
La ragazza sperava in un trattamento sperimentale negli Usa. I medici avevano imposto a lei e alla famiglia il silenzio sul caso.«Nel momento in cui leggerai questo, potrei essere morta. È quanto affermano i miei medici che, nell’ultimo anno, mi hanno ripetutamente detto che avevo solo pochi giorni di vita. Hanno fatto tutto il possibile per impedirmi di raccontare questa storia... ma distesa qui nel mio letto d’ospedale, sono riuscita a dettare questo messaggio. Mi sono trovata intrappolata in un sistema medico e legale governato da un paternalismo tossico che mi ha condannato per aver voluto vivere. Ma sono una combattente e continuerò a lottare... È una corsa contro il tempo per sfuggire da questo sistema e dalla morte certa che desidera impormi». Sono le parole rilasciate, per l’edizione di sabato scorso del Daily Mail, da una giovane ragazza inglese di 19 anni, affetta dalla stessa grave malattia che nel 2017 colpì Charlie Gard, la sindrome da deplezione del Dna mitocondriale. È di ieri la notizia che, alla fine, hanno vinto i medici: la terapia per il prolungamento della vita è stata interrotta, e la giovane St - questo il nome pubblico della ragazza, in quanto il tribunale di tutela inglese ha vietato la diffusione del suo vero nome - è deceduta martedì scorso per un arresto cardiaco.«Anche adesso, nell’ora del nostro dolore, continuiamo a essere zittiti dall’ordine del tribunale che ci impedisce di pronunciare il suo nome ad alta voce», ha dichiarato la famiglia. «Abbiamo perso la nostra bellissima e coraggiosa figlia, conosciuta nel mondo come St. Per noi aveva un vero nome». St - così siamo costretti a chiamarla - era affetta da una rara malattia genetica che provoca progressivi danni al cervello e deterioramento muscolare, la stessa sindrome passata alla cronaca sei anni fa proprio per il caso del piccolo Charlie, lasciato morire dai medici inglesi dopo un lungo scontro, anche giudiziario, con i genitori del bimbo, i quali volevano tentare delle cure sperimentali negli Stati Uniti. Il caso conobbe un’enorme eco internazionale e vide intervenire, oltre che il governo italiano, anche papa Francesco e Donald Trump. Una vicenda pressoché analoga a quella di St, che voleva vivere e anche lei intendeva, con l’aiuto dei genitori, raccogliere i fondi per tentare delle nuove cure sperimentali negli Usa.Due le grosse differenze tra questa vicenda e quella di Charlie: in primis, la giovane era riuscita a vivere una vita relativamente indipendente fino a prima di contrarre il Covid, che ha accelerato bruscamente la sua patologia degenerativa; in secondo luogo, si trattava di conseguenza di una persona adulta in grado di comunicare la sua ferma volontà di vivere. Settimana scorsa aveva infatti dichiarato al Mail che non voleva essere sommersa di farmaci e lasciata morire. «Non voglio questo e voglio provare il trattamento offerto all’estero», aveva affermato. «Potrebbe essere solo una piccola possibilità, ma è la mia unica possibilità». Nessuna scusa, nessun fraintendimento, nessuna possibilità di mistificare le sue reali intenzioni. St voleva «morire cercando di vivere», ma questa opportunità le è stata negata. Un giudice lo scorso mese ha stabilito che le mancava la capacità mentale per prendere le proprie decisioni o persino per istruire i propri avvocati. La sentenza è stata emessa nonostante due psichiatri nominati dal tribunale abbiano dichiarato che St aveva «capacità» [nel linguaggio giuridico inglese, capacity significa anche la facoltà di assumersi delle responsabilità], con uno di loro che osservava che la giovane era «comoda, sorridente, sveglia e lucida». I medici hanno sostenuto con successo la tesi secondo cui il suo rifiuto di accettare la loro prognosi, e cioè che non aveva molto tempo da vivere, fosse un segno di delirio e che il Tribunale di tutela dovesse decidere il suo destino. St aveva presentato un appello contro la decisione, ma è morta prima che potesse essere udita.La morale della storia è abbastanza chiara: quando il paziente desidera morire, anche contro la volontà del medico, vale sempre e indiscutibilmente la volontà del primo; quando invece il paziente vuole vivere ma il medico decide che deve morire, allora il paziente non è in grado di prendere una decisione consapevole. Com’è possibile che i sostenitori dell’eutanasia, quelli che dicono di voler difendere fino in fondo la libertà individuale, non battano ciglio di fronte a questa palese, disumana violazione della volontà di una giovane diciannovenne? Perché se davvero fosse una questione di libertà individuale, anche accettandone la (distorta) declinazione libertaria, saremmo di fronte a un fatto palesemente intollerabile. Viene difficile non lasciarsi vincere dal sospetto che, in fondo, dietro a tutti questi discorsi vi sia alla fine nulla di più che la mera e spietata logica utilitaristica che governa il mondo: una vita malata - e quindi improduttiva - non serve a nulla, e come tale viene trattata.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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