2025-05-15
Ma il pontefice «apre» la Santa Sede: «A disposizione per le trattative»
Leone XIV, parlando alle Chiese orientali, ha auspicato una pace «giusta e vera» in tutte le zone di conflitto. Come Ratzinger, ha ribadito che c’è tanto bisogno di liturgia e di «custodire le tradizioni, non di annacquarle».Quello che forse è sfuggito nel discorso che papa Leone XIV ha tenuto ieri ai partecipanti al Giubileo delle Chiese orientali non è un dettaglio. Papa Prevost non si è semplicemente richiamato alla necessità della pace ricordando che la Santa Sede è «a disposizione perché i nemici si incontrino», ha sottolineato che il suo appello rimanda alla «pace di Cristo» che non «è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita».C’è una profonda radicalità teologica nel richiamo alla pace di papa Leone XIV, che si può cogliere nelle parole che ha riservato alla spiritualità delle Chiese orientali. In queste spiritualità, ha detto il Santo Padre, «il senso drammatico della miseria umana si fonde con lo stupore per la misericordia divina, così che le nostre bassezze non provochino disperazione, ma invitino ad accogliere la grazia di essere creature risanate, divinizzate ed elevate alle altezze celesti». È questo ruolo della grazia divina, che nasce ovviamente dall’accoglienza del dono della salvezza eterna, che permette di costruire la pace non solo «giusta, ma «vera» perché si radica nel cuore dell’uomo. «Dalla Terra Santa all’Ucraina, dal Libano alla Siria, dal Medio Oriente al Tigray e al Caucaso, quanta violenza!», ha ricordato il Papa. «E su tutto questo orrore, sui massacri di tante giovani vite, che dovrebbero provocare sdegno, perché, in nome della conquista militare, a morire sono le persone, si staglia un appello: non tanto quello del Papa, ma di Cristo, che ripete: “Pace a voi!”».C’è qui una prospettiva che è molto più profonda di chi tenta di tirare per la talare il Papa, soprattutto quelli che si preoccupano di far sapere che Prevost sarà una fotocopia di papa Francesco, ma poi sul tema della pace lo vorrebbero dalla parte dei volonterosi e meno equidistante. «I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano», ha detto papa Leone, «dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo». E, infine, «rifuggiamo le visioni manichee tipiche delle narrazioni violente, che dividono il mondo in buoni e cattivi». L’obiettivo qui non è quello di qualche interesse di bottega, ma solo e unicamente la pace.In mezzo ai conflitti in Medio Oriente, il Papa si è anche preoccupato di ricordare che «ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura». «E vorrei ringraziare Dio per quanti nel silenzio, nella preghiera, nell’offerta cuciono trame di pace; e i cristiani - orientali e latini - che, specialmente in Medio Oriente, perseverano e resistono nelle loro terre, più forti della tentazione di abbandonarle».Ma c’è stato un altro passaggio fondamentale nel discorso di ieri rivolto alla Chiese orientali e riguarda paradossalmente l’Occidente che, in questi primi giorni del nuovo Papa, sembra essere tornato nell’interesse evangelizzatore della Chiesa, dopo che con Francesco sembrava essere stato messo in secondo piano per rivolgersi di più verso le «periferie». Già nella sua prima omelia, quella nella Cappella Sistina con i cardinali, papa Leone XIV aveva chiaramente parlato di «contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui, a essa, si preferiscono altre sicurezze come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere». Contesti tipicamente occidentali. E ieri Leone XIV ha fatto un riferimento preciso dicendo alle Chiese orientali che «la Chiesa ha bisogno di voi», sottolineando «quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos), così tipici delle spiritualità orientali».Si tratta di parole che rimandano a quelle di papa Benedetto XVI che in più occasioni aveva richiamato la formula del «quaerere Deum», cercare innanzitutto Dio, per costruire una cultura autentica. È «il primato di Dio», cioè l’importanza di dare la precedenza alla preghiera, alla liturgia e alla relazione con Dio su ogni altro impegno.In tutto questo, un posto speciale lo ha la liturgia. «Abbiamo tanto bisogno», ha detto papa Leone XIV, «di recuperare il senso del mistero che rimane vivo nelle vostre liturgie, liturgie che coinvolgono la persona umana nella sua interezza, che cantano la bellezza della salvezza e suscitano un senso di meraviglia per come la maestà di Dio abbraccia la nostra fragilità umana!». Sul rapporto tra crisi della fede e il crollo della liturgia, Benedetto XVI aveva lavorato fin da cardinale, convinto com’era che «quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità: l’incontro con il mistero, che non è un nostro prodotto, ma la nostra origine e la sorgente della nostra vita».«Perciò», ha detto il Santo Padre ieri alle Chiese orientali, «è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista». Se la Chiesa, come diceva Giovanni Paolo II, deve respirare a due polmoni, quello orientale e quello occidentale, questo è ossigeno d’alta quota, in vetta, dove le cose si vedono con più chiarezza.
Il laboratorio della storica Moleria Locchi. Nel riquadro, Niccolò Ricci, ceo di Stefano Ricci
Il regista Stefano Sollima (Ansa)
Robert F.Kennedy Jr. durante l'udienza del 4 settembre al Senato degli Stati Uniti (Ansa)