
Dai tempi di Mani pulite si è perso il senso della separazione tra i poteri dello Stato e la categoria si sente al di sopra di tutto e di tutti. E finora il Csm lo ha consentito. Per questo modificarlo è il cuore della riforma.Non so quanti siano i magistrati che ieri hanno aderito allo sciopero indetto dall’Anm. Tutti i sindacati gonfiano i numeri delle astensioni dal lavoro e quello delle toghe non fa eccezione, pena dover ammettere un fallimento. Ma che a incrociare le braccia sia stato il 50 per cento dei giudici o l’80 poco importa, perché è ovvio che la maggioranza dei membri di una corporazione chiusa come quella che amministra la giustizia è pronta a tutto pur di difendere i propri privilegi. E anche chi non è d’accordo con i motivi dello sciopero, per quieto vivere, per ragioni di appartenenza o di carriera, tace o si adegua, magari ricorrendo a qualche trucchetto per dichiarare l’adesione anche se è in tribunale. Lasciando perdere le percentuali, resta però un dato di fatto: e ora che i magistrati hanno scioperato che cosa cambia? La risposta è semplice: nulla. Le toghe si sono astenute per una giornata, facendo annullare un certo numero di udienze, ma la riforma cui si oppongono andrà avanti comunque, come ha ribadito ieri il governo, in quanto alle norme in discussione in Parlamento l’Anm non ha presentato alcuna proposta alternativa. Il sindacato dei giudici sembra anzi respingere l’idea che le Camere possano legiferare su materie che lo riguardano, come se gli unici titolati a fare una riforma della Giustizia fossero gli stessi magistrati. Di questo passo avremo gli insegnanti che pretenderanno di fare la riforma della Scuola, i medici quella della Sanità, gli architetti il testo unico dell’Edilizia. In pratica, un ritorno alle corporazioni, dove ogni categoria regola sé stessa. La realtà è che da Mani pulite in poi si è perso il senso non della separazione delle carriere (che pure piaceva a Giovanni Falcone), ma quello dei poteri dello Stato e molti magistrati ora ritengono di essere al di sopra di tutto, anche della legge. E forse lo sono, visto che la maggior parte delle azioni disciplinari avviate dal Csm si risolvono con assoluzioni o archiviazioni e la minoranza che si chiude con una condanna quasi sempre si limita a un buffetto, vale a dire una nota di biasimo. Il tema del funzionamento del Consiglio superiore della magistratura è ovviamente il cuore del problema. L’Anm ne difende il meccanismo a spada tratta, perché fin che l’organo di autogoverno resta così com’è a farla da padrone in fatto di carriere e sanzioni sono le correnti, ovvero le clientele. Il caso Palamara ha sollevato il coperchio delle trame e delle pressioni, ma nascondendosi dietro al dogma dell’autonomia e dell’indipendenza che consente di respingere qualsiasi interferenza esterna, il sindacato di categoria ha provveduto a mettere una pietra sopra qualsiasi tentativo di riforma. È ovvio che un Csm in cui a giudicare competenze ed errori sono le stesse persone che domani potrebbero essere nella scomoda posizione di essere giudicate non possa funzionare. Ma per i magistrati un Consiglio dove loro si autoassolvono non può subire modifiche.Che la Giustizia, in questo modo, vada sempre peggio non è argomento che li sfiori. Nessuno si pone il problema se la metà delle azioni penali finisce con assoluzioni o archiviazioni e se la maggior parte delle denunce finisce prescritta è sempre colpa di qualcun altro, degli organici, dei politici, dello Spirito santo, tranne che di chi la Giustizia la dovrebbe amministrare. E ogni volta, che si tratti di mandare avanti alla velocità di Speedy Gonzales una denuncia contro il governo o di indagare un carabiniere che ha sparato a un tizio che accoltellava i passanti, la scusa dell’obbligatorietà dell’azione penale è sempre lì a giustificare ogni cosa. In realtà l’obbligatorietà dell’azione penale non esiste: c’è semmai la discrezionalità, che però viene esercitata senza alcuna responsabilità. Nessuno ha il potere di giudicare un magistrato, chiedendogli perché le denunce per furto restino ferme sulla sua scrivania e quelle contro un personaggio famoso facciano passi da gigante. Nessuno può davvero ottenere una spiegazione sui ritardi di alcuni procedimenti. E neppure si riesce ad aver conto di come in alcune Procure le ingiuste carcerazioni siano maggiori che in altre, producendo risarcimenti che a volte sono dieci volte superiori a quelle di uffici giudiziari più piccoli.Ecco, queste sono le questioni a cui, invece di scioperare, dovrebbero rispondere i magistrati. Io non so se le separazioni delle carriere, la divisione del Csm e l’estrazione a sorte dei suoi membri cambieranno le cose. Tuttavia, sono certo che quella che oggi l’Anm difende è una Giustizia che si è condannata da sola, insieme alla reputazione della categoria.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





