
Consulenze, gettoni di presenza, affidamenti diretti e una sede contaminata da gas radioattivo e amianto. Ora i vertici del Crea sono finiti ai domiciliari per irregolarità nella gestione degli immobili a Roma.Doveva diventare l'hub della ricerca in agricoltura, con otto centri di ricerca, 25 unità territoriali, sette sedi distaccate, sei sedi dell'ex Ente nazionale sementi elette, 19 sedi regionali dell'ex Istituto nazionale di economia agraria e numerose aziende. Il Crea, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (il principale ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari, vigilato dal ministero delle Politiche agricole), di scoperte nel corso degli ultimi anni ne ha fatte molte, tanto da intestarsi oltre 200 brevetti per novità vegetali. Le entrate più significative arrivano dai finanziamenti del Mipaaf e dai contributi provenienti dalle Regioni tramite i Piani di sviluppo rurale. Il Mipaaf, ad esempio, ha finanziato 35 progetti di ricerca per la maggior parte ad affidamento diretto, su tematiche di interesse nel settore agroalimentare, forestale e della bioeconomia. I contributi erogati da parte di altri ministeri riguardano il Miur, con tre progetti, per un importo totale di 227.000 euro, e il ministero della Salute con un progetto sulla celiachia. Le Regioni e altri enti locali ne hanno finanziati ben 75. Una grossa fetta arriva anche dall'Unione europea che ne ha sostenuti 20, per un totale di 3.865.489 euro.Con i suoi 2.000 dipendenti, tra ricercatori e tecnologi (in maggioranza) e funzionari amministrativi, è una falange macedone della ricerca in agricoltura. Ma a che costo? A sbirciare nei bilanci si apprende che i vertici dell'ente ricevono compensi di tutto rispetto: 170.000 per il presidente, 30.000 per ciascuno dei consiglieri di amministrazione, 24.000 per il presidente del collegio dei revisori dei conti e 20.000 per ciascun revisore (per i quali è previsto anche un gettone di presenza di 103 euro a seduta), 5.000 euro, infine, per ciascun componente del consiglio scientifico (di recente introduzione). La spesa per il personale ammonta a oltre 102 milioni di euro, compresi i compensi per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. L'ente ne ha diversi. E investe soprattutto nei ricercatori esperti nella selezione e nello studio dei semi. Ma non solo. Per rendere operativa l'Unità di ricerca per la floricoltura e le specie ornamentali, ad esempio, sono stati spesi in consulenze oltre 70.000 euro. E, così, pur essendo zeppo di ricercatori, il Crea, che come la gran parte degli enti pubblici non è esente dalle classiche contraddizioni da carrozzone, ricorre all'esterno, spesso percorrendo anche strade sdrucciolevoli o pericolose. E, in nome della spending review, che è l'incipit della delibera con la quale il Crea ha deciso formalmente di sondare il mercato per l'acquisto di una nuova sede romana, vengono avviate le ricerche. «Un immobile selezionato in modo informale, pagato a peso d'oro, contaminato da radon e amianto (...)», ricostruì il Fatto Quotidiano. Non ritenendo che esista un immobile pubblico adatto per le 400 persone da sistemare nella sede centrale, la selezione della nuova sede viene affidata al direttore generale dell'Ente, Ida Marandola. Il prezzo di acquisto dell'immobile ammonta a 55 milioni di euro. E si opta per l'affitto con finalità di riscatto. La procedura, stando ai documenti ufficiali, è questa: il direttore generale fa un giro sul Web tra i siti delle agenzie e poi fa una richiesta informale, tramite email, a nove operatori, per un palazzo tra i 9.000 e i 12.000 metri quadrati. Otto proposte ricevute vengono ritenute non adeguate. La scelta ricade su un palazzone in via Po 14.L'affare ha un costo di oltre 3 milioni annui di affitto, per una superficie ragguagliata (ossia comprensiva di balconi scale, pianerottoli e altre aree) di 9.800 metri quadrati. E anche se ci sono problemi di radon (che è un gas radioattivo) e di amianto, che rendono inagibili alcuni locali, quella di via Po 14 si trasforma subito nella sede di rappresentanza del Crea. Lì c'è la testa dell'ente di ricerca. E lì il Crea avrebbe dovuto ricevere ministri e professoroni, anche di provenienza estera. Il risultato? Il Consiglio di amministrazione del Crea intenta una richiesta di risarcimento al fondo ex proprietario dell'immobile. Ma non è l'unico edificio che non riesce a incastrarsi bene nei bilanci dell'ente. La normativa vigente in tema di spending review impone agli enti pubblici la razionalizzazione degli spazi operativi, con particolare riguardo all'eliminazione dei fitti passivi. A febbraio 2018, alla vigilia della competizione elettorale che porterà all'insediamento del governo gialloblù, l'ente comunica alla sezione di controllo della Corte dei conti, che nel frattempo ha avviato un accertamento, «che restano attivi unicamente i contratti di locazione passiva delle sedi di Bagheria e di Palermo, del Centro di ricerca difesa e certificazione, della sede di Napoli e del Centro di politiche e bioeconomia». Dal Crea addolciscono la pillola sostenendo che i canoni sono stati ridotti nella misura del 15% rispetto agli originari. Ulteriore sede ancora detenuta con un contratto di godimento del tipo «Rent to buy», la formula dell'affitto con riscatto, è proprio quella dell'amministrazione centrale di via Po 14 a Roma. I giudici contabili scartabellano tra i documenti e mettono nero su bianco: «Il suddetto contratto prevedeva la possibilità per l'ente di esercitare il diritto di opzione all'acquisto dell'immobile entro il termine ultimo del 31 marzo 2018, opzione però che non risulta essere stata esercitata».Qualcosa non torna. Stando ai carteggi con i vertici del Crea, la Corte dei conti conclude che «l'ente starebbe comunque esplorando tutte le possibili alternative finalizzate all'individuazione di un immobile di proprietà immediatamente disponibile, da adibire a sede dell'amministrazione centrale». Ai giudici contabili viene riferito anche che è stata effettuata un'indagine su tutte le strutture di ricerca ricadenti nell'area romana, ma che non è stato individuato un immobile in grado di soddisfare il fabbisogno allocativo richiesto. «Sarebbe stata», i togati del la Corte dei conti non a caso usano la formula dubitativa, «avanzata richiesta all'Agenzia del demanio circa la disponibilità di un immobile, ma l'unico immobile proposto aveva caratteristiche tali da non soddisfare le esigenze manifestate». Insomma, il Crea non si accontentava. E allo stato attuale (la relazione della Corte dei conti è stata depositata il 2 ottobre 2018) «sarebbe in corso un'indagine di mercato, mediante avviso pubblico». Ci è voluta un'inchiesta approfondita della Guardia di finanza e della Procura ordinaria per scoprire il pasticcio. «Gravi irregolarità di gestione», le definiscono gli investigatori. Il direttore generale, Ida Marandola, e il presidente, Salvatore Parlato, sono finiti ai domiciliari. Con loro sono stati iscritti sul registro degli indagati anche due funzionari. Le accuse, a vario titolo, sono di peculato, abuso d'ufficio e falso. Il gip che ha privato presidente e direttore della libertà ha anche disposto il sequestro di beni per 8 milioni di euro. E sulla scelta della nuova sede è stato scoperchiato un pentolone: il direttore avrebbe indicato un numero di dipendenti superiore a quello reale e, così facendo, avrebbe avuto la possibilità di selezionare l'immobile sul mercato senza ricorrere a quelli demaniali a disposizione (come invece era stato dichiarato alla Corte dei conti). Nell'affidare i servizi di trasloco e facchinaggio, i contratti sono stati, secondo l'accusa, «artificiosamente frazionati» in modo da non superare la soglia oltre la quale è necessario ricorrere a gare pubbliche, in modo da poter scegliere le ditte che avrebbero poi effettuato i servizi.E agli indagati viene anche contestato di non aver ridotto - come previsto dalla legge sulla spending review -del 15% il canone d'affitto di due immobili, il che avrebbe consentito un risparmio per lo Stato di 700.000 euro. E infine, sostengono ancora gli investigatori, sono stati commessi abusi sia nella procedura di stabilizzazione di alcuni precari sia nel pagamento di prestazioni professionali a due collaboratori che, in realtà, non hanno svolto alcuna attività lavorativa. L'ultimo garbuglio amministrativo è stato risolto l'altro giorno. Il Crea si è sfilato dall'acquisto della sede del Parco tecnologico padano di Lodi. I progetti sul Lodigiano e il bando per la ricerca e la selezione di un immobile sono stati revocati «in via di autotutela», prima che anche questa operazione si trasformasse in un potenziale guaio giudiziario.
Ansa
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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