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2023-10-20
Gli ostaggi nelle mani di Hamas salgono a 250. Si tratta sul valico
Ansa
La mediazione internazionale per liberare gli ostaggi nelle mani di Hamas e per consentire l’arrivo a Gaza di aiuti umanitari arriva oggi al primo banco di prova: dovrebbe essere questa, infatti, la giornata della riapertura del valico di Rafah, al confine tra la Striscia e l’Egitto.
Ieri ci sono stati nuovi raid mirati dell’esercito israeliano a Gaza, che hanno avuto l’obiettivo di localizzare ostaggi e acquisire informazioni utili alle ricerche. Secondo il portavoce militare israeliano, Daniel Hagari, gli ostaggi israeliani nelle mani dei gruppi terroristici sono 203, dei quali circa 30 sono minori o adolescenti e altri 20 sono anziani, mentre il totale è di almeno 250 persone. L’esercito stima che ci siano ancora 100/200 israeliani dispersi dall’attacco di Hamas lo scorso 7 ottobre.
Ieri l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, ha discusso prima con il primo ministro olandese, Mark Rutte, e poi con lo spagnolo Pedro Sanchez, sottolineando la necessità di lavorare per una de-escalation, per il rilascio degli ostaggi e per aprire corridoi umanitari. Secondo i media locali, entrambi hanno ringraziato l’emiro per la sua opera di mediazione. Il primo ministro britannico, Rishi Sunak, ha incontrato le famiglie degli ostaggi israeliani all’hotel King David a Gerusalemme. «Veder portato via un figlio», ha scritto Sunak su X, «è il peggior incubo di un genitore. Ho sentito parlare le famiglie che attraversano questa insopportabile agonia. Sono determinato a garantire il rilascio degli ostaggi presi dai terroristi di Hamas».
«Stiamo lavorando moltissimo», ha detto il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, «con tutti i Paesi arabi e musulmani per cercare di arrivare a una de-escalation e convincere Hamas a ridurre i propri attacchi e liberare gli ostaggi perché per noi è una priorità. Ci sono ancora due italiani in vita (Eviatar Moshe Kipnis, il terzo, è morto durante l’attacco di Hamas, ndr) nelle mani non solo di Hamas ma anche di altri, perché gli ostaggi sono divisi tra diverse organizzazioni. Lavoriamo affinché l’Egitto e Israele trovino un accordo per aprire il valico di Rafah», ha aggiunto Tajani, «per far passare i cittadini italiani ma anche altri che possano uscire dalla Striscia. E poi per far arrivare sicuramente aiuti umanitari alla popolazione civile, vittima di Hamas. Bisogna assolutamente distinguere fra palestinesi e terroristi». Ronald Steven Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale, ha incontrato in Vaticano papa Francesco. Il Pontefice ha chiesto il rilascio di tutti gli ostaggi e si è preoccupato della loro sorte, riconoscendo al tempo stesso il diritto di Israele all'autodifesa. «Chiediamo a Sua Santità», ha detto Lauder, «di usare il suo potere, la sua forza, per far liberare questi ostaggi. Lei è forse l'unica persona che ha l’autorità morale per farlo. Credo che Dio, a suo modo, ci abbia portato qui oggi per chiederle di farlo, a nome di tutto il popolo ebraico nel mondo». L’incontro era stato programmato già a settembre, prima degli attacchi di Hamas, ma ha assunto ovviamente un significato particolare.
È il valico di Rafah, come dicevamo, lo snodo attraverso il quale passano le speranze di una de-escalation. Fonti del governo egiziano hanno fatto sapere che il valico dovrebbe aprire oggi, così come hanno convenuto il presidente degli Usa, Joe Biden, e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, nel corso della visita in Israele dell’inquilino della Casa Bianca: «La popolazione di Gaza», ha detto Biden, «ha bisogno di cibo, acqua, medicine e luoghi sicuri in cui ripararsi». Decine di Tir con tonnellate di aiuti umanitari provenienti da ogni parte del mondo e destinati a Gaza, dall’acqua al cibo ai medicinali alle attrezzature per allestire ospedali da campo, sono fermi alla frontiera con l’Egitto in attesa della riapertura del valico, ma i problemi non mancano, a partire dalla necessità di una pausa umanitaria, ovvero della garanzia che da un lato Israele non bombardi i mezzi, dall’altra che questi beni non cadano nelle mani di Hamas. Non solo: per poter consentire l’ingresso a Gaza dei Tir occorre riparare le strade, distrutte dai bombardamenti israeliani. Il presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, ha discusso con Biden le modalità per consentire l’accesso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah, «in modo sostenibile».
Israele ha dato l’ok solo a 20 Tir di aiuti, purché non oltrepassino il Sud della Striscia, ma senza chiedere in cambio la liberazione degli ostaggi. Ieri i familiari delle persone nelle mani di Hamas si sono infuriate: «La decisione di consentire il trasferimento di aiuti umanitari agli assassini di Gaza ha provocato grande rabbia tra i familiari», ha dichiarato in un comunicato l’organizzazione Bring them home now, che rappresenta le famiglie degli ostaggi, «ricordiamo che bambini, neonati, donne, soldati, uomini e anziani, alcuni dei quali malati, feriti e colpiti da arma da fuoco, sono tenuti sottoterra come animali, senza alcuna condizione umana, mentre il governo di Israele offre agli assassini baklava (un dolce, ndr) e medicine». Le Nazioni Unite ancora ieri sera non potevano «confermare», ha detto il portavoce del segretario generale Onu, Antonio Guterres, l’apertura del valico di Rafah. «Ciò di cui abbiamo bisogno», ha precisato il portavoce, «non è solo l’ingresso di 20 camion, ma un costante arrivo di convogli umanitari».
Duello infinito sul Dsa tra Musk e l’Ue. Cartellino giallo anche per Meta
L’indiscrezione è partita dal sito americano Business Insider: «Elon Musk sta pensando di portare la X fuori dall’Europa» per evitare di sottostare alle nuove regole sul digitale varate dalla Commissione europea con il Digital service act (Dsa). Nell’articolo si sottolinea che il patron di X sarebbe «sempre più frustrato per il fatto di dover rispettare il Digital services act» e per questo avrebbe discusso l’ipotesi di rimuovere la disponibilità dell’app nel Vecchio continente o di bloccare l’accesso agli utenti dell’Ue, così come sta facendo Meta di Mark Zuckerberg, bloccando gli utenti europei dall’utilizzo della sua nuova applicazione chiamata Threads.
Ieri pomeriggio, però, Musk ha smentito con un post sulla sua piattaforma social: «Ancora un altro» report «di Business Insider assolutamente falso. Non sono una vera e propria testata». Anche il giovane analista informatico italiano Andrea Stroppa, che gli ha fatto da cicerone nel tour romano di qualche mese fa ha scritto su X: «Falso. Elon mi ha confermato che l’idea non gli è mai passata per la testa. X rimarrà in Europa e continuerà a essere uno spazio libero, aperto a tutte le idee e pronta a rilasciare nuove funzionalità. Lunga vita a X!».
Di certo, continua il braccio di ferro tra Musk e la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, che ieri ha inviato una richiesta di informazioni ai sensi del Dsa anche a Meta, il colosso di Zuckerberg, che possiede le piattaforme Facebook e Instagram. Bruxelles chiede di rispettare le misure adottate per ottemperare agli obblighi sulla valutazione dei rischi e le misure di attenuazione per tutelare l’integrità delle elezioni, in seguito agli attacchi terroristici di Hamas in Israele, in particolare per quanto riguarda la diffusione e l’amplificazione di contenuti illegali e la disinformazione. Meta dovrà ribattere entro il 25 ottobre sulla risposta alla crisi e l’8 novembre 2023 sulla tutela dell’integrità delle elezioni.
La stessa richiesta è stata inviata anche a Tik Tok, controllata dai cinesi. In questo caso il dito dell’esecutivo è puntato anche sulla conformità della piattaforma alle regole relative alla protezione dei minori online. «Pubblicheremo il nostro primo rapporto sulla trasparenza ai sensi del Dsa la prossima settimana, dove includeremo maggiori informazioni sul nostro lavoro per mantenere al sicuro la nostra community europea», ha risposto un portavoce di Tik Tok.
Nel frattempo, Musk non deve difendersi solo dagli attacchi dell’Ue sul campo del Dsa - il più agguerrito, ricordiamolo, è il commissario per il mercato interno, Thierry Breton - ma deve fare anche i conti con l’impatto sui piani di espansione di Tesla dei ripetuti aumenti dei tassi di interesse decisi dalla stessa Commissione. Il miliardario di origini sudafricane ha infatti messo in guardia sui costi legati al Cybertruck: le prime consegne sono previste sempre per la fine dell’anno, ma Musk ha avvertito che potrebbero essere necessari 12-18 mesi per ottenere un flusso di cassa significativo. Il tycoon si è detto preoccupato per l’impatto degli alti tassi di interesse sulle famiglie che intendono acquistare un’automobile. Ecco perché i progetti di espansione potrebbero subire un rallentamento, a partire dalla nuova gigafactory che Tesla dovrebbe costruire in Messico. «Se le condizioni macroeconomiche sono burrascose, anche la nave migliore vive tempi difficili», ha dichiarato. «Sono spaventato da quello che è successo nel 2009, quando General Motors e Chrysler fallirono. E ci sono un sacco di guerre nel mondo». Nel terzo trimestre, Tesla ha registrato un utile per azione di 66 centesimi su ricavi di 23,35 miliardi di dollari (+9%), contro attese per 73 centesimi su 24,1 miliardi. Nello stesso trimestre 2022, Tesla aveva registrato un utile per azione di 1,05 dollari su 21,45 miliardi.
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Secondo fonti egiziane, oggi potrebbe aprirsi il varco a Sud della Striscia. L’Onu: «Per ora niente annunci». Gerusalemme dà l’ok all’ingresso di 20 Tir di aiuti, scatenando l’ira dei parenti dei prigionieri: «Hanno i nostri cari e gli portiamo i dolci».Duello infinito sul Dsa tra Elon Musk e l’Ue. Il patron di X smentisce l’ipotetico abbandono dell’Europa. Richiamata Tik Tok.Lo speciale contiene due articoli.La mediazione internazionale per liberare gli ostaggi nelle mani di Hamas e per consentire l’arrivo a Gaza di aiuti umanitari arriva oggi al primo banco di prova: dovrebbe essere questa, infatti, la giornata della riapertura del valico di Rafah, al confine tra la Striscia e l’Egitto. Ieri ci sono stati nuovi raid mirati dell’esercito israeliano a Gaza, che hanno avuto l’obiettivo di localizzare ostaggi e acquisire informazioni utili alle ricerche. Secondo il portavoce militare israeliano, Daniel Hagari, gli ostaggi israeliani nelle mani dei gruppi terroristici sono 203, dei quali circa 30 sono minori o adolescenti e altri 20 sono anziani, mentre il totale è di almeno 250 persone. L’esercito stima che ci siano ancora 100/200 israeliani dispersi dall’attacco di Hamas lo scorso 7 ottobre.Ieri l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, ha discusso prima con il primo ministro olandese, Mark Rutte, e poi con lo spagnolo Pedro Sanchez, sottolineando la necessità di lavorare per una de-escalation, per il rilascio degli ostaggi e per aprire corridoi umanitari. Secondo i media locali, entrambi hanno ringraziato l’emiro per la sua opera di mediazione. Il primo ministro britannico, Rishi Sunak, ha incontrato le famiglie degli ostaggi israeliani all’hotel King David a Gerusalemme. «Veder portato via un figlio», ha scritto Sunak su X, «è il peggior incubo di un genitore. Ho sentito parlare le famiglie che attraversano questa insopportabile agonia. Sono determinato a garantire il rilascio degli ostaggi presi dai terroristi di Hamas». «Stiamo lavorando moltissimo», ha detto il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, «con tutti i Paesi arabi e musulmani per cercare di arrivare a una de-escalation e convincere Hamas a ridurre i propri attacchi e liberare gli ostaggi perché per noi è una priorità. Ci sono ancora due italiani in vita (Eviatar Moshe Kipnis, il terzo, è morto durante l’attacco di Hamas, ndr) nelle mani non solo di Hamas ma anche di altri, perché gli ostaggi sono divisi tra diverse organizzazioni. Lavoriamo affinché l’Egitto e Israele trovino un accordo per aprire il valico di Rafah», ha aggiunto Tajani, «per far passare i cittadini italiani ma anche altri che possano uscire dalla Striscia. E poi per far arrivare sicuramente aiuti umanitari alla popolazione civile, vittima di Hamas. Bisogna assolutamente distinguere fra palestinesi e terroristi». Ronald Steven Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale, ha incontrato in Vaticano papa Francesco. Il Pontefice ha chiesto il rilascio di tutti gli ostaggi e si è preoccupato della loro sorte, riconoscendo al tempo stesso il diritto di Israele all'autodifesa. «Chiediamo a Sua Santità», ha detto Lauder, «di usare il suo potere, la sua forza, per far liberare questi ostaggi. Lei è forse l'unica persona che ha l’autorità morale per farlo. Credo che Dio, a suo modo, ci abbia portato qui oggi per chiederle di farlo, a nome di tutto il popolo ebraico nel mondo». L’incontro era stato programmato già a settembre, prima degli attacchi di Hamas, ma ha assunto ovviamente un significato particolare. È il valico di Rafah, come dicevamo, lo snodo attraverso il quale passano le speranze di una de-escalation. Fonti del governo egiziano hanno fatto sapere che il valico dovrebbe aprire oggi, così come hanno convenuto il presidente degli Usa, Joe Biden, e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, nel corso della visita in Israele dell’inquilino della Casa Bianca: «La popolazione di Gaza», ha detto Biden, «ha bisogno di cibo, acqua, medicine e luoghi sicuri in cui ripararsi». Decine di Tir con tonnellate di aiuti umanitari provenienti da ogni parte del mondo e destinati a Gaza, dall’acqua al cibo ai medicinali alle attrezzature per allestire ospedali da campo, sono fermi alla frontiera con l’Egitto in attesa della riapertura del valico, ma i problemi non mancano, a partire dalla necessità di una pausa umanitaria, ovvero della garanzia che da un lato Israele non bombardi i mezzi, dall’altra che questi beni non cadano nelle mani di Hamas. Non solo: per poter consentire l’ingresso a Gaza dei Tir occorre riparare le strade, distrutte dai bombardamenti israeliani. Il presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, ha discusso con Biden le modalità per consentire l’accesso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah, «in modo sostenibile». Israele ha dato l’ok solo a 20 Tir di aiuti, purché non oltrepassino il Sud della Striscia, ma senza chiedere in cambio la liberazione degli ostaggi. Ieri i familiari delle persone nelle mani di Hamas si sono infuriate: «La decisione di consentire il trasferimento di aiuti umanitari agli assassini di Gaza ha provocato grande rabbia tra i familiari», ha dichiarato in un comunicato l’organizzazione Bring them home now, che rappresenta le famiglie degli ostaggi, «ricordiamo che bambini, neonati, donne, soldati, uomini e anziani, alcuni dei quali malati, feriti e colpiti da arma da fuoco, sono tenuti sottoterra come animali, senza alcuna condizione umana, mentre il governo di Israele offre agli assassini baklava (un dolce, ndr) e medicine». Le Nazioni Unite ancora ieri sera non potevano «confermare», ha detto il portavoce del segretario generale Onu, Antonio Guterres, l’apertura del valico di Rafah. «Ciò di cui abbiamo bisogno», ha precisato il portavoce, «non è solo l’ingresso di 20 camion, ma un costante arrivo di convogli umanitari».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ostaggi-hamas-salgono-a-250-2666025861.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="duello-infinito-sul-dsa-tra-musk-e-lue-cartellino-giallo-anche-per-meta" data-post-id="2666025861" data-published-at="1697739648" data-use-pagination="False"> Duello infinito sul Dsa tra Musk e l’Ue. Cartellino giallo anche per Meta L’indiscrezione è partita dal sito americano Business Insider: «Elon Musk sta pensando di portare la X fuori dall’Europa» per evitare di sottostare alle nuove regole sul digitale varate dalla Commissione europea con il Digital service act (Dsa). Nell’articolo si sottolinea che il patron di X sarebbe «sempre più frustrato per il fatto di dover rispettare il Digital services act» e per questo avrebbe discusso l’ipotesi di rimuovere la disponibilità dell’app nel Vecchio continente o di bloccare l’accesso agli utenti dell’Ue, così come sta facendo Meta di Mark Zuckerberg, bloccando gli utenti europei dall’utilizzo della sua nuova applicazione chiamata Threads. Ieri pomeriggio, però, Musk ha smentito con un post sulla sua piattaforma social: «Ancora un altro» report «di Business Insider assolutamente falso. Non sono una vera e propria testata». Anche il giovane analista informatico italiano Andrea Stroppa, che gli ha fatto da cicerone nel tour romano di qualche mese fa ha scritto su X: «Falso. Elon mi ha confermato che l’idea non gli è mai passata per la testa. X rimarrà in Europa e continuerà a essere uno spazio libero, aperto a tutte le idee e pronta a rilasciare nuove funzionalità. Lunga vita a X!». Di certo, continua il braccio di ferro tra Musk e la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, che ieri ha inviato una richiesta di informazioni ai sensi del Dsa anche a Meta, il colosso di Zuckerberg, che possiede le piattaforme Facebook e Instagram. Bruxelles chiede di rispettare le misure adottate per ottemperare agli obblighi sulla valutazione dei rischi e le misure di attenuazione per tutelare l’integrità delle elezioni, in seguito agli attacchi terroristici di Hamas in Israele, in particolare per quanto riguarda la diffusione e l’amplificazione di contenuti illegali e la disinformazione. Meta dovrà ribattere entro il 25 ottobre sulla risposta alla crisi e l’8 novembre 2023 sulla tutela dell’integrità delle elezioni. La stessa richiesta è stata inviata anche a Tik Tok, controllata dai cinesi. In questo caso il dito dell’esecutivo è puntato anche sulla conformità della piattaforma alle regole relative alla protezione dei minori online. «Pubblicheremo il nostro primo rapporto sulla trasparenza ai sensi del Dsa la prossima settimana, dove includeremo maggiori informazioni sul nostro lavoro per mantenere al sicuro la nostra community europea», ha risposto un portavoce di Tik Tok. Nel frattempo, Musk non deve difendersi solo dagli attacchi dell’Ue sul campo del Dsa - il più agguerrito, ricordiamolo, è il commissario per il mercato interno, Thierry Breton - ma deve fare anche i conti con l’impatto sui piani di espansione di Tesla dei ripetuti aumenti dei tassi di interesse decisi dalla stessa Commissione. Il miliardario di origini sudafricane ha infatti messo in guardia sui costi legati al Cybertruck: le prime consegne sono previste sempre per la fine dell’anno, ma Musk ha avvertito che potrebbero essere necessari 12-18 mesi per ottenere un flusso di cassa significativo. Il tycoon si è detto preoccupato per l’impatto degli alti tassi di interesse sulle famiglie che intendono acquistare un’automobile. Ecco perché i progetti di espansione potrebbero subire un rallentamento, a partire dalla nuova gigafactory che Tesla dovrebbe costruire in Messico. «Se le condizioni macroeconomiche sono burrascose, anche la nave migliore vive tempi difficili», ha dichiarato. «Sono spaventato da quello che è successo nel 2009, quando General Motors e Chrysler fallirono. E ci sono un sacco di guerre nel mondo». Nel terzo trimestre, Tesla ha registrato un utile per azione di 66 centesimi su ricavi di 23,35 miliardi di dollari (+9%), contro attese per 73 centesimi su 24,1 miliardi. Nello stesso trimestre 2022, Tesla aveva registrato un utile per azione di 1,05 dollari su 21,45 miliardi.
(Imagoeconomica)
A leggere queste parole c’è davvero da impazzire. In pratica si continua a ripetere che questi bambini sono bravi, educati, felici e amati. Ma hanno difficoltà con la lettura e si cambiano i vestiti troppo raramente. E alle nostre istituzioni, oltre che a una parte della politica, sembra normale che tanto basti per strapparli ai genitori e lasciarli in una casa famiglia a tempo indeterminato. In aggiunta, si continuano a trattare papà e mamma Trevallion come discoli da raddrizzare. Si scrive e si dice che ora si comportano bene, che hanno accettato di modificare la propria casa, di vaccinare i figli, di farli incontrare con un insegnante. Lo ripetono pure i giudici della Corte d'appello che hanno confermato venerdì la validità del provvedimento di allontanamento e hanno passato la palla al Tribunale dei minori dell'Aquila per eventuali nuove decisioni. La corte conferma «tutte le criticità rilevate nell'ordinanza del Tribunale dei minorenni» tra cui i «gravi rischi per la salute fisica e psichica dei bambini, per la loro sana crescita, per lo sviluppo armonioso della loro personalità». Ma rileva «gli apprezzabili sforzi di collaborazione» da parte dei genitori e auspica «un definitivo superamento del muro di diffidenza da loro precedentemente alzato verso gli interventi e le offerte di sostegno». Chiaro, no? Quando papà e mamma saranno più docili e addomesticati, il ricatto potrà forse concludersi.
Pare infatti che il nodo di tutta questa storia, sia soltanto questo: bisogna compiacere i magistrati. Chi non lo fa è un pericoloso pasdaran della destra, è uno che fa campagna politica per il referendum sulla giustizia. Lo dice chiaramente Elisabetta Piccolotti di Alleanza verdi e sinistra, la quale se la prende con i ministri Matteo Salvini e Eugenia Roccella «che continuano a fare gli sciacalli con l’unico scopo di preparare il terreno per il referendum sulla giustizia. Noi di Avs», spiega Piccolotti, «crediamo che il percorso di dialogo con la famiglia debba dare i giusti frutti, come sostengono anche gli avvocati: i bambini devono tornare a casa dai genitori, con la garanzia che non saranno negati loro il diritto all’istruzione e alla socialità che solo la scuola assicura davvero». Ah, ma dai: i bambini devono tornare a scuola, perché quella parentale non va. Di più: bisogna che il ministro Valditara invii «gli ispettori nella scuola paritaria che ha certificato l’assolvimento dell’obbligo scolastico per la bambina di 11 anni, nonostante pare che la bimba sappia a stento scrivere il proprio nome sotto dettatura».
Interessante cortocircuito. Con la famiglia del bosco i compagni di Avs sono inflessibili, invocano perquisizioni e correzioni. Ma con altri sono molto più teneri. Nei riguardi degli antagonisti di Askatasuna, per dire, hanno parole di miele. Marco Grimaldi, vicecapogruppo di Avs alla Camera, si è aggregato al corteo di protesta contro lo sgombero del centro sociale. «Noi non abbiamo nulla da nascondere», grida. «Siamo parte, alla luce del sole, di un’associazione a resistere, quella dell’antifascismo che i trumpiani di tutto il mondo vorrebbero dichiarare fuori legge. Ma fino a quando la nostra Costituzione sarà in piedi nessuno potrà impedirmi di manifestare il mio dissenso ed io continuerò a farlo». La sua compagna di partito Ilaria Salis ribadisce che «lo spirito di Askatasuna continuerà ad ardere». Bravi, bravissimi, dei veri rivoluzionari, dei grandi ribelli antisistema. Ma per chi sceglie davvero un modello di vita alternativo, a quanto risulta, non hanno pietà. Anzi, dicono le stesse cose dei magistrati.
Fateci caso: Elisabetta Piccolotti ha pronunciato praticamente le stesse frasi scandite da Virginia Scalera, giudice del tribunale di Pescara e presidente della sezione Abruzzo dell’Anm. Costei è intervenuta ieri dicendo che c’è «stato un attacco scomposto e offensivo nei confronti dei giudici da parte dei ministri Salvini e Roccella, espresso peraltro in mancanza di conoscenza del provvedimento, perché le motivazioni non sono ancora uscite. E comunque è inaccettabile il tono. Abbiamo l’impressione chiara», insiste Scalera, «che sia un modo per riattivare l’attenzione dell’opinione pubblica, strumentalizzando una storia significativa in ottica referendaria. Ogni volta si additano i giudici, si parla di sequestro di bambini. Stigmatizziamo gli attacchi del governo».
Siamo sempre lì: guai a sfiorare i giudici, guai ad avanzare anche solo un minuscolo dubbio sul loro operato. Persino la sinistra radicale, quella che si batte contro i confini e contro la fantomatica «repressione», alla bisogna si rimette in riga al fianco delle toghe. E intanto tre bambini bravi e educati sono ancora tenuti lontano dai loro genitori.
A proposito di cortocircuiti sinistri, sia concessa un’ultima considerazione. Negli anni passati, con l’avvicinarsi del Natale, fior di sacerdoti e militanti progressisti hanno proposto presepi pieni zeppi di barconi e migranti. È un vero peccato che quest’anno qualcuno di questi impegnati a favore dei più deboli non abbia pensato a un bel presepe con la famiglia del bosco posizionata in mezzo ai pastori.
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Orazio Schillaci (Ansa)
Stiamo parlando della Cceps, la commissione centrale esercenti professioni sanitarie che funziona come una sorta di Corte d’Appello. Due giorni fa doveva svolgersi a Roma l’udienza, fissata a ridosso del Natale per esaminare i ricorsi di almeno 25 medici radiati dall’Ordine. Nemmeno il tempo di aprire la seduta, e subito è stata rinviata con data da destinarsi.
Il 18 sera, infatti, l’indipendenza e imparzialità dei componenti della Cceps è stata messa in discussione dalle istanze di ricusazione di uno dei legali dei medici radiati, l’avvocato Mauro Sandri. La presidente e il suo vice, così pure diversi membri dell’organo del ministero della Salute che esercita il giudizio di secondo grado, si sono già espressi contro le critiche nei confronti del vaccino Covid. In alcuni casi, anche contro gli stessi dottori che hanno presentato ricorso, si legge nella memoria di ricusazione.
Una cosa inaudita, che vanificherebbe qualsiasi conclusione della commissione. Non attiva da anni, la Cceps era stata ricostituita lo scorso ottobre dal ministro Schillaci su pressione di Filippo Anelli, presidente Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. A marzo, il capo dei medici si lamentava perché il ricorso «di fatto vanifica l’azione sanzionatoria degli Ordini, facendo sì che medici sospesi o addirittura radiati continuino a esercitare».
Così, per liquidare in fretta la questione, in un’udienza fissata per trattare i soli procedimenti dei medici radiati (in violazione del normale calendario), tutte le memorie scritte dei difensori dovevano essere presentate nella stessa mattinata del 19 e «date in pasto» a medici, a magistrati che il loro giudizio già l’hanno formulato.
Le istanze di ricusazione presentate dall’avvocato Sandri sono state nei confronti della presidente della Cceps, Giulia Ferrari, in quanto come componente del Consiglio di Stato ha partecipato alla stesura di numerose sentenze nelle quali ha «sempre respinto le domande di illegittimità delle sospensioni dal lavoro avanzate da pubblici dipendenti».
E nei confronti del vice presidente Oscar Marongiu «che ha partecipato a decisioni di contenuto analogo quale componente del Tar di Cagliari». Ma non è finita. La maggior parte dei componenti la Cceps per quanto riguarda i ricorsi dei medici sono professionisti che hanno fatto parte di Consigli dell'Ordine, che hanno emesso provvedimenti di radiazione e che hanno espresso, prima del processo, opinioni che fanno già chiaramente trasparire la posizione che avranno nel giudizio di secondo grado.
Tra questi c’è Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della Provincia di Venezia e vice presidente nazionale Fnomceo. Il presidente a luglio 2022 si era opposto all’idea dell’allora governatore Luca Zaia di reintegrare i medici sospesi perché non vaccinati: «Sarebbe un pessimo messaggio», disse. E che aveva definito l’abolizione della sanzione ai no vax «un premio ai furbetti. Questa scelta non è un messaggio educativo alla popolazione sul rispetto delle regole». Qualcuno ha dei dubbi su come Leoni giudicherà il ricorso di medici quali Ennio Caggiano, Barbara Balanzoni, Fabio Milani, Riccardo Szumski? Sono solo alcuni dei dottori stimati, amati dai loro pazienti, però presi di mira dagli Ordini professionali perché osavano contrastare la non scienza imposta con i dpcm di Speranza e Conte.
Ennio Caggiano di Camponogara, nel Veneziano mandato a processo per aver compilato 16 certificati di esenzione dal vaccino ritenuti falsi dalla Procura di Venezia, è stato assolto da ogni accusa pochi mesi fa. Eppure il 20 maggio del 2022 il presidente dell’Ordine dei medici di Venezia ne firmò la radiazione. Oggi il medico si dice sconcertato di sapere che lo stesso Leoni dovrebbe valutare il suo ricorso. «L’incompatibilità assoluta. Invece di chiudere una vicenda che si trascina da anni, analizzando oggettivamente i fatti, vogliono ribadire che avevano ragione. È una cosa ridicola e tragica nello stesso tempo».
Un periodo, quello della pandemia e dei diktat, segnato anche da brutte storie di delazioni. Fabio Milani, stimato professionista bolognese non vaccinato, nel dicembre del 2021 curò con antibiotico e cortisone una famiglia con polmonite da Covid abbandonata a Tachipirina e vigile attesa dal proprio medico di famiglia. Segnalato dal collega all'Ordine, aveva subìto un lungo processo per esercizio abusivo della professione, conclusosi nel gennaio 2025 perché «il fatto non sussiste». Ma non era finita. Il medico venne radiato nell’agosto 2022 con l’accusa di aver violato il codice deontologico. Con quale imparzialità sarà giudicato in secondo grado da una simile commissione?
«Nessun medico radiato può essere giudicato per avere espresso opinioni critiche sulla gestione dell'emergenza sanitaria», ribadisce l’avvocato Sandri. «Nessuno mi ha denunciato per aver maltrattato un paziente», osserva Riccardo Szumski, il consigliere di Resistere Veneto risultato tra i più eletti alle ultime Regionali, evidenziando l’assurdità di una sanzione così grave. «Mi sembra una commissione non a tutela dei medici e dei pazienti, ma dell’obbedienza a ogni costo. E Schillaci era un collaboratore dell’ex ministro Roberto Speranza. Nella mia radiazione venne citata la frase del presidente Sergio Mattarella “non si invochi la libertà per sottrarsi all’obbligo vaccinale” ma la libertà, secondo me, è un bene assoluto».
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Antonio Filosa (Ansa)
La Commissione sta semplicemente «rinviando» l’obiettivo: l’impianto che aveva portato all’azzeramento delle emissioni allo scarico (e quindi alla fine dei motori termici) viene riformulato con un abbassamento delle emissioni del 90% rispetto al 2021. Il 10% residuo verrebbe coperto tramite strumenti di compensazione lungo la catena del valore: come, ad esempio, prodotti a minore intensità carbonica (acciaio low-carbon) e carburanti sostenibili. Quella voluta dell’Ue è una flessibilità «contabile» più che tecnologica, secondo il manager.
Filosa sostiene che questa architettura rischia di introdurre costi e complessità che i costruttori «di massa» assorbono peggio di quelli premium: «È una misura il cui costo potrebbe non essere alla portata dei costruttori di volume che servono la maggior parte dei cittadini». Tradotto: se la conformità dipende da risorse scarse (acciaio verde, e-fuels/biocarburanti certificati) con prezzi elevati e volatilità, il rischio è che tutti i problemi si scarichino proprio sui segmenti più sensibili al prezzo, comprimendo volumi e margini.
Stellantis segnala che non vede strumenti «ponte» sufficienti per rendere praticabile la transizione, in particolare nei veicoli commerciali, dove la competitività dell’elettrico dipende molto più che nelle auto da infrastrutture di ricarica, costo dell’energia, pianificazione flotte e disponibilità prodotto. Se l’adozione dei motori elettrici resta importante, il blocco al 2035 non genera crescita: può solo spostare i problemi su regole di compensazione e materiali verdi e costosi. La reazione dell’industria è dunque polarizzata: Renault valuta il pacchetto come un tentativo di gestire alcune criticità, mentre l’associazione industriale tedesca Vda lo bolla come «disastroso» per gli ostacoli pratici e di implementazione. La Commissione, invece, nega che si tratti di un arretramento: Stéphane Séjourné, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, afferma che l’Europa non mette in discussione gli obiettivi climatici. Un altro funzionario Ue difende l’uso di questi meccanismi perché dovrebbero «creare un mercato di sbocco» per tecnologie e materiali necessari alla transizione.
Nel dibattito, inoltre, c’è anche l’asimmetria regolatoria transatlantica: negli Stati Uniti si osserva una traiettoria più favorevole per ibridi e termici, con revisione di incentivi e standard; non a caso Stellantis ha annunciato un piano di investimenti molto rilevante negli Usa. Il messaggio implicito è che, a parità di vincoli, la stabilità e l’economia della domanda influenzano dove si costruiscono capacità e catena del valore.
La verità è che la partita vera non è lo slogan «stop ai termici sì o no», ma la definizione dei dettagli che porteranno verso una transizione sostenibile: in particolare, si tratta della definizione di carburanti sostenibili e delle regole Mrv (monitoring, reporting, verification, un sistema obbligatorio dell'Unione Europea per il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di gas serra) sulle norme industriali e, soprattutto, sulle misure lato domanda/infrastrutture che evitino che la compliance diventi un costo fisso.
Stellantis sostiene che, così com’è, la proposta non crea le sufficienti condizioni per crescere; la Commissione europea, dal canto suo, replica che serve una flessibilità che spinga filiere verdi europee senza abbandonare gli obiettivi industriali.
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