2021-03-17
P2: quarant'anni fa la scoperta della lista segreta
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Licio Gelli, Venerabile Maestro della loggia P2 (Ansa)
Esattamente quarant'anni fa, il 17 marzo 1981, il tenente colonnello Vincenzo Bianchi e il maresciallo Silvio Novembre della Guardia di Finanza bussavano alla porta della ditta Gioele di Castiglion Fibocchi, in provincia di Arezzo. Erano stati mandati a perquisire la società di Licio Gelli dai magistrati milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone, che indagavano sul finto rapimento del banchiere siciliano Michele Sindona e sull'assassinio del giudice Giorgio Ambrosoli. Tra le carte, i militari ritrovano un elenco di 962 nomi di imprenditori, politici, industriali, militari. Erano i nomi degli affiliati alla loggia massonica segreta Propaganda 2, meglio nota come P2, un ramo - o «un'escrescenza» (come la definì' Giovanni Spadolini in un'intervista del 1984) - della Massoneria italiana che fu particolarmente attiva negli anni della strategia della tensione fino alla sua scoperta all'alba degli anni ottanta. Fare l'Italia ha un costo: la loggia "Propaganda" dalla nascita allo scioglimento del 1925 La storia della loggia Propaganda 2, associata a partire dalla sua scoperta del 1981 al nome del Venerabile Maestro Licio Gelli, affonda in realtà le sue radici nei primissimi anni dell'Unità d'Italia, e sarà attiva con il nome di "Propaganda" fino allo scioglimento della loggia nel 1925 per volontà del governo Mussolini. Le origini risorgimentali della loggia massonica Propaganda ruotano attorno alla figura e alle idee di uno dei padri dell'Unità d'Italia, Giuseppe Mazzini, e dell'eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi. Come è universalmente noto, fare l'Italia non significò soltanto realizzare l'ideale di una nazione che doveva essere unita, ma ebbe anche un notevole prezzo in termini di finanziamenti. Tra le diverse forze politiche -spesso in aperta contrapposizione- che concorsero ai fatti del Risorgimento un posto di primo piano fu giocato dal pensiero e dall'azione della visione laica e repubblicana di Giuseppe Mazzini. Dai moti alla Repubblica Romana il culto di Mazzini fu affiancato e supportato dalla Massoneria italiana e da influenti figure di riferimento nel reperimento dei fondi necessari alla rivoluzione. Il personaggio-chiave che compare sin dalle prime imprese di Mazzini è un livornese. Si chiamava Adriano Lemmi ed era diventato ricco e influente commerciando con il Medio Oriente. Fu proprio a Costantinopoli che conobbe quello che sarebbe stato il suo punto di riferimento nell'ideale dell'Italia unita: Giuseppe Mazzini, con il quale condivise l'esperienza della repubblica Romana e il conseguente esilio negli Stati Uniti, dove Lemmi incrociò una rete di relazioni con importanti personaggi della politica e della finanza che gli torneranno utili negli anni a venire. La propensione lobbistica particolare del commerciante, noto anche come il «banchiere della rivoluzione», si esplicitò già nel 1860 quando all'indomani dell'unificazione italiana andò oltre all'affermazione di D'Azeglio per la quale «fatta l'Italia bisognava fare gli Italiani». Fare l'Italia significava anche sviluppare e integrare le infrastrutture lasciate in eredità dai regni preunitari. Tra le infrastrutture più importanti e redditizie vi erano certamente le ferrovie, delle quali il meridione aveva particolarmente bisogno di uno sviluppo rapido. Fu così che Adriano Lemmi, non ancora affiliato alla Massoneria, chiese ed ottenne direttamente da Garibaldi e Mazzini la concessione dell'appalto degli appalti, in cambio di quanto dato per le battaglie del Risorgimento. Il banchiere toscano si mise in società con un altro finanziatore delle imprese di Garibaldi, il banchiere di San Giovanni alla Vena (Pisa) Pietro Augusto Adami, già ministro del Granducato e tra i finanziatori dell'impresa dei Mille. La società Adami-Lemmi (Società Italica Meridionale) dovette tuttavia fare i conti con l'altro «potere forte» della neonata Italia: Camillo Cavour. Quest'ultimo, che da sempre guardava alla Francia, si mise di traverso in quanto aveva accordi precedenti per le concessioni con il finanziere d'oltralpe Laffite. Dopo un compromesso raggiunto a colpi di attività lobbistiche e influenze sulla stampa, la soluzione temporanea fu trovata in una società a capitale misto italo-francese che tuttavia ebbe vita breve a causa delle difficoltà causate dalle rivolte nel meridione. La Adami-Lemmi riprese l'appalto ma solo quest'ultimo incassò profitti (spesso gonfiando gli appalti) mentre Adami perse tutto e si trovò a fare il magazziniere nel Monopolio dei tabacchi che nel frattempo Lemmi era riuscito ad ottenere sotto il governo Ricasoli. Già potente, Adriano Lemmi di lì a poco avrebbe sfruttato anche l'occasione offerta dal suo ingresso nella Massoneria, alla quale fu iniziato nel 1875, quando Roma era da poco capitale del Regno. Due anni più tardi, nel 1877, il Gran Maestro Giuseppe Mazzoni fondò la loggia «Propaganda» nata la fine di mantenere il segreto proteggendo gli affiliati più influenti del Grande Oriente d'Italia, giunti al numero di circa 150 da tutto il paese tra deputati, senatori, finanzieri, imprenditori. Lemmi vide nel nuovo conclave laico (che sostituiva quello dei cardinali della Roma papalina) una enorme opportunità di carriera e un mezzo per realizzare il sogno del suo mentore Mazzini. Come spiegato approfonditamente nel libro di Lucia Visca, Propaganda (Castelvecchi Editore) sarebbe tuttavia riduttivo considerare l'attività della neonata loggia segreta come una pura fucina di affaristi spregiudicati. Il nome stesso della congrega sottendeva in realtà la volontà di diffondere e di rendere pratiche le teorie laiche, repubblicane e fortemente anticlericali di Mazzini tramite una forte pressione lobbistica all'interno del Parlamento. Per questo motivo la loggia Propaganda fu particolarmente attiva sin da subito nel campo dell'informazione, dove l'azione più importante fu quella di controllare buona parte della stampa. Quindi non solo affarismo (di cui Lemmi fu maestro e modello più di un secolo dopo per Licio Gelli), propedeutico al finanziamento degli obiettivi della loggia, ma anche spinta modernizzatrice nel senso inteso dalla teoria mazziniana. Ciò si traduceva nel controllo dell'educazione in una guerra con la Chiesa che fino ad allora ne aveva mantenuto il monopolio. Fu proprio Adriano Lemmi ad attirare nella loggia "P" uno dei padri della letteratura e della poesia italiane, Giosuè Carducci, affiliato dal 1886. Con trecento deputati dalla sua parte, Lemmi scalò in fretta le vette della massoneria divenendo Gran Maestro del G.O.I. nel 1885 ed inaugurando quell'età dell'oro della Massoneria italiana che corrisponde agli anni dei governi guidati dal leader della sinistra storica Francesco Crispi, naturalmente anche lui massone. Fu in questo periodo che la loggia Propaganda si espanse e occupò tutti i gangli degli affari di Stato e nei sei istituti di credito autorizzati a battere moneta nel Regno d'Italia. Prese parte alla grande espansione edilizia di Roma dell'ultimo decennio del secolo XIX, spinta decisamente da Ernesto Nathan, una delle più importanti figure della massoneria (sarà sindaco della capitale dal 1907 e nel 1896 succederà a Lemmi come Gran Maestro). Fu durante gli ultimi anni del secolo, che coincisero con il declino di Crispi dopo il fallimento della politica coloniale, che per la loggia Propaganda e in generale per la Massoneria di origini risorgimentali iniziò un deciso declino. Fulcro della caduta fu il coinvolgimento nel primo scandalo bancario Italiano, nel quale figurarono molti affiliati alle logge tra cui lo stesso Adriano Lemmi. Strettamente legata alla politica crispina e al credito nell'espansione edilizia del periodo, la Banca Romana fu travolta dallo scandalo delle emissioni monetarie irregolari, con uno scoperto pesantissimo che ne causò il fallimento e il successivo riassesto da parte della neonata Banca d'Italia, creata per unificare gli istituti battenti moneta. La lista degli affiliati alla loggia "P" nello scandalo che portò l'età di Crispi al tramonto era assai nutrita. Dal punto di vista politico invece, la loggia "Propaganda" ed i suoi obiettivi dovettero fare i conti con un nuovo clima politico, in particolare con l'apertura alla partecipazione politica dei cattolici, svincolati dal vecchio "non expedit" di Pio IX e dalla presenza sempre più massiccia dei movimenti socialisti e operai che si affacciavano sulla scena politica del nuovo secolo, quando ormai le vicende risorgimentali e con esse gli ideali avevano fatto il loro tempo. Per la Massoneria italiana ciò significò la scissione e la dispersione tra chi favoriva l'ingresso (culminato con il patto Gentiloni del 1913) dei cattolici in politica e chi rimase fermamente e ferocemente anticlericale sulla scia dell'insegnamento di Adriano Lemmi. L'accordo con i cattolici risoltosi nel blocco elettorale liberale diede il colpo di grazia a Propaganda, perché i repubblicani espressione della Massoneria alle elezioni del 1913 rimasero inchiodati a soli 17 seggi. Il potere politico delle logge era quasi svanito, mentre i nuovi protagonisti dell'Italia industriale alla vigilia della Grande Guerra lanciarono sui giornali una campagna antimassonica sulla quale pesava ancora la macchia dello scandalo della Banca Romana. All' appuntamento con la guerra il Grande Oriente d'Italia arriva diviso e indebolito. Nel dopoguerra le cose andarono anche peggio, fino alla presa del potere da parte del fascismo che già l'anno successivo emetteva la legge che metteva al bando la Massoneria, preceduta da una martellante campagna dalle pagine di "Cremona Nuova" diretto dal ras Roberto Farinacci.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)