2019-10-12
Ormai Berlino e le aziende francesi rinnegano la generazione Macron
La mancata nomina di Sylvie Goulard e gli errori di politica estera con gli Usa segnano un cambio di passo dei big dell'economia: silurato pure il capo di Renault, colpevole di essere andato a braccetto con l'Eliseo.Due anni fa quando Emmanuel Macron è stato eletto presidente della Francia aveva 39 anni. L'esperimento Ogm di creare un partito centrista in provetta, République en Marche, sembrò riuscire perfettamente. E nonostante il risultato scarso in termini di voto, Macron salì all'Eliseo eccitando tutti gli europeisti e i socialdemocratici d'Europa. In Italia si ricordano i peana di Paolo Gentiloni, Enrico Letta e ovviamente Matteo Renzi. La fila era più lunga - abbiamo citato per comodità il podio - ed è andata rimpolpandosi con il passare dei mesi. Poi sono arrivati i gilet gialli a protestare contro le tasse e a bloccare la riforma del sistema burocratico e fiscale che avrebbe a suo dire sviluppato le opportunità di business. Il cosiddetto M&A, aziende che ne comprano altre facendo profitto. Le difficoltà della vita di tutti i giorni hanno imposto a Macron una marcia indietro che lo ha spinto ad avviare una strategia di geopolitica estera molto complessa. I rapporti di predominio sull'Italia anche in presenza del governo gialloblù sono rimasti validi, ma non sufficienti. Serviva a Macron un salto di qualità: lo scontro con gli Usa di Donald Trump. Ha così intensificato i rapporti con la Cina e con la Germania. Un modo per spostare l'asse europeo verso il Pacifico e verso la Via della seta. La strategia in fondo era semplice: sfruttare al massimo la tecnologia europea e trasferirla verso la Francia per poi condividerla con Pechino in cambio di un mercato di consumi nuovo. Basti pensare ciò che è avvenuto con Airbus e con la tecnologia nucleare. Il tutto finanziato con i soldi dell'Unione europea. Peccato che l'arrivo del protezionismo americano abbia sballato le previsioni e la guerra dei dazi tra Usa e Cina abbia imposto un nuovo perimetro. Insomma, la grandeur francese al di fuori dei patti atlantici rischia di finire bucata come un pallone gonfiato.Tanto più che l'avanzata dei partiti politici sovranisti ha imposto una nuova configurazione del Parlamento Ue. Per la prima volta il voto per le europee è stato veramente un dibattito per due Europe diverse. La vittoria degli anti sovranisti non è bastata a mantenere saldo lo schema precedente, con Ppe e socialisti-democratici a farsi finta opposizione. Tant'è che l'altro ieri è stata impallinata Sylvie Goulard, la commissaria designata da Macron che avrebbe dovuto essere la testa d'ariete attraverso il controllo del Mercato interno. I popolari guidati da Manfred Weber hanno mandato il primo importante segnale a Macron. Non è più idoneo al ruolo di guida dell'asse francotedesco. Come direbbero i raffinati, non è più fit. E rischia così di perdere i crediti che gli sono stati erogati sulla fiducia nel 2017. D'altronde ieri ha preso un'altra batosta. Thierry Bolloré, cugino di Vincent, è stato esonerato dall'incarico di amministratore delegato di Renault.Un messaggio fortissimo che sembra scontare la difficoltà di Renault di trovare un posto nel mondo (soprattutto dopo che la presenza ingombrante del ministro dell'Economia, Bruno Le Maire, aveva fatto saltare la fusione con Fca). Renault e parte dello Stato francese devono aver capito la necessità di cambiare passo. Come è recentemente avvenuto con Vincent Bolloré, il finanziere bretone che, impegnato in una battaglia contro Mediaset, ha subito nell'ambito delle attività in patria una botta d'arresto. Nel senso è che stato fermato dalla magistratura per una notte con l'accusa di corruzione. Thierry Bolloré, in un certo senso, è il link tra i vecchi manager di Stato francese e la generazione soprannominata appunto Macron. Una sorta di cerchio ristretto di manager contigui alla politica.Il club è formato da Yannick, figlio di Vincent, e il trentanovenne Alexandre de Rothschild che due anni fa ha preso il posto del padre alla guida dell'omonima banca d'affari da cui proviene pure il presidente francese. A chiudere il ristretto club ci sono Arthur Sadoun, capo di Publicis, un colosso delle relazioni da 14 miliardi di euro, e Alexandre Bompard, classe 1972, da due anni presidente di Carrefour. L'ascesa di Macron all'Eliseo è avvenuta di pari passo con la presa di potere dei manager quarantenni. Adesso dopo due anni è arrivato il momento per tutti loro di far vedere agli azionisti e a chi tira le fila del potere francese se sono in grado di distribuire i dividendi. Gli errori dell'enfant prodige di Jacques Attali sono ormai evidenti. I tedeschi hanno avviato il conto alla rovescia e i colossi finanziari ed economici francesi non possono permettersi una guerra con gli Usa senza la sponda tedesca. Per capire se nel futuro immediato Macron dovrà aspettarsi brutte sorprese dovremo capire come si riposizioneranno i fan del 2017. Enrico Letta, termometro per l'Italia, al momento tace. Gli emiri del Qatar, un tempo grandi sostenitori, sono freddi dopo che Parigi si è allineata a Gran Bretagna e Germania per sostenere l'Arabia Saudita contro l'Iran. L'ego politico di Macron resta molto grande, ma lo spazio di manovra per lui si fa sempre più stretto.