2019-11-16
Ottenne l’abitazione grazie a carte false. Donna nigeriana deve rispondere di truffa
Per avere l'affitto, imbrogliò un milanese con finte buste paga da 1.500 euro. Dopo l'archiviazione, un giudice riapre il caso.Due giorni fa Natalia Imarisio, giudice a Milano, ha ordinato l'imputazione coatta per truffa nei confronti di una cittadina nigeriana di cui La Verità aveva scritto lo scorso 9 aprile. La Procura aveva invece richiesto l'archiviazione per la donna, malgrado l'ampia (e preoccupante) documentazione presentata da un proprietario di appartamento che denuncia di essere stato raggirato con carte false dall'immigrata, sua inquilina, e di averne subìto un danno da 10.000 euro. L'imputazione coatta è prevista come possibilità estrema dall'articolo 509 del Codice di procedura penale, quando il giudice si trova in dissenso radicale su una richiesta d'archiviazione formulata dal pubblico ministero. In questo caso è stata decisa dalla giudice Imarisio che, confermando quanto sette mesi fa aveva raccontato La Verità (la copia del giornale è finita nel fascicolo del procedimento), ha stabilito che «risultano in atti copiosi elementi che depongono per la sostenibilità in giudizio dell'accusa di truffa nei confronti dell'indagata».Giorgio, chiamiamo così il proprietario dell'appartamento, è finito al centro di una vicenda anomala e intrigante. Da due anni e mezzo, inascoltato, denuncia di essere stato raggirato grazie a carte contraffatte da mano professionale: un'accusa che la Procura non dovrebbe scartare a priori, ma anzi andrebbe considerata, perché potrebbe indicare l'esistenza di un'organizzazione più vasta. La presunta truffa parte nel settembre 2015, quando Giorgio, per 750 euro al mese, affitta un appartamento a una nigeriana con regolare permesso di soggiorno. Per dimostrare a Giorgio che ha di che pagare l'affitto, l'immigrata gli dà tre cedolini del suo stipendio: presentano il timbro dell'Inail e l'intestazione del datore di lavoro, una ditta milanese che fa pavimenti. Vi si legge che la donna è stata assunta nel 2008, a tempo indeterminato, e guadagna 1.000-1.500 euro netti al mese. Rassicurato, Giorgio firma il contratto e consegna l'appartamento. Dopo poco, però, l'inquilina smette di pagare. Per cercare una soluzione, Giorgio contatta la ditta dove la donna ha detto di lavorare, ma ottiene una risposta sconcertante: l'azienda nega che la donna abbia mai lavorato lì. Nel gennaio 2017, gli affitti non versati superano i 10.000 euro. Così, il 6 aprile di quell'anno, Giorgio deposita in Procura una denuncia con tutta la documentazione di quella che sostiene essere una truffa. Crede susciterà immediato interesse negli inquirenti, perché le carte contraffatte dimostrano l'esistenza di uno o più falsificatori, che potrebbero avere lavorato non soltanto per la nigeriana ma anche per altri immigrati. Potrebbe forse esistere un'organizzazione, impegnata nella contraffazione di documenti destinati a scopi anche più gravi: ottenere ingiustamente un permesso di soggiorno, per esempio, ma anche creare false identità. Ci sarebbe di che indagare, insomma. Invece passa un anno senza risposte. Un sollecito nel maggio 2018 resta ignorato, così il 29 settembre 2018 Giorgio fa istanza alla Procura generale della Corte d'appello perché avochi a sé il procedimento e subentri nelle indagini che per 18 mesi la Procura non ha svolto. Pochi giorni dopo, sollecitata dalla Corte d'appello, la Procura risponde picche: dai documenti di Giorgio, sostiene, «non sembrano rinvenirsi gli elementi tipici della fattispecie criminosa», cioè la truffa. Subito dopo, il 2 ottobre 2018, la pm Daniela Bartolucci chiede l'archiviazione per l'indagata nigeriana, confermando che nel suo comportamento non sussiste reato: «Ai fini della sussistenza della truffa», scrive la pm, «non bastano semplici dichiarazioni menzognere, ma servono comportamenti architettati e presentati in modo tale da assumere l'aspetto della verità e da trarre in inganno il soggetto passivo del reato». Giorgio trasecola, perché è esattamente quello che dall'aprile 2017 sostiene gli sia accaduto con le false buste-paga. Il 29 ottobre 2018 decide così di opporsi all'archiviazione, confermando che «la falsità dei cedolini costituisce proprio la manipolazione della realtà» dalla quale nel 2015 è stato indotto a cadere nella presunta truffa. Tra le altre cose, Giorgio chiede alla giudice Imarisio di ordinare alla Procura di verificare in prefettura «con quali documenti l'indagata abbia comprovato l'esistenza di un rapporto di lavoro in Italia, ai fini dell'ottenimento del permesso di soggiorno». Giorgio chiede poi d'interrogare la sua ex inquilina e il responsabile della ditta di pavimenti che ha riconosciuto la falsità dei cedolini. Anche perché il suo avvocato sostiene che uno dei titolari della ditta gli avrebbe rivelato, di persona, che «non è la prima volta che ci capita un fatto del genere». Da allora è passato un altro anno. Due giorni fa, finalmente, la giudice Imarisio ha dato ragione a Giorgio. Ha scritto che la falsità dei cedolini è non solo «verosimile», ma addirittura «pacifica», e che sono state le carte contraffatte a indurre in errore Giorgio, danneggiandolo: quindi «ci sono più che sufficienti elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio». La giudice ha pertanto disposto che la Procura «formuli entro dieci giorni l'imputazione per truffa» a carico della nigeriana. Ora si spera solo che qualcuno a Milano si metta a indagare. E che sia la volta buona.
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