2020-11-05
Parte la sfida italiana a «Game of thrones»
Il regista Matteo Rovere durante le riprese di Romulus
In onda domani su Sky Atlantic la prima puntata di «Romulus», l'attesa serie di Matteo Rovere che rilegge il mito delle origini di Roma senza nasconderne violenza e brutalità. Ma soprattutto celebra la grandezza di cui sa essere capace il nostro cinema.Una mitologia mediterranea, che possa contrapporsi alla mitologia celtica così come l'hanno raccontata le più grandi produzioni anglosassoni. Romulus, primo progetto televisivo di Matteo Rovere, è nato dalla volontà di addentrarsi in un territorio impervio, che il cinema raramente ha saputo o voluto raccontare. La serie televisiva, al debutto su Sky Atlantic nella prima serata di domani, non è, infatti, la mera trasposizione del mito legato alla fondazione di Roma, ma il tentativo di ricostruire quel che è venuto prima. Nell'VIII secolo a.C., quando «la triade pre-capitolina, il culto di Giove, di Marte e Quirino, l'adorazione di Vesta e Giano costituivano una cosmogonia propria, dove il rapporto dell'uomo con la divinità era determinato dal volo degli uccelli, dall'esame delle viscere animali».Matteo Rovere, a Romulus, ha cercato di restituire brutalità e realismo, perché, ha detto, «lo spettatore è stato abituato a conoscere il mondo antico come patinato e pulito, popolato di personaggi bellissimi che con il tempo passato hanno poco in comune». I dieci episodi, la cui materia è simile a quella che il regista ha trattato ne Il primo re, sono, perciò, dominati da una violenza cruda, a tratti respingente. La serie, codiretta insieme a Michele Alhaique e Enrico Maria Artale, è il racconto di padri costretti a seppellire vive le proprie figlie, di nipoti chiamati a mutilare i propri nonni. È la descrizione di riti iniziatici, di misticismo e paure, ed esistenze appese all'interpretazione arbitraria di fenomeni naturali: della pioggia e della carestia che della serie è preludio.Romulus si apre ad Alba, dove Numitor, re della Lega Latina e dei trenta popoli che ne sono parte, è chiamato a rispondere di una penosa assenza d'acqua. Non piove, sui terreni della Lega. Gli animali muoiono, i campi sono aridi, il popolo piange, e Numitor gli deve risposte. Le vestali dicono sia inviso agli dèi e perciò debba pagare, come rito impone. Sono i nipoti gemelli, Yemos ed Enitos, a doverlo mutilare, accecandolo con il fuoco prima di condannarlo all'esilio. E sono i nipoti gemelli a dovergli succedere, prendendo le redini della Lega Latina e della città di Alba, agitata, però, da lotte intestine.Yemos ed Enitos, in Romulus, saranno spodestati dallo zio, Amulius, e confinati all'interno di un bosco dove un altro gruppo, quello dei Luperci, deve disperatamente trovare di che sopravvivere. I Luperci sono gli iniziati della città di Velia, ragazzi obbligati, nel passaggio all'età adulta, a dimostrare il proprio valore vivendo sei mesi all'interno di luoghi ostili, popolati di lupi e della signora che si crede governarli, Rumia. Sarà Yemos, interpretato da Andrea Arcangeli, ad intrecciare il proprio destino con il più misero dei Luperci, lo schiavo Wiros (Francesco Di Napoli), convincendolo a stravolgere l'ordine costituito per seguire Rumia e i propri adepti nel sogno di una città capace di sfidare ogni potenza.«Non abbiamo l'ambizione di essere storici o sociologi», ha dichiarato Guido Iuculano, sceneggiatore della serie, rifiutando ogni legame con la modernità. «Quel che raccontiamo in Romulus è il potere, colto nella sua progressione. Una sua interpretazione passatista, arcaica lascia spazio, alla fine dei dieci episodi, allo slancio delle nuove generazioni, ad un potere che sappia guardare al futuro», hanno detto gli sceneggiatori, certi che non sia il mondo, prigioniero dell'eterno ritorno dell'uguale, ma la natura degli esseri umani, «che faticano a cambiare». «Romulus è la genesi di un sistema d'ordine che gli uomini si danno perché la loro società possa progredire. La complessità del contemporaneo può restituirci un quadro simile», ma fornire messaggi - siano politici, sociali oppure morali - a chi guardi non è l'obiettivo della serie, che, recitata interamente in prolatino, vorrebbe piuttosto ricordare all'Italia la grandezza, storica e produttiva, di cui sa essere capace.«Con questa serie, abbiamo posto una sfida complicata al contesto produttivo italiano. Abbiamo, in Italia, maestranze molto capaci. E, spesso, sono le grandi produzioni internazionali a venire da noi per sfruttare il nostro talento. Vorremmo che la nostra industria potesse fare un percorso inverso, usando i propri talenti per realizzare storie italiane», ha detto Rovere, la cui Romulus è stata già definita come la risposta nostrana all'epica fantasy di Game of thrones. «Benché io non abbia usato codici statunitensi ma europei, sono lusingato dal confronto», che una sua ragion d'esistere può trovare nella lotta al potere, in una società divisa in dinastie e condannata ad un'eterna «ibridazione tra città e natura», all'attaccamento paranoico ai propri oracoli, alla paura del trascendente e del suo manifestarsi ferino.
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