2025-05-30
Paradosso Gentile: protettivo verso l’antifascismo, ucciso perché fascista
A 150 anni dalla nascita, la cultura italiana non ha ancora fatto i conti con il grande filosofo. Attaccato in vita dagli integralisti del regime che lo consideravano moderato. Ma anche da cattolici, conservatori e dissidenti.La cultura italiana torna sul suo peccato originale, il rapporto con Gentile e il suo delitto. E torna sempre più spesso su Gentile come un conto in sospeso che grava sulla coscienza storica, civile e culturale del Paese. Se si cerca un punto d’inizio e d’incrocio tra la cultura e lo Stato, tra la filosofia e la politica, e tra il fascismo e l’antifascismo, il discorso deve riprendere da dove si è bruscamente, tragicamente interrotto: dall’uccisione di Gentile. Quello fu, sostengo da tempo, il parricidio rituale che l’Intellettuale collettivo compì per liberarsi del suo padre e dal suo patriarcato ingombrante. Ma non solo: ogni volta che in Italia parliamo di egemonia culturale o invochiamo il sostegno statale alla cultura, come nello Stato etico, il convitato di pietra, l’ombra che si allunga, è ancora quella di Gentile, sul piano storico e teorico.Sin da giovane, Gentile si pose due compiti: ripensare la filosofia italiana nella chiave dell’interventismo culturale e ripensare il legame tra pensiero e politica dopo Marx, attraverso una nuova filosofia della prassi. Era stato Marx a dire che la filosofia aveva, fino ad allora, interpretato diversamente il mondo e ora si trattava di trasformarlo. L’attualismo di Gentile partiva proprio da qui: l’essere coincide col divenire, il mazziniano «pensiero e azione» passa dalla congiunzione al verbo, pensiero è azione. Questo percorso si snoda dal suo saggio giovanile, La filosofia di Marx del 1899, quando Gentile ha 24 anni, all’ultimo suo saggio-testamento, Genesi e struttura della società, del 1943, che ha un sottotitolo eloquente: Saggio di filosofia pratica. Gentile vuole fondere pensiero e azione, umanesimo e lavoro, cultura e comunità nazionale. La critica che aveva rivolto a Marx è cruciale: il materialismo storico è una contraddizione in termini, dov’è il materialismo non può esservi storia, che è un processo spirituale e morale. Proprio Marx, nell’ideologia tedesca, aveva offerto a Gentile l’argomento-chiave che si ritorcerà contro di lui. Parlando della filosofia di Ludwig Feuerbach, Marx dice: «Fintanto che Feuerbach è materialista, per lui la storia non appare e, fin tanto che prende in considerazione la storia, non è materialista. Materialismo e storia sono per lui del tutto divergenti».Analisi perfetta, quella di Marx, c’è solo un per lui di troppo: materialismo e storia sono effettivamente divergenti, nota Gentile, dove c’è l’uno non può esserci l’altra. Da qui l’impossibilità di un materialismo storico, ma di qui anche la sconfitta a cui è destinato il comunismo da parte di un materialismo più compiuto, quello capitalista, individualista e consumista; come è avvenuto di fatto. Nella società occidentale il materialismo trionfa ma separato da ogni tensione storica, morale e spirituale. È un materialismo più dinamico, permissivo e seducente rispetto a quello inerte, repressivo e ingessato del regime comunista. La critica di Gentile a Marx è una spiegazione ante litteram del suo necessario fallimento.In tema di egemonia culturale l’intreccio tra l’italomarxismo e Gentile è evidente. Da tempo sostengo, e di recente lo ha sostenuto anche Massimo Cacciari, che l’egemonia culturale, prima di Gramsci, l’ha teorizzata e praticata Gentile da ministro, da promotore dell’Enciclopedia italiana e di altri istituti fondamentali della cultura italiana. È Gentile il primo a ritenere che la conquista del potere politico debba essere preceduta dalla conquista del potere culturale; una cultura che si fa storia, si fa prassi, che vuole educare gli italiani. È la missione del dotto, dall’idealismo in poi. Gramsci seguirà le sue tracce. La tesi di Gentile nasce dal confronto con la tradizione italiana, risorgimentale e mazziniana ma anche dal confronto con la linea socialista e marxiana. Prima di Gentile, la preminenza di Benedetto Croce non era finalizzata a un’egemonia culturale; Croce resta, secondo la definizione di Gramsci, il Papa laico della cultura italiana, ha un ruolo pontificale, letterario, non esercita una vera e propria egemonia politica-educativa. Con Gentile, invece, questo compito viene giustificato sul piano teorico e pratico e il suo liberalismo, incontrando lo Stato fascista, si fa disegno culturale e nazionale. Così, mentre Gramsci in carcere teorizzava l’egemonia culturale - che sarà poi messa in pratica da Palmiro Togliatti - Gentile (e dopo di lui Giuseppe Bottai), quell’egemonia culturale la stava già praticando. L’egemonia culturale di Gentile presenta, però, una gigantesca anomalia sia rispetto al regime fascista sia rispetto all’egemonia culturale marxista del dopoguerra. Gentile esercita una ben strana dittatura culturale durante il fascismo perché mai un filosofo al potere è stato così duramente e apertamente avversato come Gentile: lo attaccarono tutti, cattolici, liberali, antifascisti e fascisti; fu perfino dileggiato e criticato come nessun altro ministro e potente della cultura su giornali, riviste del regime, istituzioni. Fu attaccato dai fascisti e dagli integralisti perché considerato troppo liberale e moderato, dai cattolici perché laico, dai militanti fascisti perché troppo professore e troppo legato alle camorre accademiche; dai conservatori e dai tradizionalisti perché troppo socialista e «laburista», dai filonazisti e dai neorazzisti perché troppo borghese e benpensante. Il fronte antigentiliano fu esteso e composito molto più del fronte antifascista e non era affatto clandestino. Lo documentai ampiamente in un mio libro giovanile, La rivoluzione conservatrice in Italia (altri scritti ho, poi, dedicato a Gentile e al suo pensiero). Gentile fu emarginato non solo al tempo del Concordato del regime con la Chiesa ma anche dopo e ancor più al tempo della sciagurata alleanza col nazismo, a cui era avverso. Si riavvicinò al fascismo solo alla fine, accettando la nomina alla guida dell’Accademia d’Italia, giusto in tempo per riprendere la croce sulle spalle e farsi ammazzare perché predicava concordia in un Paese ormai irrimediabilmente diviso e lacerato. Il lato paradossale è che Gentile fu attaccato non perché avesse soffocato il dissenso antifascista ma, al contrario, perché concedeva spazi e protezione a studiosi ebrei e intellettuali antifascisti, tra cui molti firmatari del manifesto crociano contro di lui. Gentile esercitava un certo paternalismo autoritario, ma è davvero singolare una dittatura culturale in un regime dittatoriale così apertamente e vastamente contestata e così indulgente verso i dissidenti.Ma il meccanismo dell’ingratitudine è notoriamente perverso: la prima molla dei beneficiati è liberarsi di chi sei in debito di riconoscenza. E così Gentile, vituperato per essere stato poco fascista e troppo protettivo verso l’antifascismo, diventò il simbolo becero del fascismo e con sentenza di morte dell’Intellettuale collettivo, fu assassinato.
Nicolas Sarkozy e Carla Bruni (Getty Images)