2020-12-10
Pandemia, ora i pm puntano a Roma. Speranza in trincea continua a tacere
Nuovi dettagli sul report finanziato dal Kuwait e poi fatto sparire. L'Oms nega persino che sia stato pagato con i soldi dell'emiratoOrmai è chiaro: l'inchiesta, nata per approfondire eventuali responsabilità penali nella mancata istituzione della zona rossa nella Bergamasca, lo scorso marzo, sta scoperchiando diversi bubboni. Come quello del report realizzato dai ricercatori dell'Oms di Venezia, che demoliva il «modello Italia» e rivelava l'assenza di un piano pandemico aggiornato, ed è stato perciò fatto sparire da Ranieri Guerra, numero due dell'agenzia Onu, membro del Cts ed ex tecnico del ministero della Salute, responsabile proprio dell'adeguamento del piano. Più in generale, i pm hanno registrato l'impreparazione del dicastero e, quindi, dell'intero governo, dinanzi alla diffusione del coronavirus. L'ha riconosciuto il procuratore capo di Bergamo, Antonio Chiappani, intervistato ieri dal Corriere della Sera: «Questo ormai mi pare un dato acquisito. Finora abbiamo rilevato purtroppo che c'è stata tanta improvvisazione».È per questo che, presto, le carte potrebbero essere trasferite in altre Procure. Quella della città lagunare, per approfondire la questione della relazione occultata. Ma soprattutto, quella della Capitale, per accertamenti sul ruolo del ministero nel pasticcio sul piano pandemico. Eppure, dinanzi alla tempesta che si profila all'orizzonte, Roberto Speranza, che ha trovato il tempo per lamentarsi dei soli 9 miliardi destinati alla capitolo sanità nella bozza del Recovery plan, si trincera nel silenzio. Non ha nulla da dire, nulla da chiarire. È un po' il metodo adottato dal commissario Domenico Arcuri, che non solo non spiega, non solo non risponde, ma minaccia di querela chi gli fa le domande.Ieri, i magistrati di Bergamo hanno sentito anche l'ex generale Paolo Lunelli, che qualche giorno fa, alla Verità, aveva spiegato che con un piano pandemico aggiornato avremmo potuto salvare almeno 10.000 vite. Lunelli, in una relazione che sta per consegnare al comitato «Noi denunceremo», costituito dai familiari delle vittime del Covid, punta il dito - oltre che sulle direttive dell'Oms e sulle decisioni dell'Ue, alle luce delle quali dovevamo essere già pronti dal 2013 ad affrontare un'epidemia - sul Regolamento sanitario internazionale. «Si tratta di un accordo stipulato da 194 Paesi, tra cui il nostro, risalente al 2005 ed entrato in vigore nel 2007». Quel documento ci vincolava a sviluppare, entro il 2012, una serie di «capacità» per far fronte a disastri naturali, attacchi chimici e, appunto, pandemie. Ad esempio, il sistema di allerta precoce, in virtù del quale, non appena un ospedale riceve un paziente con una patologia sconosciuta e sospetta, si attivano misure per identificare la malattia ed eventualmente prevenire la diffusione di un agente infettivo ignoto. Visti i risultati, ben poco è stato fatto dal ministero: negli anni cruciali per lo sviluppo del piano pandemico, l'Italia non ha nemmeno svolto le autovalutazioni da trasmettere all'Oms. Tant'è che, a febbraio (con lo stato d'emergenza già dichiarato), i tamponi potevano essere effettuati solo su individui che avevano avuto contatti con la Cina. Lo hanno confermato il direttore dell'Asst di Seriate, nonché, in un'intervista a Repubblica di alcuni mesi fa, l'infermiera di Codogno, che di fatto individuò il paziente 1 violando i protocolli. Procedure imposte dalle circolari ministeriali, che a loro volta erano basate su indicazioni erronee dell'Oms. Fu questo, a ben vedere, uno degli errori della Lombardia (a paragone con il Veneto, dove Andrea Crisanti dispose test a tappeto a Vo' Euganeo): fidarsi dello Stato. A proposito dell'agenzia Onu. La Verità è in grado di riferirvi le ultime novità sul report redatto a maggio dal team di ricercatori di Francesco Zambon. Abbiamo infatti interpellato il dottor Ibrahim El Ziq, rappresentante del Kuwait (finanziatore del progetto) presso l'agenzia Onu. Volevamo sapere se, visto che ha investito 100.000 dollari per un documento durato 24 ore e poi ritirato, l'emirato volesse muovere rimostranze nei confronti di Ranieri Guerra. Curiosamente, El Ziq ha risposto di «non essere al corrente dei dettagli della questione»: strano, per quello che dovrebbe essere il country representative di quella nazione. Siamo stati così rimpallati all'ufficio stampa della divisione europea dell'Oms, che ci ha inoltrato una dichiarazione sibillina: «Siamo grati per i fondi procurati dal Kuwait. L'Oms all'inizio aveva pianificato di usarli a supporto del report (italiano, ndr), ma poi li ha stornati a sostegno dell'intra action review mechanism (un sistema di analisi per «guidare» gli Stati nel «condurre revisioni periodiche della loro risposta nazionale e subnazionale al Covid», come si legge sul sito dell'agenzia Onu, ndr) nei Paesi della Regione europea, Italia inclusa». In soldoni, l'Oms sostiene di aver dirottato il denaro che doveva servire a sovvenzionare il documento dei ricercatori di Venezia su un'altra iniziativa in Europa. Peccato che, nella pagina dei «ringraziamenti», inserita nel testo del team di Zambon, si legga: «Il report è stato supportato da una donazione del governo del Kuwait, senza la quale non sarebbe stato possibile» condurre la ricerca. Siamo arrivati a questo punto? L'Oms nega anche l'evidenza?
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco