per «il porporato che discende agli inferi per guadagnare un pezzo di paradiso illuminato», e «parla con la lingua di fuoco che sola può battere i demagoghi». Lo scavalca Adriano Sofri, che ci rende partecipi del suo «intimo rimpianto di non essere sceso in quel tombino». «Meraviglioso», esulta Nicola Zingaretti. Tutti asserragliati nel tombino. Si uniscono al fan club del cardinalone pure i giuristi, che per anni avevamo sentito parlare di «legalità». Ma ora sono lì ad arrampicarsi sugli specchi per giustificare un reato (la rottura dei sigilli) che si applica a un altro reato (l'occupazione abusiva). Paolo Maddalena, già vicepresidente della Consulta, è sulle barricate, come racconta La Repubblica: «Questa gente non è abusiva, perché quando c'è uno stato di necessità uno cerca di salvarsi». Pure lui stila le classifiche tra occupanti buoni e cattivi: «Per Casa Pound no, il discorso non vale: non ha alcun diritto a occupare perché non sono poveri ma politici, si pagassero le loro cose e non usufruissero dei beni di tutti gli italiani. Quelli di Casa Pound hanno torto marcio». Nella rincorsa, il giudice ci fa supporre che la proprietà privata sia già stata abolita: «I centri sociali occupano luoghi abbandonati che non possono esistere perché con l'abbandono del luogo viene meno la proprietà privata del titolare e diventa della comunità. Può dunque essere assegnata ai centri sociali, a persone che non siano associazioni a delinquere. La legge che ha impedito l'approvvigionamento di acqua e luce non è costituzionale, quindi padre Konrad non ha commesso alcun reato». Stessa tesi anche per un altro ex presidente della Corte, Cesare Mirabelli: «I cardinali che commettono un reato in Italia, non riferibile alla funzione di governo della Santa Sede, sono perseguibili. Se però l'atto viene compiuto per “stato di necessità" non può essere punito». Brillante trovata, questa dello «stato di necessità»: chissà che non venga in mente pure a un rapinatore di giustificarsi così.
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Riduci
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Riduci
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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