2023-10-18
Caprotti jr demolisce il papà di Esselunga
Il figlio di Bernardo ha presentato il libro sulla sua famiglia: «I supermercati non li ha inventati lui ma la Cia in chiave anticomunista. La spesa? Io vado alla Coop. A Natale ascoltavamo i discorsi di Mussolini. E la domenica ci portava a vedere teschi e tibie a Milano». «Io, la spesa, vado a farla alla Coop». Detto da Giuseppe Caprotti suona bizzarro, l’ultimo gesto di rivalsa nei confronti del padre Bernardo che 20 anni fa lo cacciò da Esselunga. Ma alla fine del viaggio dentro il suo libro uscito ieri questa è anche una delle frasi più leggere, sardoniche, innocenti in 390 pagine che somigliano ad altrettante raffiche di mitra. Come picconare la memoria di un imprenditore vincente, come tentare di abbattere la statua di uno dei simboli liberali della grande distribuzione italiana; solo un figlio può farlo, con il candore e il livore rimasti in egual misura sotto la pelle dopo un tradimento senza perdono. «Questo è il diario di una sconfitta», spiega il primogenito presentando Le ossa dei Caprotti (Feltrinelli), una storia italiana lunga 300 anni, nelle pieghe di una famiglia di proprietari terrieri nella Brianza velenosa cantata da Lucio Battisti, capaci già nell’Ottocento di diversificare nell’industria del cotone, di finanziare la spedizione dei Mille, di esplorare il Sudamerica, di aderire con spirito ribelle al partito repubblicano nel regno d’Italia. E di stabilire ad Albiate, alle porte di Monza, il loro reame. «È la vicenda della famiglia che ha rivoluzionato per sempre le abitudini degli italiani, andava raccontata».Questo lungo preambolo, è il contorno della pietanza che arriva come risposta al bestseller di papà Falce e carrello. Giuseppe Caprotti (come da immagine di copertina) a 62 anni riesce a distruggere quel carrello e a fuggire fra le sbarre, a liberarsi del peso dei ricordi, a «uscire dal mio lungo lockdown durato 20 anni per ristabilire alcune verità. Sono stato bersagliato ad arte, accusato di mala gestione, definito un ladro, un incompetente. Ho maturato il diritto di replica con un saggio documentato; l’ho fatto per i miei figli». Oggi è il suo Independence day. «Tanto per cominciare, Esselunga non l’ha inventata mio padre ma la Cia». Si vabbè. Chi ascolta è immediatamente attratto dai quadri, dagli affreschi, dai lampadari dell’imponente, meravigliosa dimora di famiglia.Ma Caprotti giura che è tutto documentato e continua la narrazione. «Bernardo non aveva il know how per realizzare supermercati in Italia. Voleva fare l’immobiliarista e comprare un grande lotto a Punta Ala. L’azienda è stata finanziata da un gruppo di manager americani capitanati da Nelson Rockefeller, consigliato a sua volta dai servizi segreti. L’uomo chiave fu James Hugh Angleton, padre di uno dei più leggendari agenti della Cia, che organizzò l’operazione a Milano. La storia delle chiacchiere rubate nella toilette del Palace di Saint Moritz è come minimo romanzata».Fra cene allestite con i maggiori contribuenti della città (decisivo nel ruolo di coordinamento fu Marco Brunelli, poi storico titolare di Iper) e fondi del Piano Marshall, nel 1957 l’impresa nasce proprio a Milano per sostenere una politica di sviluppo anticomunista. Si legge nel libro: «La cittadinanza comunista in città era molto ampia e c’era l’opportunità di mostrare ai comunisti che un’azienda americana come un supermercato potesse funzionare bene». Curioso notare come nello stesso periodo in Emilia-Romagna, altri personaggi in cooperativa stessero per far nascere floride imprese con i rubli sovietici. Rockefeller credeva allora che «abbassare i prezzi del cibo avesse lo stesso significato di un aumento dei salari. E che fosse difficile essere comunisti con la pancia piena». Oggi, fra intellettuali, cinematografari, virologi, giornalisti, archistar, opinion leader, cuochi e vecchie zie, possiamo testimoniare che aveva torto.Concesso al padre il merito di aver acquistato il marchio e di averlo consolidato dal 1965 alla morte nel 2016, Caprotti junior (liquidato con la sorella Violetta a favore della figlia di secondo letto Marina) gli imputa la colpa «di essersi appropriato dell’identità di chi l’aveva fatta diventare grande con lui, mia madre e il nonno Peppino. Senza i suoi soldi non avrebbe mai potuto comprare Esselunga». Tutto riporta al suo legame con Bernardo, agli eccessi caratteriali di un padre autoritario, al debordare di una personalità pervasiva. «Gli sono riconoscente per il bene ricevuto in termini di educazione, orizzonti e benessere economico ma gli imputo di avermi tolto una parte della mia vita».Per amor di verità non può fare a meno di accennare pure all’altra parte, quella degli agi e dei privilegi, quando nella casa di Lindos incontrava David Gilmour, chitarrista dei Pink Floyd, o quando trascorse un capodanno con Rudolf Nureyev nella spettacolare magione con le rose rampicanti alle pareti. «Il grande ballerino brinda alla maniera tradizionale russa: dopo aver sorseggiato lo champagne lancia i bicchieri di cristallo di Boemia dalla finestra che dà sulla strada. Bernardo, scioccato, non proferisce parola». La «brianzolitudine» ferita dev’essere stata uno spasso. Anche il titolo del libro nasconde una goccia di veleno, riguarda la passione («ma era un’ossessione») del padre per ossa e cimiteri, al punto che la domenica portava i figli nella chiesa di San Bernardino alle Ossa di Milano, con il santuario decorato da teschi e tibie dal Medioevo in poi.Più che la presentazione di un’opera sembra una seduta psicanalitica, Caprotti si toglie una quantità di sassolini da formare un viale di ghiaia. Liti tra fratelli, faide in Esselunga, invasioni nella privacy dei dipendenti, il tentativo di cacciare di casa la nonna: Bernardo attraversa la storia da colpevole a prescindere. Lui ruvido conservatore, il figlio progressista tendente al radical, oggi éngagé della sinistra illuminata con la foto di Giangiacomo Feltrinelli bene in vista nell’archivio di famiglia. Accanto al modellino della corazzata Potëmkin con grande bandiera rossa. I due non erano fatti per andare d’accordo. «Ricordo i pranzi di Natale in cui mio padre, invece di farci ascoltare i dischi con Jingle Bells, ci propinava i discorsi di Mussolini. Non certo perché fosse nostalgico, ma semplicemente per stupire, per provocare. E non dimenticherò mai quando, nel 1990, accettò che un suo direttore chiedesse per me una perizia psichiatrica. Quello è uno degli enigmi che solo le ombre della sua personalità possono spiegare». Giuseppe si scalda e si commuove. Dopo anni da amministratore delegato di Esselunga, la sua memoria è ancora lì, nel giorno della cacciata dal paradiso. Lui che aveva riempito i superstore, che aveva aperto al bio, che aveva colto le potenzialità dell’e-commerce, che aveva lanciato la carta Fidaty (tre milioni di clienti), che aveva inventato le pubblicità storiche come John Lemon, Aglio e Olio, Porro Seduto, non ha mai superato il dolore supremo. Non ha mai capito perché venisse liquidato con la frase: «Sei un intellettuale». E oggi fa la spesa alla Coop.Il libro è già la sceneggiatura per una serie tv di Netflix immersa nel politicamente corretto. Dove i buoni sono tanti e il cattivo uno solo, suo padre Bernardo Caprotti. Un Succession all’italiana senza la possibilità di replica perché quel genitore larger than life «che riteneva l’azienda la sua vera famiglia» è morto da sette anni. Un giorno nel cortile del quartier generale di Esselunga comparvero quattro Mercedes nere, destinate ad accompagnare tre manager licenziati. Dalla finestra Giuseppe chiese al padre: «La quarta Mercedes è per me?». Bernardo corrugò la capoccia calva e rispose con una sentenza da gigante del palcoscenico: «Non ancora».
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