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2023-10-20
Gli ostaggi nelle mani di Hamas salgono a 250. Si tratta sul valico
Ansa
La mediazione internazionale per liberare gli ostaggi nelle mani di Hamas e per consentire l’arrivo a Gaza di aiuti umanitari arriva oggi al primo banco di prova: dovrebbe essere questa, infatti, la giornata della riapertura del valico di Rafah, al confine tra la Striscia e l’Egitto.
Ieri ci sono stati nuovi raid mirati dell’esercito israeliano a Gaza, che hanno avuto l’obiettivo di localizzare ostaggi e acquisire informazioni utili alle ricerche. Secondo il portavoce militare israeliano, Daniel Hagari, gli ostaggi israeliani nelle mani dei gruppi terroristici sono 203, dei quali circa 30 sono minori o adolescenti e altri 20 sono anziani, mentre il totale è di almeno 250 persone. L’esercito stima che ci siano ancora 100/200 israeliani dispersi dall’attacco di Hamas lo scorso 7 ottobre.
Ieri l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, ha discusso prima con il primo ministro olandese, Mark Rutte, e poi con lo spagnolo Pedro Sanchez, sottolineando la necessità di lavorare per una de-escalation, per il rilascio degli ostaggi e per aprire corridoi umanitari. Secondo i media locali, entrambi hanno ringraziato l’emiro per la sua opera di mediazione. Il primo ministro britannico, Rishi Sunak, ha incontrato le famiglie degli ostaggi israeliani all’hotel King David a Gerusalemme. «Veder portato via un figlio», ha scritto Sunak su X, «è il peggior incubo di un genitore. Ho sentito parlare le famiglie che attraversano questa insopportabile agonia. Sono determinato a garantire il rilascio degli ostaggi presi dai terroristi di Hamas».
«Stiamo lavorando moltissimo», ha detto il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, «con tutti i Paesi arabi e musulmani per cercare di arrivare a una de-escalation e convincere Hamas a ridurre i propri attacchi e liberare gli ostaggi perché per noi è una priorità. Ci sono ancora due italiani in vita (Eviatar Moshe Kipnis, il terzo, è morto durante l’attacco di Hamas, ndr) nelle mani non solo di Hamas ma anche di altri, perché gli ostaggi sono divisi tra diverse organizzazioni. Lavoriamo affinché l’Egitto e Israele trovino un accordo per aprire il valico di Rafah», ha aggiunto Tajani, «per far passare i cittadini italiani ma anche altri che possano uscire dalla Striscia. E poi per far arrivare sicuramente aiuti umanitari alla popolazione civile, vittima di Hamas. Bisogna assolutamente distinguere fra palestinesi e terroristi». Ronald Steven Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale, ha incontrato in Vaticano papa Francesco. Il Pontefice ha chiesto il rilascio di tutti gli ostaggi e si è preoccupato della loro sorte, riconoscendo al tempo stesso il diritto di Israele all'autodifesa. «Chiediamo a Sua Santità», ha detto Lauder, «di usare il suo potere, la sua forza, per far liberare questi ostaggi. Lei è forse l'unica persona che ha l’autorità morale per farlo. Credo che Dio, a suo modo, ci abbia portato qui oggi per chiederle di farlo, a nome di tutto il popolo ebraico nel mondo». L’incontro era stato programmato già a settembre, prima degli attacchi di Hamas, ma ha assunto ovviamente un significato particolare.
È il valico di Rafah, come dicevamo, lo snodo attraverso il quale passano le speranze di una de-escalation. Fonti del governo egiziano hanno fatto sapere che il valico dovrebbe aprire oggi, così come hanno convenuto il presidente degli Usa, Joe Biden, e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, nel corso della visita in Israele dell’inquilino della Casa Bianca: «La popolazione di Gaza», ha detto Biden, «ha bisogno di cibo, acqua, medicine e luoghi sicuri in cui ripararsi». Decine di Tir con tonnellate di aiuti umanitari provenienti da ogni parte del mondo e destinati a Gaza, dall’acqua al cibo ai medicinali alle attrezzature per allestire ospedali da campo, sono fermi alla frontiera con l’Egitto in attesa della riapertura del valico, ma i problemi non mancano, a partire dalla necessità di una pausa umanitaria, ovvero della garanzia che da un lato Israele non bombardi i mezzi, dall’altra che questi beni non cadano nelle mani di Hamas. Non solo: per poter consentire l’ingresso a Gaza dei Tir occorre riparare le strade, distrutte dai bombardamenti israeliani. Il presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, ha discusso con Biden le modalità per consentire l’accesso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah, «in modo sostenibile».
Israele ha dato l’ok solo a 20 Tir di aiuti, purché non oltrepassino il Sud della Striscia, ma senza chiedere in cambio la liberazione degli ostaggi. Ieri i familiari delle persone nelle mani di Hamas si sono infuriate: «La decisione di consentire il trasferimento di aiuti umanitari agli assassini di Gaza ha provocato grande rabbia tra i familiari», ha dichiarato in un comunicato l’organizzazione Bring them home now, che rappresenta le famiglie degli ostaggi, «ricordiamo che bambini, neonati, donne, soldati, uomini e anziani, alcuni dei quali malati, feriti e colpiti da arma da fuoco, sono tenuti sottoterra come animali, senza alcuna condizione umana, mentre il governo di Israele offre agli assassini baklava (un dolce, ndr) e medicine». Le Nazioni Unite ancora ieri sera non potevano «confermare», ha detto il portavoce del segretario generale Onu, Antonio Guterres, l’apertura del valico di Rafah. «Ciò di cui abbiamo bisogno», ha precisato il portavoce, «non è solo l’ingresso di 20 camion, ma un costante arrivo di convogli umanitari».
Duello infinito sul Dsa tra Musk e l’Ue. Cartellino giallo anche per Meta
L’indiscrezione è partita dal sito americano Business Insider: «Elon Musk sta pensando di portare la X fuori dall’Europa» per evitare di sottostare alle nuove regole sul digitale varate dalla Commissione europea con il Digital service act (Dsa). Nell’articolo si sottolinea che il patron di X sarebbe «sempre più frustrato per il fatto di dover rispettare il Digital services act» e per questo avrebbe discusso l’ipotesi di rimuovere la disponibilità dell’app nel Vecchio continente o di bloccare l’accesso agli utenti dell’Ue, così come sta facendo Meta di Mark Zuckerberg, bloccando gli utenti europei dall’utilizzo della sua nuova applicazione chiamata Threads.
Ieri pomeriggio, però, Musk ha smentito con un post sulla sua piattaforma social: «Ancora un altro» report «di Business Insider assolutamente falso. Non sono una vera e propria testata». Anche il giovane analista informatico italiano Andrea Stroppa, che gli ha fatto da cicerone nel tour romano di qualche mese fa ha scritto su X: «Falso. Elon mi ha confermato che l’idea non gli è mai passata per la testa. X rimarrà in Europa e continuerà a essere uno spazio libero, aperto a tutte le idee e pronta a rilasciare nuove funzionalità. Lunga vita a X!».
Di certo, continua il braccio di ferro tra Musk e la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, che ieri ha inviato una richiesta di informazioni ai sensi del Dsa anche a Meta, il colosso di Zuckerberg, che possiede le piattaforme Facebook e Instagram. Bruxelles chiede di rispettare le misure adottate per ottemperare agli obblighi sulla valutazione dei rischi e le misure di attenuazione per tutelare l’integrità delle elezioni, in seguito agli attacchi terroristici di Hamas in Israele, in particolare per quanto riguarda la diffusione e l’amplificazione di contenuti illegali e la disinformazione. Meta dovrà ribattere entro il 25 ottobre sulla risposta alla crisi e l’8 novembre 2023 sulla tutela dell’integrità delle elezioni.
La stessa richiesta è stata inviata anche a Tik Tok, controllata dai cinesi. In questo caso il dito dell’esecutivo è puntato anche sulla conformità della piattaforma alle regole relative alla protezione dei minori online. «Pubblicheremo il nostro primo rapporto sulla trasparenza ai sensi del Dsa la prossima settimana, dove includeremo maggiori informazioni sul nostro lavoro per mantenere al sicuro la nostra community europea», ha risposto un portavoce di Tik Tok.
Nel frattempo, Musk non deve difendersi solo dagli attacchi dell’Ue sul campo del Dsa - il più agguerrito, ricordiamolo, è il commissario per il mercato interno, Thierry Breton - ma deve fare anche i conti con l’impatto sui piani di espansione di Tesla dei ripetuti aumenti dei tassi di interesse decisi dalla stessa Commissione. Il miliardario di origini sudafricane ha infatti messo in guardia sui costi legati al Cybertruck: le prime consegne sono previste sempre per la fine dell’anno, ma Musk ha avvertito che potrebbero essere necessari 12-18 mesi per ottenere un flusso di cassa significativo. Il tycoon si è detto preoccupato per l’impatto degli alti tassi di interesse sulle famiglie che intendono acquistare un’automobile. Ecco perché i progetti di espansione potrebbero subire un rallentamento, a partire dalla nuova gigafactory che Tesla dovrebbe costruire in Messico. «Se le condizioni macroeconomiche sono burrascose, anche la nave migliore vive tempi difficili», ha dichiarato. «Sono spaventato da quello che è successo nel 2009, quando General Motors e Chrysler fallirono. E ci sono un sacco di guerre nel mondo». Nel terzo trimestre, Tesla ha registrato un utile per azione di 66 centesimi su ricavi di 23,35 miliardi di dollari (+9%), contro attese per 73 centesimi su 24,1 miliardi. Nello stesso trimestre 2022, Tesla aveva registrato un utile per azione di 1,05 dollari su 21,45 miliardi.
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Secondo fonti egiziane, oggi potrebbe aprirsi il varco a Sud della Striscia. L’Onu: «Per ora niente annunci». Gerusalemme dà l’ok all’ingresso di 20 Tir di aiuti, scatenando l’ira dei parenti dei prigionieri: «Hanno i nostri cari e gli portiamo i dolci».Duello infinito sul Dsa tra Elon Musk e l’Ue. Il patron di X smentisce l’ipotetico abbandono dell’Europa. Richiamata Tik Tok.Lo speciale contiene due articoli.La mediazione internazionale per liberare gli ostaggi nelle mani di Hamas e per consentire l’arrivo a Gaza di aiuti umanitari arriva oggi al primo banco di prova: dovrebbe essere questa, infatti, la giornata della riapertura del valico di Rafah, al confine tra la Striscia e l’Egitto. Ieri ci sono stati nuovi raid mirati dell’esercito israeliano a Gaza, che hanno avuto l’obiettivo di localizzare ostaggi e acquisire informazioni utili alle ricerche. Secondo il portavoce militare israeliano, Daniel Hagari, gli ostaggi israeliani nelle mani dei gruppi terroristici sono 203, dei quali circa 30 sono minori o adolescenti e altri 20 sono anziani, mentre il totale è di almeno 250 persone. L’esercito stima che ci siano ancora 100/200 israeliani dispersi dall’attacco di Hamas lo scorso 7 ottobre.Ieri l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, ha discusso prima con il primo ministro olandese, Mark Rutte, e poi con lo spagnolo Pedro Sanchez, sottolineando la necessità di lavorare per una de-escalation, per il rilascio degli ostaggi e per aprire corridoi umanitari. Secondo i media locali, entrambi hanno ringraziato l’emiro per la sua opera di mediazione. Il primo ministro britannico, Rishi Sunak, ha incontrato le famiglie degli ostaggi israeliani all’hotel King David a Gerusalemme. «Veder portato via un figlio», ha scritto Sunak su X, «è il peggior incubo di un genitore. Ho sentito parlare le famiglie che attraversano questa insopportabile agonia. Sono determinato a garantire il rilascio degli ostaggi presi dai terroristi di Hamas». «Stiamo lavorando moltissimo», ha detto il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, «con tutti i Paesi arabi e musulmani per cercare di arrivare a una de-escalation e convincere Hamas a ridurre i propri attacchi e liberare gli ostaggi perché per noi è una priorità. Ci sono ancora due italiani in vita (Eviatar Moshe Kipnis, il terzo, è morto durante l’attacco di Hamas, ndr) nelle mani non solo di Hamas ma anche di altri, perché gli ostaggi sono divisi tra diverse organizzazioni. Lavoriamo affinché l’Egitto e Israele trovino un accordo per aprire il valico di Rafah», ha aggiunto Tajani, «per far passare i cittadini italiani ma anche altri che possano uscire dalla Striscia. E poi per far arrivare sicuramente aiuti umanitari alla popolazione civile, vittima di Hamas. Bisogna assolutamente distinguere fra palestinesi e terroristi». Ronald Steven Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale, ha incontrato in Vaticano papa Francesco. Il Pontefice ha chiesto il rilascio di tutti gli ostaggi e si è preoccupato della loro sorte, riconoscendo al tempo stesso il diritto di Israele all'autodifesa. «Chiediamo a Sua Santità», ha detto Lauder, «di usare il suo potere, la sua forza, per far liberare questi ostaggi. Lei è forse l'unica persona che ha l’autorità morale per farlo. Credo che Dio, a suo modo, ci abbia portato qui oggi per chiederle di farlo, a nome di tutto il popolo ebraico nel mondo». L’incontro era stato programmato già a settembre, prima degli attacchi di Hamas, ma ha assunto ovviamente un significato particolare. È il valico di Rafah, come dicevamo, lo snodo attraverso il quale passano le speranze di una de-escalation. Fonti del governo egiziano hanno fatto sapere che il valico dovrebbe aprire oggi, così come hanno convenuto il presidente degli Usa, Joe Biden, e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, nel corso della visita in Israele dell’inquilino della Casa Bianca: «La popolazione di Gaza», ha detto Biden, «ha bisogno di cibo, acqua, medicine e luoghi sicuri in cui ripararsi». Decine di Tir con tonnellate di aiuti umanitari provenienti da ogni parte del mondo e destinati a Gaza, dall’acqua al cibo ai medicinali alle attrezzature per allestire ospedali da campo, sono fermi alla frontiera con l’Egitto in attesa della riapertura del valico, ma i problemi non mancano, a partire dalla necessità di una pausa umanitaria, ovvero della garanzia che da un lato Israele non bombardi i mezzi, dall’altra che questi beni non cadano nelle mani di Hamas. Non solo: per poter consentire l’ingresso a Gaza dei Tir occorre riparare le strade, distrutte dai bombardamenti israeliani. Il presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, ha discusso con Biden le modalità per consentire l’accesso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah, «in modo sostenibile». Israele ha dato l’ok solo a 20 Tir di aiuti, purché non oltrepassino il Sud della Striscia, ma senza chiedere in cambio la liberazione degli ostaggi. Ieri i familiari delle persone nelle mani di Hamas si sono infuriate: «La decisione di consentire il trasferimento di aiuti umanitari agli assassini di Gaza ha provocato grande rabbia tra i familiari», ha dichiarato in un comunicato l’organizzazione Bring them home now, che rappresenta le famiglie degli ostaggi, «ricordiamo che bambini, neonati, donne, soldati, uomini e anziani, alcuni dei quali malati, feriti e colpiti da arma da fuoco, sono tenuti sottoterra come animali, senza alcuna condizione umana, mentre il governo di Israele offre agli assassini baklava (un dolce, ndr) e medicine». Le Nazioni Unite ancora ieri sera non potevano «confermare», ha detto il portavoce del segretario generale Onu, Antonio Guterres, l’apertura del valico di Rafah. «Ciò di cui abbiamo bisogno», ha precisato il portavoce, «non è solo l’ingresso di 20 camion, ma un costante arrivo di convogli umanitari».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ostaggi-hamas-salgono-a-250-2666025861.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="duello-infinito-sul-dsa-tra-musk-e-lue-cartellino-giallo-anche-per-meta" data-post-id="2666025861" data-published-at="1697739648" data-use-pagination="False"> Duello infinito sul Dsa tra Musk e l’Ue. Cartellino giallo anche per Meta L’indiscrezione è partita dal sito americano Business Insider: «Elon Musk sta pensando di portare la X fuori dall’Europa» per evitare di sottostare alle nuove regole sul digitale varate dalla Commissione europea con il Digital service act (Dsa). Nell’articolo si sottolinea che il patron di X sarebbe «sempre più frustrato per il fatto di dover rispettare il Digital services act» e per questo avrebbe discusso l’ipotesi di rimuovere la disponibilità dell’app nel Vecchio continente o di bloccare l’accesso agli utenti dell’Ue, così come sta facendo Meta di Mark Zuckerberg, bloccando gli utenti europei dall’utilizzo della sua nuova applicazione chiamata Threads. Ieri pomeriggio, però, Musk ha smentito con un post sulla sua piattaforma social: «Ancora un altro» report «di Business Insider assolutamente falso. Non sono una vera e propria testata». Anche il giovane analista informatico italiano Andrea Stroppa, che gli ha fatto da cicerone nel tour romano di qualche mese fa ha scritto su X: «Falso. Elon mi ha confermato che l’idea non gli è mai passata per la testa. X rimarrà in Europa e continuerà a essere uno spazio libero, aperto a tutte le idee e pronta a rilasciare nuove funzionalità. Lunga vita a X!». Di certo, continua il braccio di ferro tra Musk e la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, che ieri ha inviato una richiesta di informazioni ai sensi del Dsa anche a Meta, il colosso di Zuckerberg, che possiede le piattaforme Facebook e Instagram. Bruxelles chiede di rispettare le misure adottate per ottemperare agli obblighi sulla valutazione dei rischi e le misure di attenuazione per tutelare l’integrità delle elezioni, in seguito agli attacchi terroristici di Hamas in Israele, in particolare per quanto riguarda la diffusione e l’amplificazione di contenuti illegali e la disinformazione. Meta dovrà ribattere entro il 25 ottobre sulla risposta alla crisi e l’8 novembre 2023 sulla tutela dell’integrità delle elezioni. La stessa richiesta è stata inviata anche a Tik Tok, controllata dai cinesi. In questo caso il dito dell’esecutivo è puntato anche sulla conformità della piattaforma alle regole relative alla protezione dei minori online. «Pubblicheremo il nostro primo rapporto sulla trasparenza ai sensi del Dsa la prossima settimana, dove includeremo maggiori informazioni sul nostro lavoro per mantenere al sicuro la nostra community europea», ha risposto un portavoce di Tik Tok. Nel frattempo, Musk non deve difendersi solo dagli attacchi dell’Ue sul campo del Dsa - il più agguerrito, ricordiamolo, è il commissario per il mercato interno, Thierry Breton - ma deve fare anche i conti con l’impatto sui piani di espansione di Tesla dei ripetuti aumenti dei tassi di interesse decisi dalla stessa Commissione. Il miliardario di origini sudafricane ha infatti messo in guardia sui costi legati al Cybertruck: le prime consegne sono previste sempre per la fine dell’anno, ma Musk ha avvertito che potrebbero essere necessari 12-18 mesi per ottenere un flusso di cassa significativo. Il tycoon si è detto preoccupato per l’impatto degli alti tassi di interesse sulle famiglie che intendono acquistare un’automobile. Ecco perché i progetti di espansione potrebbero subire un rallentamento, a partire dalla nuova gigafactory che Tesla dovrebbe costruire in Messico. «Se le condizioni macroeconomiche sono burrascose, anche la nave migliore vive tempi difficili», ha dichiarato. «Sono spaventato da quello che è successo nel 2009, quando General Motors e Chrysler fallirono. E ci sono un sacco di guerre nel mondo». Nel terzo trimestre, Tesla ha registrato un utile per azione di 66 centesimi su ricavi di 23,35 miliardi di dollari (+9%), contro attese per 73 centesimi su 24,1 miliardi. Nello stesso trimestre 2022, Tesla aveva registrato un utile per azione di 1,05 dollari su 21,45 miliardi.
Il grande direttore d'orchestra rilancia l'appello alla politica affinché trovi una via diplomatica per convincere la Francia a far tornare nella sua città natale il compositore fiorentino, che ora riposa al cimitero di Père-Lachaise. Il sogno? Dirigere il Requiem del genio toscano nella Basilica di Santa Croce, dove è già pronto il suo cenotafio.
Maurizio Landini (Ansa)
Nessun sindacalista lo ammetterà mai, ma c’è un dato che più di ogni altro fa da spartiacque tra uno sciopero riuscito e un flop. Una percentuale minima al di sotto della quale è davvero difficile cantare vittoria: l’adesione almeno degli iscritti. Insomma, se sostieni, come fa ripetutamente Maurizio Landini di essere il portavoce di un sedicente malcontento montante che sarebbe addirittura maggioranza nel Paese e ti intesti una battaglia in solitaria lasciando alle spalle Cisl e Uil e poi non ti seguono neanche i tuoi, c’è un problema.
E il problema, numeri alla mano, esiste. Ed è pure grosso. Basta vedere le percentuali dei lavoratori che hanno deciso di spalleggiare l’ennesima rivolta politica e tutta improntata ad attaccare il governo Meloni del leader della Cgil. Innanzitutto nel pubblico impiego. Tra gli statali (scuola, sanità, dipendenti di ministeri, enti locali ecc.) ci sono circa 2,7 milioni di dipendenti contrattualizzati. E tra questi il 12% ha in tasca la tessera della Cgil. Bene, a fine giornata i dati ufficiali parlavano di circa il 4,4% complessivo di adesione all’ennesimo logoro show di Landini. Messa in soldoni: ormai anche la Cgil si è stancata del suo segretario che combatte una battaglia personale e quasi sempre sulle spalle dei lavoratori.
Che in corso d’Italia monti il malcontento, La Verità lo evidenzia da un po’ di tempo, ma il dato degli impiegati dello Stato è particolarmente significativo. Perché è intorno agli statali che l’ex leader della Fiom ha combattuto e poi perso la sua battaglia più significativa. Per mesi e mesi, infatti, spalleggiato dalla Uil e dall’ex alleato Pierpaolo Bombardieri, Landini ha bloccato il rinnovo dei contratti della Pa.
Circa 20 miliardi, già stanziati dal governo, fermi. E aumenti tra i 150 e i 170 euro lordi al mese, con istituti di favore come la settimana cortissima e il ticket anche in smart working, preclusi ai lavoratori per l’opposizione a prescindere del compagno Maurizio. Certo, lui l’ha spiegata come una lotta di giustizia sociale che aveva l’obiettivo di recuperare tutta l’inflazione del periodo (2022-2024). Ma si trattava di un bluff. Perché la Cgil con governi di un colore diverso ha rinnovato contratti decisamente meno convenienti e che comunque non coprivano il carovita.
Insomma, quella sugli accordi della pubblica amministrazione è diventata l’ultima frontiera dell’opposizione a prescindere. E su quella battaglia Landini si è schiantato. Prima nel merito, perché alla fine la Uil l’ha mollato e i contratti sono stati firmati. E poi sul campo: perché se almeno la metà degli iscritti diserta sciopero (e siamo benevoli), vuol dire che i tuoi stanno bocciando una linea che porta nelle piazza, sulle barricate e sui giornali, ma lascia i lavoratori con le tasche sempre più vuote.
«Il dato», spiega alla Verità il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, «certifica l’ennesimo flop degli scioperi generali, un fallimento che finisce tutto sulle spalle della Cgil che nel pubblico impiego può contare su circa 300.000 iscritti. Pur ammettendo che tutti gli aderenti siano tesserati di Landini e che le proiezioni del pomeriggio vengano confermate, la bocciatura interna per la linea del segretario sarebbe evidente. E, del resto, questo disagio era palese anche sul tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto. È arrivato il momento che anche all’interno del sindacato si apra una riflessione sincera».
E se tra gli statali la sconfitta è stata cocente, non meglio è andata nel privato. Dove, però, i dati sono più frammentati. Secondo le rilevazioni degli altri sindacati, ci sono alcune situazioni clamorose e altri meno, ma sempre di batoste si tratta.
Appartengono al primo caso le adesioni ferme a quota 1% nei cantieri delle grandi opere: dal Brennero fino al Terzo valico e alla Tav. Si risale al 5% negli stabilimenti di produzione e lavorazione di cemento, legno e laterizi, ma in generale la partecipazione nell’edilizia è stata bassissima.
Come nell’agroalimentare, dove, se si fa eccezioni per la rossa Emilia-Romagna (ai reparti produttivi della Granarolo si è arrivati a sfiorare il 50%), i risultati nelle piccole e medie imprese sono quasi tutti sotto il 5%. La media tra le aziende elettriche è del 5%, nelle Poste siamo fermi al 2,5% e nelle banche si sfiora l’1%. Leggermente meglio nel terziario e nel commercio (dove viene toccato il 10%), così come si contano sulle punte delle dita i siti delle realtà industriali in doppia cifra (Ex Ilva a Novi, Marcegaglia di Dusino San Michele in Piemonte e alcuni siti di Leonardo).
Insomma, al balletto delle cifre nelle manifestazioni siamo abituati e che ci siano delle enormi differenze numeriche tra promotori dello sciopero e controparte sta nelle regole del gioco, eppure si fa davvero fatica a capire da dove il sindacato rosso abbia tirato fuori il dato del 68% delle adesioni. Se 7 lavoratori su 10 si fermano, l’Italia si blocca. Non solo i trasporti, ma tutto il sistema finisce in una sorta di pericoloso stand by collettivo. Nulla a che vedere con quello che è successo sul territorio che ieri ha subito qualche prevedibile disagio da effetto-annuncio, ma poco più. Ma, del resto, nel Paese immaginario che sta raccontando Landini può succedere questo e altro.
Landini straparla di regime e agita lo sciopero infinito
«Fanno bene ad avere qualche timore, avere qualche paura, perché non ci fermano. Non so come dirlo, non ci fermano e, siccome siamo convinti di rappresentare la maggioranza del Paese, andremo avanti fino a quando questa battaglia l’abbiamo vinta». È stato questo il grido di battaglia, ieri, del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a Firenze dove ha partecipato al corteo nel giorno dello sciopero generale contro la legge di bilancio, salari bassi, precarietà e caro-vita.
Una protesta «per cambiare la manovra 2026, considerata del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese, malgrado le modifiche appena approvate, per sostenere investimenti in sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali, per fermare l’innalzamento dell’età pensionabile, per contrastare la precarietà». Insomma, i temi sul tavolo di ogni governo degli ultimi 30 anni, basti pensare alla sanità da sempre gestita dalla sinistra da Rosy Bondi in poi, ma che, per Landini e sinistra, sembrano esplosi con l’arrivo del governo Meloni. E, ignorando totalmente i dati dell’occupazione che cresce in maniera costante, arriva a sostenere che «La precarietà non è un problema dei giovani: se vogliamo combattere e contrastare la precarietà, sono quelli che non sono precari che, innanzitutto, si devono battere e scioperare per cancellare la precarietà. Questa è la solidarietà, questo è il sindacato».
«Quando ho lavorato», ha ricordato Landini, «io la precarietà non l’ho conosciuta. E vorrei che fosse chiaro, non è merito mio, eh, io non avevo fatto niente, ero andato semplicemente a lavorare. Ma mi sono trovato dei diritti, perché quelli prima di me, che quei diritti lì non ce ne avevano, si erano battuti per ottenerli. Non per loro, ma per tutti. Tre mesi dopo che ero assunto come apprendista, ho potuto operare e partecipare a una manifestazione senza essere licenziato. Non m’hanno fatto prove del carrello», ha detto riferendosi ai tre lavoratori della catena Pam allontanati dopo un controllo a sorpresa che ha simulato un furto. «Dobbiamo far parlare il Paese reale, perché dobbiamo raccontare quel che succede: qui siamo, ormai, a un regime, ci raccontano un Paese che non c’è, ci raccontano una quantità di balle, che tutto va bene, tutto sta funzionando. Non è così».
Il leader della Cgil ha, poi, sottolineato che oggi c’è «un obiettivo esplicito della politica e del governo: mettere in discussione l’esistenza stessa del sindacato confederale come soggetto che ha diritto di negoziare alla pari col governo». Al segretario che un anno fa voleva «rivoltare il Paese come un guanto», lo sciopero politico di ieri gli è comunque costato la mancata unità sindacale con Cisl, Uil e Ugl ormai fuori sintonia. Landini ha chiarito che «il diritto di sciopero è un diritto costituzionale e non accetteremo alcun tentativo di metterlo in discussione o di limitarlo. Oggi siamo in piazza non contro altri lavoratori o altri sindacati, ma per estendere questi diritti a tutti. Quando un governo prova a delegittimare chi protesta o a ridurre gli spazi di partecipazione democratica, significa che non vuole ascoltare il disagio reale che attraversa il Paese. Lo sciopero è per cambiare politiche sbagliate. E la grande partecipazione che vediamo oggi dimostra che c’è un Paese che chiede un cambio di rotta».
«Il Paese non è più disponibile a un’altra legge di bilancio di austerità e di tagli», ha affermato il leader di Avs, Nicola Fratoianni, presente alla manifestazione con Angelo Bonelli. Sul palco in piazza del Carmine ha trovato posto anche la protesta dei giornalisti de La Stampa e Repubblica, in sciopero dopo l’annuncio di Exor della cessione del gruppo editoriale Gedi al magnate greco Theodore Kyriakou. Mai così in prima fila nella solidarietà ad altre crisi di giornali meno «amici», Landini ha spiegato il perché: «Pensiamo che quello che sta succedendo sia un tentativo esplicito di mettere in discussione la libertà di stampa e la possibilità concreta di proseguire e di fare serie politiche industriali. Mi sembra evidente quello che sta succedendo: abbiamo imprese e imprenditori che, dopo aver fatto i profitti, chiudono le imprese, se ne vogliono andare dal nostro Paese per usare i soldi e quella ricchezza che è stata prodotta da chi lavora, da altre parti. Ecco, quelli che fanno i patrioti dove sono? Stanno difendendo chi? Difendono quelli che pagano le tasse che tengono in piedi questo Paese o difendono quelli che chiudono le aziende che investono da un’altra parte?». C’è voluta la vendita di Repubblica perché Landini attaccasse Elkann visto che dalla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, l’azienda ha licenziato solo in Italia attraverso esodi incentivati 7.500 lavoratori. Del restom lo ha detto chiaramente Carlo Calenda di Azione: «Da quando la Repubblica è stata comprata da Elkann, Fiom e Cgil hanno smesso di dare battaglia che prima facevano con Sergio Marchionne quando la produzione aumentava, adesso che è crollata non li senti più dire nulla».
Intanto ieri Landini non ha nascosto la sua soddisfazione per la risposta allo sciopero, «le piazze si sono riempite e le fabbriche svuotate», rinfocolando la polemica a distanza con il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che aveva definito «irresponsabile» bloccare il Paese. «Noi stiamo facendo il nostro mestiere, quello che non fa Salvini», la replica del segretario della Cgil. Il vicepremier leghista ieri ha visitato la centrale operativa delle Ferrovie dello Stato per verificare le ricadute dello sciopero, ed ha definito «incoraggianti» i dati sull’adesione, «con disagi limitati» dovuti soprattutto all’effetto «annuncio».
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