
Moscovici inizia il pressing per una manovra correttiva che dimostri il flop del governo Intanto i mercati, assieme alla vigilanza Bce, possono creare problemi ai nostri istituti.Il governo Conte deve forse ringraziare la brutale iniziativa «diplomatica» della Francia: permette, per una giornata almeno, di svaccare un po', riecheggiando - in farsa - le «cuginanze bastarde» di qualche anno fa (80 giusti). E di oscurare relativamente la pesante revisione effettuata dalla Commissione europea sul Pil 2019 dei Paesi membri, che dà ufficialmente il «la» a una raffica di mesi ad alta temperatura per l'Italia.Il cammino verso le elezioni europee (23-26 maggio prossimi) finisce fatalmente per riportare al centro del villaggio il tema dell'interesse nazionale. Tema sull'interpretazione del quale è ovviamente legittimo dividersi (dicesi «politica»), ma nel nostro Paese lo scontro tra governo e opposizioni porta il primo a ribaltare quasi a prescindere qualunque posizionamento precedente (Francia, Europa, Tav, eccetera), le seconde a dare l'impressione di tutelare più gli interessi degli altri Paesi che il proprio. Motivo per cui la preoccupazione non è peregrina. Ieri la Commissione Ue ha divulgato la correzione delle stime fatte in novembre. Come largamente atteso, l'annunciata frenata dell'economia globale sposta al ribasso le stime delle istituzioni comunitarie: in poco più di due mesi, il Prodotto interno lordo stimato per il 2019 scende per l'Unione a 27 dal 2% all'1,5%; quello dell'eurozona dall'1,9% all'1,3%. Il nostro scarto è radicalmente più alto: dall'1,2% allo 0,2%, probabilmente trainato da una Germania che potrebbe essere entrata in recessione tecnica a fine 2018.Quanta «politica» c'è in questo dato? Quanto è l'applicazione di modelli econometrici e quanto una «vendetta» della Commissione con cui l'Italia si era scontrata negli ultimi mesi dello scorso anno, fino ad arrivare al 2,04% di rapporto deficit/Pil (un dato che sicuramente verrà alterato nell'anno in corso)? Essendo stime, non esiste una risposta. Il dato è che il balletto ricominciato ieri dopo la rumba autunnale (spread ai massimi da due mesi, Borsa giù del 2,6%) fa capire cosa può realisticamente attendere non tanto il governo ma il Paese nei prossimi mesi. Due le forche caudine sotto le quali rischiamo di passare: la prima si chiama manovra correttiva, l'altra banche.Da giorni rimbalza l'ipotesi che, in caso di conferme di dati negativi sul Pil, una correzione dei conti (leggasi: tagli di spesa, o più tasse) potrebbe rendersi necessaria. È un messaggio che la Commissione Ue oggi nulla ha fatto per smentire: anzi, l'aver esplicitamente collegato le stime italiane sia alla politica del governo sia alla congiuntura economica globale è un modo per mettere all'angolo i gialloblù. Anche la considerazione negativa delle due misure simbolo (già contestate in fase di trattativa Stato-Ue), con l'ironia sulla «espansione keynesiana» che non sembra produrre frutti, fa capire che politicamente la pressione sull'Italia si farà spessa.La ricetta europea non è neutra e, a poche settimane da un voto che può cambiare le prospettive personali e le carriere dei commissari, far comprendere agli elettori che i governi «populisti» non sono in grado di mantenere le loro promesse, e anzi provocano danni ai loro Paesi e alle tasche dei loro elettori, è per molti un obiettivo. Stando alle reazioni di ieri, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, hanno allontanato lo spettro di una manovra correttiva: il secondo ha respinto la definizione di «recessione», ma da qui alle raccomandazioni che la Commissione farà per i singoli Paesi continuerà a filtrare lo spettro di una stretta dei conti, anche in ragione dei meccanismi di controllo introdotti in manovra per sorvegliare gli effetti finanziari dei provvedimenti principali.Per ora, come detto, il governo tiene il punto. Anche perché una stretta fiscale in un Paese con i redditi stagnanti, l'occupazione sopra il 10%, consumi asfittici e salari moribondi avrebbe effetti prociclici socialmente quasi impossibili da gestire. Soprattutto per il «governo del popolo». Emerge intanto la contraddizione di chi ha combattuto perché l'Italia limasse punti di deficit e ora piange la carenza di investimenti pubblici. Da questo punto di vista, il governo è atteso da una sfida radicale e complessissima, dove muoversi in modo goffo può complicare in maniera irreversibile le cose: Fmi e Commissione Ue, con le attuali regole dell'euro, non possono che predicare tagli di spesa in caso di peggioramento dei conti. Cambiare questo stato di cose richiede alleanze, metodo, strategia.Su tutto poi incombe un altro rischio - la seconda forca caudina: lo spread. Già a novembre e dicembre la Commissione puntava esplicitamente sulla reazione dei mercati per «disciplinare» l'Italia. E qui le conseguenze di una situazione fuori controllo, in assenza di interventi della Bce, si scaricherebbero nel medio-lungo periodo sia sui conti pubblici sia sul capitale delle banche. I nostri istituti più grandi in questi giorni hanno presentato conti decisamente buoni, ma un combinato disposto dato dal differenziale dei titoli e da strette sulle garanzie chieste dalla vigilanza Ue sarebbe problematico. Per cambiare il quadro serve lavorare in silenzio e avere alleati. Vista la giornata di ieri, forse è meglio guardare verso Berlino che verso Parigi.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.