2022-07-03
Parola di competenti. Che non hanno capito
Chi governa non ha minimamente previsto la crisi che ci ha travolto. Se Mario Draghi a Pasqua ripeteva che «non siamo in recessione», a gennaio Christine Lagarde vaticinava che l’inflazione sarebbe calata. Pure il Nobel Paul Krugman l’ha bollata come «fenomeno passeggero».Ma alla fine chi è il «competente»? È quello che ti spiega (dopo) quello che lui non aveva capito (prima), o per lo meno, se l’aveva compreso, non aveva esplicitato e meno che mai drammatizzato. Fa un certo effetto rileggere oggi l’intervista di Pasqua (17 aprile scorso) rilasciata da Mario Draghi al direttore del Corriere della Sera. La cosa curiosa è che, alla lettera, la parola «inflazione» non compare né nelle domande né nelle risposte: come vedremo, c’è solo un riferimento al «costo delle bollette». Ma tutta l’intervista è improntata a una generale attenuazione dei problemi. Preoccupazioni energetiche per l’inverno? «Siamo ben posizionati (…). Se anche dovessero essere prese misure di contenimento, queste sarebbero miti». E a seguire riferimenti minimalisti ai condizionatori e alla temperatura del riscaldamento nelle case, come se non ci fosse un gigantesco problema legato al possibile collasso del nostro sistema produttivo. Interventi ulteriori sul costo delle bollette? «È nostra intenzione fare di più». Il quadro economico? «Non siamo in recessione, ma c’è un rallentamento nei primi due trimestri». Quanto ai cittadini, Draghi riserva loro parole quasi da training motivazionale: «Abbiamo fatto molto e lo abbiamo fatto insieme. Dovremmo tutti avere la forza di dire agli italiani: guardate cosa avete realizzato in questi quattordici mesi. Penso alle vaccinazioni, alla crescita economica che abbiamo raggiunto nel 2021, al conseguimento degli obiettivi del Pnrr». Rileggendo oggi, spariscono, o per lo meno rimangono pallide e indistinte, tutte le incognite di questi mesi e dei prossimi: la pesante battuta d’arresto della crescita; il rincaro verticale di energia e materie prime; la silenziosa ma ininterrotta sequenza di fallimenti e chiusure; la drammatica contrazione dei consumi e della domanda interna.In compenso, c’è chi ha fatto molto peggio di Draghi. Ecco la mitica Christine Lagarde, guida della Bce, in una dichiarazione del 20 gennaio 2022. Titolo della Stampa: «Inflazione. Lagarde, nel 2022 si stabilizzerà e calerà. Non agiremo come la Fed». E nel corpo dell’articolo: «Pensiamo che nell’anno 2022 (l’inflazione, ndr) si stabilizzerà e calerà. Calerà meno di quanto noi e tutti gli economisti avevano previsto, ma calerà». Concetto ribadito il 21 gennaio dalla stessa Lagarde: «Nonostante l’inflazione sia arrivata al 5%, non ci aspettiamo una dinamica durevole che porti la crescita dei prezzi fuori controllo, e non penso che raggiungeremo mai i livelli degli Stati Uniti». La governatrice Bce era fissata con l’idea della transitorietà dei rincari: pure in una sua conversazione tv di qualche mese prima nel programma Che tempo che fa, a fine novembre 2021, aveva detto: «La corsa dell’inflazione scomparirà, è un fenomeno temporaneo causato dal Covid». E per mesi, per tantissimi, il mantra era proprio l’«inflazione fenomeno passeggero». Tra i sostenitori della tesi c’era Paul Krugman: secondo il Nobel, una delle cause transitorie della fiammata era legata all’abitudine, presa durante la pandemia, di spendere più in prodotti e meno in servizi (esempio: mi compro una cyclette anziché abbonarmi a una palestra), e un’altra causa più «macro» andava ricondotta alla crisi dei commerci mondiali. Ma, secondo Krugman, tutto sarebbe passato. Ecco il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire (11 febbraio 2022): «Per la fine del 2022 dovremmo avere un’inflazione più bassa di quella attuale». Qualche mese prima (ottobre 2021) si era iscritto a questa stessa scuola di pensiero l’ex ministro Domenico Siniscalco, in un intervento su Repubblica dal significativo titolo: «L’inflazione non ci minaccia». Ecco il passaggio chiave: «Vi è (…) motivo di ritenere che questo shock, in pieno svolgimento, sia intenso ma temporaneo». Chiude questa rassegna una delle molte dichiarazioni ottimistiche rilasciate dal ministro Renato Brunetta, che ancora a fine gennaio 2022 parlava di «boom economico» in corso. Ecco una nota del 29 gennaio: «Lunedì l’Istat ufficializzerà il dato sulla crescita del Pil e formalizzerà, così, un anno da vero e proprio boom economico per il nostro Paese. La crescita nel 2021, presumibilmente, sarà del +6,5%: un risultato strepitoso». Va dato atto a Brunetta, in quella dichiarazione, di aver evocato l’inflazione e pure la situazione tesa in Ucraina (si era prima della guerra). Eppure, nonostante tutto, il ministro vedeva rosa: «Pur in presenza di tensioni inflattive, soprattutto nel mercato dell’energia, della situazione geopolitica in Ucraina, e considerando gli effetti della quarta ondata della pandemia che sembra si stiano gradualmente affievolendo, l’effetto trascinamento della crescita del 2021 sul 2022 garantirà uno slancio più che positivo per l’anno in corso (…)». Conclusione: «La resilienza mostrata dall’economia italiana negli ultimi mesi e la strategia messa in atto dal governo Draghi ben depongono anche per il 2022 e possiamo ragionevolmente prevedere una crescita per quest’anno oltre il +4%». Diranno i laudatores dei «competenti» che le nostre obiezioni sono intellettualmente disoneste, perché prendono in esame anche alcune dichiarazioni rilasciate prima del 24 febbraio, cioè prima dell’invasione russa dell’Ucraina, che ovviamente ha modificato il quadro economico. E che la guerra e la crisi energetica siano state un potente acceleratore, non è ovviamente in discussione. Tuttavia, se c’è qualcosa di intellettualmente disonesto, è addebitare solo alla guerra queste tendenze, che si erano manifestate ben prima (poi naturalmente il conflitto ha peggiorato tutto). A causare l’impennata dell’inflazione sono stati, da una parte e dall’altra dell’Atlantico, i megastimoli governativi, uniti all’ambientalismo esasperato e alla pretesa di puntare sul green (aumentando la domanda delle materie prime per la relativa componentistica). I segni di tutto questo erano riscontrabili almeno dall’autunno scorso. Ma non ditelo ai nostri competenti, che - adesso - sono troppo impegnati a impartirci nuove lezioni.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)