
Lo storico Marco Gervasoni: «Per l'associazione la Resistenza fu solo merito dei comunisti. Si comportano da estremisti e li foraggiamo con le nostre tasse».L'Anpi? Ormai fa solo politica, quindi è giusto tagliarle i fondi. Parola di Marco Gervasoni, professore ordinario di Storia contemporanea all'Università del Molise e alla Luiss Guido Carli.«No ai negazionismi sulle foibe», ha detto sabato il presidente della Repubblica al Quirinale. Parole chiare di cui c'era finalmente bisogno.«Il discorso di Sergio Mattarella è importante, anche se la seconda parte sull'Europa c'entrava molto poco. Ma nella prima parte ha detto cose che a mia memoria nessun presidente della Repubblica aveva mai ammesso. Mattarella ha demolito la tesi negazionista (il massacro delle foibe non esiste) e quella più subdola delle foibe come reazione alla violenza fascista. Temi su cui la sinistra è invece sempre stata molto ambigua».Perché, secondo lei?«Intanto perché la sinistra di derivazione comunista sconta il legame molto forte che c'era stato tra il Pci e il regime di Tito». Solo nostalgia del vecchio asse italo-iugoslavo?«No, è anche importante ricordare che la legittimazione del Pci era di origine resistenziale. Se si va a toccare non solo la Resistenza italiana, ma anche le altre Resistenze, crolla tutta l'impalcatura legittimante».La Giornata del ricordo, insomma, non è mai andata loro giù...«Questo anche perché è stato il centrodestra ad aver fatto della Giornata del ricordo un cavallo di battaglia. In quel caso gli ex comunisti hanno dimostrato di essere stati poco togliattiani».Prego?«Un vero togliattiano, una volta caduto il comunismo, avrebbe pensato lui, per realpolitik, a introdurre la Giornata del ricordo, con un discorso alla Luciano Violante. Ma non ne hanno avuto il coraggio».Da qui l'imbarazzo dell'Anpi, per esempio.«Teniamo a mente una cosa: l'Anpi si presenta come l'associazione di tutti i partigiani, ma non è affatto così».Ah no?«L'Anpi rappresenta i partigiani comunisti. Ci sono anche altre associazioni, come ad esempio la Fiap, la Federazione italiana associazioni partigiane, di estrazione liberale e riformista, o l'Anpc, l'Associazione nazionale partigiani cristiani».Sigle che non si sentono mai nominare.«Perché queste associazioni non hanno mai avuto il ruolo politico dell'Anpi, che il Pci ha reso una delle tante casematte gramsciane disperse nella società. Negli anni Settanta, l'Anpi era diventato un ricettacolo di estremismo. Dopo il crollo del muro di Berlino, si è tramutata sempre più in partito. Un partito alla sinistra del Pd, che polemizza con loro ogni volta che qualcuno, da Luciano Violante a Matteo Renzi, cerca di superare la logica della guerra civile».Se le cose stanno così, il ruolo istituzionale dell'Anpi va rivisto.«Anche perché parliamoci chiaro, l'Anpi nazionale usa una langue de bois moderata, poi qualcuno più maldestro, in qualche sezione locale, dice quello che veramente pensano, e cioè che le foibe furono una reazione giusta. Per questo è molto problematico il finanziamento pubblico ai progetti dell'Anpi».Lei è d'accordo con chi vuole tagliare i fondi all'Anpi? «Io sarei per toglierlo. È vero, loro dicono che con quei fondi fanno corsi nelle scuole e cose di questo genere. Ma è gravissimo far tenere corsi nelle scuole a chi ha idee di questo tipo. Con le tasse di tutti noi non possiamo finanziare quello che è di fatto un partito politico. E non è tutto».Dica pure.«L'Anpi ha anche fatto una sorta di scalata agli istituti della Resistenza, nati inizialmente per produrre studi storici ma oggi portatori di una visione molto parziale della storia in cui i soli veri partigiani sono quelli comunisti, gli americani hanno avuto un ruolo quasi nullo nella Liberazione, se non addirittura di freno, e così via». Quindi il tema del taglio ai fondi dell'Anpi posto da Matteo Salvini, al di là della politica contingente, è un argomento reale?«Secondo me sì. Il ministro competente dovrebbe porsi il problema». Oggi, peraltro, si possono tesserare anche i giovani. Ma che vuol dire essere un ventenne partigiano nel 2019? Non siamo mica più in una guerra civile...«Bisogna entrare nella cultura politica comunista, per loro la resistenza non è finita nel 1945, la Resistenza era continua: contro De Gasperi, Tambroni, Fanfani, Craxi… La Resistenza è un processo continuo di opposizione ai governi non comunisti. Le stesse Brigate rosse la vedevano in questo modo».L'antifascismo non è storia, quindi, ma attualità.«Per loro il fascismo è sempre alle porte. Lo dicevano di Renzi, figuriamoci cosa possono pensare dell'attuale esecutivo. E infatti lo scrivono».Del resto si dice spesso che la nostra Costituzione sia basata sull'antifascismo. Peccato che si siano dimenticati di scrivercelo.«Fortunatamente la nostra Costituzione, che ha molti difetti, non è però come quella della Ddr, che poneva l'antifascismo come base dello Stato».E anche la XII disposizione transitoria, nelle intenzioni di Togliatti, aveva una portata molto più limitata.«È la stessa ragione per cui quando fu fatta la legge Scelba il Pci era molto critico, perché sappiamo che era programmata per essere usata anche contro i comunisti. E infatti il Pci non fece mai alcun cenno in Parlamento allo scioglimento dell'Msi, perché sapevano che il giorno dopo sarebbe toccato a loro».
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Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Il conservatore americano era aperto al dialogo con i progressisti, anche se sapeva che «per quelli come noi non ci sono spazi sicuri». La sua condanna a morte: si batteva contro ideologia woke, politicamente corretto, aborto e follie del gender.
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)
Piergiorgio Odifreddi frigna. Su Repubblica, giornale con cui collabora, il matematico e saggista spiega che lui non possiede pistole o fucili ed è contrario all’uso delle armi. Dopo aver detto durante una trasmissione tv che «sparare a Martin Luther King e sparare a un esponente Maga» come Charlie Kirk «non è la stessa cosa», parole che hanno giustamente fatto indignare il premier Giorgia Meloni («Vorrei chiedere a questo illustre professore se intende dire che ci sono persone a cui è legittimo sparare»), Odifreddi prova a metterci una pezza.